Dipendenza: le benzodiazepine, incluso midazolam, possono provocare dipendenza, cioè comparsa di un quadro definito di sintomi con l’interruzione brusca del trattamento farmacologico. Parte dei sintomi associati alla sindrome da astinenza (ansia, insonnia, irritabilità, nausea, cefalea, tachicardia) si sovrappongono al corredo di sintomi che hanno portato alla prescrizione della benzodiazepina, pertanto può risultare difficile, per il medico, diagnosticare una sindrome da interruzione rispetto ad una situazione patologica di ansia. Altri sintomi sono propri della sindrome d’astinenza da benzodiazepine e comprendono: ipersensibilità alla luce e al rumore, parestesie, vertigini, disturbi dell’equilibrio, sapore metallico in bocca. Il rischio di dipendenza aumenta con il progredire della terapia (è trascurabile per terapie di durata inferiore alle 6 settimane, sale al 20% dei pazienti per terapie di durata pari all’anno; al 60% per terapie di 4 anni; all’80% per terapie di 6 anni), con la dose di farmaco somministrata e con l’emivita del farmaco (per le benzodiazepine a breve durata d’azione, come il midazolam, la sindrome da sospensione è più precoce, più intensa, ma più rapida nel risolversi). Per ridurre il rischio di sindrome da sospensione, interrompere gradualmente la terapia benzodiazepinica riducendo la dose di farmaco del 25% circa ogni settimana.
Tolleranza: le benzodiazepine, incluso midazolam, possono provocare tolleranza, cioè la necessità di aumentare il dosaggio di farmaco per mantenere gli stessi effetti farmacologici. In generale, le benzodiazepine provocano più facilmente dipendenza rispetto a tolleranza.
Sedazione in caso di procedure chirurgiche o diagnostiche: il midazolam è uno dei farmaci più utilizzati nei bambini per ridurre l’ansia e favorire il rilassamento muscoloscheletrico in caso di procedure chirurgiche o diagnostiche di tipo invasivo (PSA, Procedural Sedation and Analgesia). Poichè è un sedativo puro, per avere anche un’azione analgesica è necessario associare al midazolam un antidolorifico (es. fentanil). Gli effetti collaterali più frequenti comprendono depressione respiratoria, dose-dipendente e reazioni paradosse (episodi di agitazione che si verificano nella fase iniziale di somministrazione della benzodiazepina). Il rischio di depressione respiratoria aumenta quando il midazolam è associato ad un analgesico oppioide.
Insufficienza renale: in pazienti con insufficienza renale grave iniziare la terapia con midazolam alla dose minima efficace perchè gli effetti centrali del farmaco potrebbero essere più accentuati per una maggiore sensibilità cerebrale.
Insufficienza epatica: la somministrazione di farmaci ansiolitici e ipnoinducenti, incluso il midazolam, presentano il rischio, nei pazienti con insufficienza epatica, di precipitare il coma. Nei pazienti con grave insufficienza epatica, il midazolam non è raccomandato.
Attività che richiedono attenzione e coordinazione costanti: poichè il midazolam induce sonnolenza, si consiglia di non svolgere attività che richiedano uno stato di veglia e attenzione costante per 8 ore dopo la somministrazione del farmaco.
Alcool: è opportuno evitare l’assunzione contemporanea di bevande alcooliche.
Pazienti anziani o debilitati: si consiglia di ridurre le dosi nei pazienti anziani o debilitati.
Mioclono indotto da morfina: il midazolam per infusione endovena è risultato efficace nel trattamento degli spasmi mioclonici in un paziente pediatrico trattato con dosi crescenti di morfina (500 mg/ora) (Holdsworth et al., 1995). Il mioclono generalmente si associa ad un trattamento analgesico con morfina somministrata a dosi elevate, per via orale, endovena o spinale. Il mioclono è una contrazioni involontaria, di breve durata che può interessare un muscolo o un gruppo di muscoli (il singhiozzo è uno spasmo mioclonico che interessa il diaframma). Rispetto ad altre benzodiazepine utilizzabili per la stessa indicazione (es. diazepam, lorazepam, clordiazepossido), il midazolam presenta il vantaggio di una titolazione del dosaggio più rapida, e quindi di un monitoraggio meno intensivo e la possibilità di utilizzare la stessa via infusionale della morfina. Nel case-report considerato, la dose di midazolam è stata aumentata ogni volta che l’aumento della dose di morfina provocava mioclono fino ad arrivare, per la benzodiazepina, alla dose finale di 80 mg/ora, e per la morfina, alla dose di 1000 mg/ora. Nonostante l’elevato dosaggio di midazolam, il paziente non ha manifestato depressione respiratoria ed ha mentenuto la capacità di comunicare (sedazione non completa).
Farmaci potenti inibitori del CYP3A4 (cimetidina, eritromicina, diltiazem, verapamil, ketoconazolo, itraconazolo): possono aumentare gli effetti sedativi del midazolam per inibizione farmacometabolica. La co-somministrazione di uno di questi farmaci con midazolam richiede un monitoraggio attento degli effetti centrali nelle prime ore successive all’associazione terapeutica.
Farmaci con attività sedativa sul sistema nervoso centrale (neurolettici, tranquillanti, antidepressivi, ipnotici, analgesici): in associazione a questi farmaci, i pazienti in terapia con midazolam possono evidenziare un aumento degli effetti sedativi e un maggior rischio di depressione del sistema nervoso centrale.
Gravidanza: se somministrato in gravidanza (uso regolare) il midazolam può provocare crisi di astinenza nei neonati 2-3 settimane dopo la nascita. La somministrazione di elevate dosi di benzodiazepine nelle ultime fasi della gravidanza può provocare ipotermia, ipotonia e depressione respiratoria neonatale.
Allattamento: il midazolam è escreto nel latte materno in quantità che può essere considerata trascurabile. L’analisi della curva concentrazione/tempo ha evidenziato come la quantità di midazolam nel latte materno scenda rapidamente, entro 4 ore, a livelli non più rilevabili, dopo somministrazione orale di 15 mg. Alla luce dei dati disponibili in letteratura si raccomanda di lasciar intercorrere un periodo di tempo minimo di 4 ore dopo aver assunto una dose singola di midazolam (es. in occasione di un esame diagnostico) e prima di allattare al seno (Qureshi et al., 2005). Secondo alcuni autori questo lasso di tempo non sarebbe necessario in caso di lattanti di età superiore ai 2 mesi. In caso di anestesia generale, l’allattamento al seno potrebbe essere ripreso nel momento in cui la madre si sente sufficientemente in forza per allattare (Nitsun et al., 2006). In questo caso di consiglia di raccogliere il latte materno per poter allattare il bambino nelle 24 ore successive all’anestesia, per poi riprendere l’allattamento al seno normalmente.
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