Ottimizzazione della dose: individuare il dosaggio ottimale di clozapina iniziando con la dose più bassa da aumentare con gradualità fino ad arrivare alla dose minima efficace. Una titolazione graduale della dose riduce il rischio di eventi avversi come l'agranulocitosi e la miocardite. Prima di iniziare la terapia con clozapina, le evidenze cliniche suggeriscono di monitorare una serie di parametri relativi alla funzionalità cardiovascolare (pressione arteriosa, elettrocardiogramma), epatica (enzimi epatici) e metabolica (glicemia a digiuno o emoglobina glicata, colesterolo, lipidi plasmatici, urea, elettroliti e creatina fosfochinasi). Questi stessi parametri devono poi essere periodicamente monitorati. In Italia la dose di mantenimento raccomandata è compresa tra 200 e 450 mg/die, negli USA è pari a 300-600 mg/die, ma ci può essere ampia variabilità tra una persona e l'altra sia dal punto di vista della dose minima efficace sia della tollerabilità al farmaco. Per evitare il rischio di somministare dosi non efficaci o poco tollerate, le linee guida suggeriscono di adottare il monitoraggio della concentrazione plasmatica di clozapina (TDM, terapeutic drug monitoring) per ottimizzare il dosaggio della clozapina. Questo metodo consente anche di rivelare una scarsa o mancata aderenza alla terapia, polimorfismi genetici degli enzimi che metabolizzano il farmaco, alterazioni nel processo di eliminazione del farmaco, interazioni farmacologiche (Flanagan et al., 2020).
Interruzione della terapia: la clozapina deve essere sospesa gradualmente, riducendo progressivamente la dose. L’interruzione improvvisa infatti può scatenare sintomi di astinenza quali sintomi colinergici (nausea, vomito, diarrea, mal di testa, agitazione, confusione, sudorazione intensa), peggioramento della psicosi, movimenti anomali, sintomi catatonici in pazienti che non li hanno mai manifestati. Quando è necessario interrompere improvvisamento la clozapina, ad esempio in caso di gravi reazioni avverse, può essere utile somministrare in via temporanea dei farmaci anticolinergici (titolazione lenta della dose in 2-3 settimane) per antagonizzare il rebound colinergico e olanzapina per prevenire psicosi e anomalie del movimento (de Leon et al., 2020).
Agranulocitosi (neutropenia): la clozapina può causare agranulocitosi, termine che definisce una riduzione massiccia dei granulociti, un particolare tipo di leucocita (globulo bianco). I granulociti si distinguono in neutrofili (55-65%), eosinofili (4-8%) e basofili (< 1%). I granulociti neutrofili costituiscono la principale difesa contro le infezioni sostenute da batteri e funghi. La riduzione dei granulociti neutrofili espone pertanto il paziente ad un maggior rischio di infezione. In caso di febbre o segni di sepsi o infezione locale le linee guida raccomandano di somministrare una terapia antibiotica ad ampio spettro (trattamento della neutropenia febbrile) (Mijovic, MacCabe, 2020).
L’agranulocitosi (neutrofili < 500/mm3) indotta da farmaci, come quella causata dalla clozapina, è una reazione idiosincrasica, cioè una reazione inaspettata e anomala, che può essere anche fatale, ad un farmaco. I sintomi comprendono febbre, ulcere alla bocca e gola infiammata, ma alcuni pazienti possono rimanere asintomatici anche con valori di neutrofili molto bassi.
Il rischio di agranulocitosi è uno dei limiti principali all'uso della clozapina, che rimane il farmaco di scelta nel trattamento della schizofrenia refrattaria. Per ridurre il rischio di agranulocitosi è stato reso obbligatorio il monitoraggio della conta dei leucociti (globuli bianchi) e dei granulociti neutrofili: una volta alla settimana per le prime 18 settimane di terapia, poi una volta al mese per tutta la durata del trattamento e per 4 settimane dopo l’interruzione definitiva. Il monitoraggio ematico obbligatorio può rappresentare, nella pratica clinica, un disincentivo alla prescrizione della clozapina anche quando questo farmaco costituisce la scelta terapeutica di elezione. Sulla base di nuovi dati di letteratura il rischio di agranulocitosi o neutropenia severa (neutrofili <500/mm3) con clozapina risulterebbe un evento piuttosto limitato e questo potrebbe portare ad una modifica dei vincoli di prescrizione in senso meno restrittivo. Nello studio di riferimento condotto su 974 pazienti con schizofrenia (64% di sesso maschile, 51% di etnia bianca e il 39% di etinia nera) in trattamento con clozapina in un centro medico, nessun paziente ha sviluppato agranulocitosi severa, il 5,9% ha evidenziato agranulocitosi lieve (neutrofili pari a 1000-1499 cell/m3) e lo 0,92% agranulocitosi moderata (neutrofili pari a 500-999 cell/m3). I pazienti con agranulocitosi non clinicamente significativa hanno manifestato il sintomo entro 8 mesi dall’inizio della terapia antispicotica (American Psychiatric Association – APA, 2024). Questi dati concordano con quelli riportati nel ClozGeneStudy condotto in Australia in cui l’incidenza di agranulocitosi (neutropenia) riportata è stata dello 0,4% (Lind et al., 2024).
La terapia con clozapina può essere iniziata, e proseguita, solo se i valori dei leucociti e dei granulociti neutrofili sono nella norma. Nella determinazione della conta dei leucociti un aspetto da considerare è la variazione fisiologica della concentrazione dei leucociti nel sangue nell'arco delle 24 ore, che tende ad essere più bassa al mattino rispetto al pomeriggio (Flanagan et al., 2020). Se durante la terapia con clozapina la conta dei leucociti scende nell’intervallo 3500-3000/mm3 e quella dei granulociti neutrofili nell’intervallo 2000-1500/mm3, i controlli ematologici devono essere ripetuti due volte alla settimana fino a quando i valori non si stabilizzino o non aumentano. Se la conta dei leucociti scende sotto 3000/mm3 e quella dei granulociti neutrofili sotto 1500/mm3, la clozapina deve essere immediatamente sospesa e i controlli ematologici devono essere ripetuti giornalmente fino a quando non si normalizzano. Nei pazienti che manifestano leucopenia o neutropenia moderata, la risomministrazione della clozapina può essere valutata con il monitoraggio di un ematologo, ma nei pazienti che manifestano agranulocitosi la clozapina una volta sospesa non può più essere risomministrata (Mijovic, MacCabe, 2020).
Se la terapia con clozapina viene sospesa per motivi diversi dall’agranulocitosi, i test ematici per controllare leucociti e granulociti neutrofili devono avere cadenza settimanale per 6 settimane se l’intervallo di sospensione della terapia supera i tre giorni ma è inferiore alle 4 settimane; per 18 settimane se la sospensione della terapia supera le 4 settimane.
In alcune condizioni particolari che comportano neutropenia (patologie primarie del midollo osseo, neutropenia etnica benigna) è necessario il consenso di un ematologo per la prescrizione della clozapina. La neutropenia etnica benigna è una condizione manifestata da alcune popolazioni - circa il 25-50% degli africani e alcuni gruppi etnici in Medio Oriente - in cui la ridotta conta di neutrofili non comporta un aumento del rischio di infezione e la risposta alle infezioni è simile a quella delle persone con conta dei leucociti nella norma (Flanagan et al., 2020).
Sebbene le evidenza cliniche siano limitate, per ridurre la durata della neutropenia nei pazienti che hanno interrotto il trattamento per agranulocitosi possono essere somministrate citochine specifiche quali i fattori stimolanti le colonie di granulociti (ad esempio filgrastim, 300 mcg/die, o lemograstim, 263 mcg/die) oppure i fattori stimolanti le colonie dei granulociti-macrofagi (ad esempio sargramostim) per via sottocutanea (Mijovic, MacCabe, 2020; Lally et al., 2017). Queste citochine sono state utilizzate anche come alternativa alla sospensione della clozapina per neutropenia o leucopenia e per preservare la conta dei leucociti nei pazienti che hanno ripreso la somministrazione di clozapina dopo sospensione per neutropenia (Karst, Lister, 2018). Occasionalmente, la somministrazione di queste citochine può provocare trombocitopenia (Dihingia et al., 2012).
Anche il litio è stato utilizzato per stimolare la produzione di leucociti, ma nel caso della clozapina non è risultato proteggere dall'agranulocitosi, anzi ha manifestato la capacità di mascherarla, pertanto non è indicato nei pazienti che riprendono la terapia con clozapina dopo sospensione per ridotta conta leucocitaria (Flanagan et al., 2020).
Aumento dei leucociti eosinofili (eosinofilia): gli eosinofili sono un particolare tipo di leucocita che interviene nelle infezioni causate da parassiti. In condizioni normali, la conta degli eosinofili nel sangue è pari a 100-500 cellule/mm3. Quando la concentrazione di eosinofili aumenta si parla di eosinofilia. Se durante la terapia con clozapina, la conta degli esosinofili supera il valore di 3000/mm3, la clozapina deve essere sospesa fino a quando il valore non scende sotto 1000/mm3.
Riduzione della conta delle piastrine (trombocitopenia, piastrinopenia): se durante la terapia con clozapina, la conta delle piastrine scende sotto il valore 50000/mm3, il farmaco deve essere sospeso.
Ipotensione ortostatica: la clozapina possiede una marcata azione ipotensiva, soprattutto quando si utilizza il farmaco per la prima volta, e può causare ipotensione ortostatica (riduzione della pressione arteriosa quando da sdraiati/seduti ci si alza in piedi) con o senza momentanea perdita di coscienza (sincope). Prima di iniziare ad assumere il farmaco misurare la pressione arteriosa in posizione sdraiata e in posizione eretta (Flanagan et al., 2020). Se il paziente sta assumendo anche farmaci che deprimono il sistema nervoso centrale – come ad esempio benzodiazepine, narcotici, antistaminici – aumenta il rischio di ipotensione ortostatica associata a collasso cardiocircolatorio o arresto respiratorio. Questi eventi possono anche manifestarsi durante la fase di aggiustamento della dose di clozapina, se gli aumenti della dose sono troppi rapidi; raramente anche con la prima dose. La pressione arteriosa e la frequenza cardiaca andrebbero controllate ogni giorno per le prime tre settimane di terapia, poi ad ogni visita medica (Russo, 2018). Una bassa pressione del sangue potrebbe essere causata da una recente mancata aderenza alla terapia o da una dose di clozapina troppo alta con rischio di ipotensione fatale (Flanagan et al., 2020).
Polmonite: la clozapina è associata ad un aumento del rischio di polmonite che può avere esito fatale (Rohde et al., 2020; de Leon, Diaz, 2003). Sulla base di studi osservazionali condotti negli USA, nel Regno Unito e in Danimarca, la polmonite da clozapina può essere considerata una delle cause più importanti di mortalità associata all'uso del farmaco. Considerando i dati raccolti nel VigiBase - database dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che raccoglie le segnalazioni sulla sicurezza dei farmaci dal 1968 - il tasso di mortalità per polmonite è risultato pari al 30%, molto più alto rispetto a quello riportato per l’agranulocitosi nello stesso database (2%) (de Leon et al., 2020). La relazione tra clozapina e polmonite può essere considerata bidirezionale, perchè da un lato la clozapina risulta favorire lo sviluppo di infezioni – dati di lettaratura indicano un aumento del tasso di tubercolosi, del consumo di antibiotici, del numero di pazienti con bassi livelli di immunoglobuline - dall’altro le citochine, rilasciate a causa dell'infezione, agiscono sul metabolismo della clozapina inibendolo (inibizione dell’enzima citocromiale CYP1A2) con conseguente aumento dei livelli plasmatici del farmaco e della sua tossicità (de Leon et al., 2020; Clarck et al., 2018). Inoltre la clozapina aumenta il rischio anche di polmonite da aspirazione: come tutti gli antipsicotici la clozapina provoca ipersalivazione che associata alla sedazione, altro effetto collaterale, facilita il passaggio di saliva nelle vie respiratorie.
L’uso del vaccino per ridurre il rischio di polmonite infettiva potrebbe essere una strategia nei pazienti in terapia con clozapina (non ci sono studi in merito), ma il vaccino non serve per la polmonite da aspirazione e la risposta al vaccino potrebbe essere inferiore all’atteso per gli effetti della clozapina sulla risposta immunologica (de Leon et al., 2020).
In caso di infezione, alcuni ricercatori raccomandano il monitoraggio plasmatico della clozapina (TDM, Therapeutic Drug Monitoring) e la valutazione della proteina C reattiva (CRP) che è un marker di infiammazione perché aumenta con l’aumentare delle citochine circolanti. In caso di valori elevati di proteina C reattiva e/o febbre, potrebbe essere indicato dimezzare la dose di clozapina o sospenderla per 2 o 3 giorni se ci sono segni o sintomi di intossicazione (de Leon et al., 2020). Una volta risoltasi l’infezione (normalizzazione dei valori di proteina C reattiva), il ripristino della dose di clozapina deve seguire le linee guida di riferimento.
Miocardite: la clozapina può aumentare il rischio di miocardite, soprattutto nei primi due mesi di terapia. Il farmaco è stato associato anche a comparsa di pericardite, versamento pericardico, cardiomiopatia. In alcuni pazienti queste reazioni avverse hanno avuto esito fatale. Una titolazione lenta della dose di clozapina riduce il rischio di miocardite. In caso di sospetto di miocardite o cardiomiopatia, la clozapina deve essere sospesa.
Sintomi riconducibili a tossicità cardiaca comprendono tachicardia persistente a riposo, palpitazioni, aritmie, dolore al torace, respirazione affaticata (dispnea), aumento della frequenza respiratoria (tachipnea), affaticamento inspiegabile (dispnea, tachipnea e affaticamento possono essere sintomi riconducibili a insufficienza respiratoria). Anche la riduzione della conta dei leucociti sotto la soglia di 3500 cell/mm3 può essere indicativa di miocardite oltre che di agranulocitosi.
Secondo alcune ricerche, la miocardite da clozapina può essere considerata una sorta di reazione di ipersensibilità al farmaco causata da una titolazione della dose troppo rapida (de Leon et al., 2020).
La co-somministrazione con acido valproico è un fattore di rischio per miocardite da clozapina (l’acido valproico può comportarsi sia come induttore sia come inibitore del metabolismo della clozapina) (de Leon et al., 2020).
Secondo alcune raccomandazioni, il monitoraggio cardiovascolare del paziente in terapia con clozapina dovrebbe prevedere la valutazione del rischio cardiovascolare ogni 6 mesi, l’ecocardiogramma prima di iniziare la terapia e poi una volta all’anno, l’elettrocardiogramma ogni 6-12 mesi (con una frequenza maggiore all’inizio del trattamento) (Flanagna et al., 2020; Russo, 2018). A questi esami andrebbero aggiunti il monitoraggio della proteina C reattiva (CRP) (indicatore di infiammazione) e della troponina (indicatore di danno cardiaco) (non c’è un chiaro consenso sulla periodicità del test per CRP e troponina: alcuni suggeriscono per CRP un dosaggio settimanale per le prime 6 settimane o fino al raggiungimento della dose di mantenimento e per la troponina un dosaggio settimanale per il primo mese di terapia; il test dell troponina è più costoso di quello della CRP per cui non tutti lo raccomandano come test standard) (Flanagan et al., 2020; de Leon et al., 2020; Russo, 2018).
Infarto cardiaco: dopo la commercializzazione della clozapina, sono stati segnalati casi di infarto miocardico in pazienti in terapia con il farmaco. Nella maggior parte dei casi segnalati non è stato possibile accertare una relazione causa-effetto per la presenza di malattie cardiache preesistenti. Prima di iniziare la terapia con clozapina effettuare un elettrocardiogramma (Flanagan et al., 2020).
Prolungamento dell’intervallo QT dell’elettrocardiogramma: la clozapina deve essere somministrata con cautela nei pazienti a rischio di prolungamento dell’intervallo QT per patologie, storia familiare, assunzione concomitante con farmaci che notoriamente aumentano l’intervallo QT. Il prolungamento dell'intervallo Qtc infatti può innescare un'artimia ventricolare molto grave, pericolosa per la vita, chiamata “torsione di punta”. Altri fattori di rischio addizionali che andrebbero valutati dal medico nei pazienti che iniziano una terapia con clozapina comprendono: storia familiare di morte improvvisa, episodi precedenti di sincope, eventuali aritmie o patologie cardiache, ipokaliemia e/o ipomagnesiemia (de Leon et al., 2020).
Eventi avversi cerebrovascolari: alcuni farmaci antispicotici atipici sono stati messi in relazione con un aumento del rischio di eventi cerebrovascolari in pazienti con demenza. Poiché il rischio non può essere escluso per la clozapina, in via precauzionale, il farmaco deve essere somministrato con cautela se il paziente presenta fattori di rischio per ictus.
Rischio di tromboembolia: alcuni farmaci antipsicotici, inclusa clozapina sono stati associati a comparsa di eventi tromboembolici. Per ridurre il rischio di tromboembolia individuare eventuali fattori di rischio prima di iniziare la terapia e durante la stessa e adottare misure di prevenzione, tra cui evitare l’immobilizzazione del paziente.
Crisi convulsive: la clozapina può causare la comparsa di convulsioni dose-dipendenti, pertanto deve essere somministrata con cautela nei pazienti con storia di crisi convulsive. Nei pazienti che devono essere trattati con clozapina e che hanno manifestato crisi convulsive indotte dal farmaco è indicata una riduzione della dose di antipsicotico ed eventualmente una terapia anticonvulsivante (opzione terapeutica non di prima scelta) (Caetano, 2014). Tra i farmaci antiepilettici che potrebbero essere utilizzati, l’acido valproico (sodio valproato) aumenta il rischio di neutropenia e miocardite, quindi non è raccomandato nei primi mesi di terapia con clozapina, ed è controindicato nelle donne in età fertile; topiramato, lamotrigina e gabapentin possono essere utilizzati nella profilassi ma non nel trattamento delle crisi convulsive da clozapina.
Sintomi ossessivo-compulsivi: la clozapina può indurre gravi sintomi ossessivo-compulsivi. Alcuni dati di letteratura suggeriscono l’uso di aripiprazolo, con o senza riduzione della dose di clozapina, per trattare questo tipo di manifestazioni psichiatriche (Kim et al., 2020).
Ingrossamento prostata, glaucoma ad angolo chiuso: la clozapina possiede attività anticolinergica per cui possono insorgere problemi nei pazienti con ingrossamento della prostata e con glaucoma ad angolo chiuso.
Stipsi: la clozapina induce rallentamento della peristalsi intestinale dipendentemente dalla sua attività anticolinergica (CIGH, clozapine-induced gastrointestinal hypomotility). Nella maggior parte dei pazienti l'ipomotilità intestinale si manifesta con stipsi o con un peggioramento della stipsi in pazienti che già soffrono di questo disturbo per patologie, terapie (farmaci per il parkinson, alcuni antidepressivi) o interventi chirurgici. La stipsi può causare complicanze quali ostruzione intestinale, fecaloma e ileo paralitico, condizioni che possono mettere in pericolo di vita (tasso di mortalità per CIGH riportato da VigiBase: 12%) (de Leon et al., 2020). I sintomi più frequenti riconducibili a severa ipomotilità intestinale da clozapina sono dolore addominale (73% dei casi) e distensione addominale (55% dei casi) (Palmer et al., 2008). Per il rischio delle gravi complicanze, la stipsi deve essere diagnosticata e trattata (profilassi con lassativi, dieta ricca in fibre, regolare esercizio fisico, idratazione, evitare l’uso di farmaci anticolinergici per trattare l’ipersalivazione da clozapina) (de Leon et al., 2020).
Febbre: la clozapina può causare un rialzo temporaneo della temperatura corporea anche oltre i 38°C, soprattutto nelle prime tre settimane di terapia, senza che questo abbia un significato patologico (controllo giornaliero nelle prime tre settimane) (Russo, 2018). Ma considerando che la clozapina può causare agranulocitosi, miocardite, cardiomiopatia, sindrome neurolettica maligna (complicanza grave dei farmaci antipsicotici) è necessario escludere questi eventi tra le cause di febbre. Alcuni autori pertanto raccomandano di eseguire, in caso di febbre, un emocromo completo, il test della proteina C-reattiva, l'ecocardiogramma e aggiungere il test della troponina se la febbre compare entro le prime 4 settimane (Flanagan et al., 2020; Russo et al., 2018). Altri effetti avversi associati a febbre ma che non dipendono dalla durata dell’esposizione alla clozapina comprendono: colpo di calore, polmonite, embolia polmonare, colite necrotizante (Verdoux et al., 2019). Il colpo di calore è un effetto avverso piuttosto raro, ma ha una mortalità del 50%. Potrebbe essere causato da un’alterazione del sistema di termoregolazione a livello dell’ipotalamo e potrebbe quindi peggiorare in un ambiente caldo.
Disfagia, acatisia, severa scialorrea: questi effetti collaterali possono essere il segnale di una dose troppo alta di clozapina e richiedono pertanto di rivalutare il dosaggio del farmaco. Si tratta di reazioni avverse che possono dare complicanze: la disfagia (difficoltà di deglutizione) può causare soffocamento, l'acatisia (irrequietezza motoria) aumenta il rischio di convulsioni e la scialorrea severa (ipersalivazione) può portare a pneumopatia da aspirazione e scarsa aderenza alla terapia. La scialorrea diventa problematica soprattutto di notte. Nei pazienti che non sviluppano tolleranza alla scialorrea con il procedere della terapia antipsicotica può essere utile ricorrere alla gomma da masticare nelle ore diurne per stimolare il riflesso della deglutizione oppure alla somministrazione di farmaci: preferire farmaci antimuscarini ad azione locale rispetto a farmaci anticolinergici (triesifenidile o benzexolo, scopolamina bromidrato, pirenzepina; atropina o ipratropio bromuro sublinguali) perché i primi hanno un minor effetto sulla stipsi indotta dall’antipsicotico. Sono stati anche sperimentati farmaci alfa2 adrenergici quali clonidina e lofexidina (Flanagan et al., 2020).
Sedazione: calibrare la dose di clozapina alla sera aiuta a ridurre l'effetto di sedazione nelle ore diurne, ma questo schema di dosaggio può aumentare il rischio di polmonite da aspirazione (Flanagan et al., 2020).
Iperglicemia: la clozapina può indurre insulino resistenza con conseguente iperglicemia. Raramente, sono stati segnalati casi di iperglicemia grave, anche fatale, in pazienti che non avevano mai manifestato questo sintomo prima di assumere la clozapina. L’iperglicemia in genere si risolve con l’interruzione della clozapina, ma alcuni pazienti hanno dovuto iniziare una terapia antidiabetica per mantenere sotto controllo la glicemia. Se non si riesce a mantenere la glicemia sotto controllo, la clozapina deve essere sospesa. Particolarmente a rischio di iperglicemia sono i pazienti diabetici e quelli con fattori di rischio per diabete, per esempio pazienti obesi e pazienti con storia familiare di diabete. Questi pazienti prima di iniziare la terapia con clozapina devono effettuare il test per la glicemia a digiuno, da ripetere periodicamente durante la terapia.
Dislipidemia: la clozapina è stata associata ad alterazioni del profilo dei lipidi plasmatici. Controllare i lipidi plasmatici prima di iniziare la terapia con clozapina e durante il trattamento (ogni 6 mesi) (Russo, 2018).
Aumento di peso: durante la terapia con clozapina è opportuno controllare il peso corporeo perché il farmaco potrebbe causarne l’aumento (secondo alcuni autori l’associazione è debole) (Subramanian et al., 2017). Alcune linee guida raccomandano il controllo del peso, dell’indice di massa corporea (BMI) e della circonferenza vita ad ogni visita medica (Russo, 2018).
Malattie del fegato: nei pazienti con compromissione epatica la somministrazione di clozapina richiede cautela. Prima di iniziare ad assumere il farmaco effettuare un test di funzionalità epatica da ripetere dopo una settimana dall’inizio della terapia (Flanagan et al., 2020). Nei pazienti che manifestano sintomi riconducibili a sofferenza epatica (nausea, vomito, mancanza di appetito) monitorare gli enzimi epatici. Se il valore degli enzimi epatici risulta superiore a tre volte il limite massimo di normalità oppure compare ittero, la clozapina deve essere sospesa; la terapia può essere ripresa solo quando i parametri ritornano a valori normali.
Pazienti con età > 60 anni: la terapia con clozapina deve iniziare con la dose più bassa. In questa classe di pazienti il fabbisogno di clozapina tende a diminuire rispetto ai giovani adulti, in parte perchè i processi di eliminazione del farmaco diventano meno efficienti. I pazienti con più di 60 anni presentano inoltre una maggiore suscettibilità ad alcune reazioni avverse quali ipotensione ortostatica e tachicardia e agli effetti anticolinergici della clozapina.
Demenza: alcuni studi clinici hanno riscontrato un lieve aumento della mortalità nei pazienti anziani con demenza trattati con antipsicotici. La clozapina non è raccomandata per il trattamento di sintomi psicotici in pazienti anziani con demenza.
Donne in età fertile: nelle donne già in terapia con antipsicotici, il passaggio alla terapia con clozapina può indurre la ripresa di un ciclo mestruale normale.
Gravidanza: per ridurre il rischio di concentrazioni materne troppo basse (rischio di ricaduta) o troppo alte (rischio di intossicazione fetale) alcuni autori raccomandano il monitoraggio della concentrazione plasmatica (TDM) della clozapina almeno una volta per ogni trimestre di gravidanza e 24 ore prima del parto (Hiemke et al., 2018). L’attività dell’enzima citocromiale CYP1A2 tende a diminuire in gravidanza, soprattutto nel secondo e terzo trimestre, e questo può comportare un rallentamento del metabolismo della clozapina con conseguente aumento della sua concentrazione nel sangue e, potenzialmente, della sua tossicità (Tracy et al., 2005).
Allattamento: la somministrazione di clozapina a donne in allattamento può determinare la comparsa di sedazione e tossicità ematica (agranulocitosi) nel bambino (Lactmed, 2021). La clozapina non è raccomandata nelle donne che allattano.
Lattosio: i farmaci a base di clozapina che contengono lattosio come eccipiente non possono essere somministrati a pazienti con intolleranza su base ereditaria al galattosio, con deficit dell’enzima Lapp-lattasi (che serve per digerire il lattosio) oppure con problemi di assorbimento di glucosio-galattosio.
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