Tossicità acuta: l’atropina è causa di avvelenamenti. I bambini della prima infanzia sono particolarmente suscettibili all’effetto tossico dell’atropina. Dosi superiori ai 2 mg possono dare intossicazione (nei bambini è sufficiente l’ingestione di 1-2 bacche della pianta da cui è estratta l’atropina, la Belladonna); dosi di 10 mg o inferiori possono essere letali. In caso di intossicazione conclamata, la sindrome può durare più di 48 ore. In caso di sovradosaggio si manifestano: midriasi, blocco delle secrezioni (lacrimale, bronchiale, nasale, sudoripara, salivare), tachicardia, respirazione rapida, iperpiressia, agitazione, confusione, eccitamento, atassia, incoordinazione, reazioni paranoidi e psicotiche, talora convulsioni, allucinazioni, delirio. Se l’intossicazione è grave si può verificare una depressione del sistema nervoso centrale, accompagnata da ipertensione, insufficienza circolatoria, depressione e collasso respiratorio che possono portare al coma. La diagnosi di intossicazione da atropina è data dalla paralisi diffusa di tutti gli organi innervati dal sistema parasimpatico. Tossicità sistemica si può verificare anche dopo instillazione oculare, tramite assorbimento dell’atropina a livello della mucosa nasale (soprattutto nei pazienti di età pediatrica).
Se somministrata come sale quaternario (atropina metonitrato) il farmaco possiede un’attività di blocco gangliare: alte dosi, infatti, possono provocare ipotensione posturale e impotenza.
Il trattamento del sovradosaggio prevede la lavanda gastrica e la successiva somministrazione di carbone attivo e di sodio solfato per limitarne l’assorbimento intestinale. Per controllare gli effetti anticolinergici (trattamento sintomatico) vengono usate neostigmina e fisostigmina (1-4 mg per infusione lenta e 0,5 mg nei bambini). Poiché la fisostigmina viene rapidamente metabolizzata, il paziente può cadere in coma entro 1-2 ore; in tal caso le dosi del farmaco devono essere ripetute. Per diminuire l’eccitazione e per controllare le convulsioni si può usare il diazepam a basse dosi in quanto la sua azione deprimente centrale potrebbe sommarsi all’azione depressiva dell’atropina nelle fasi più avanzate dell’avvelenamento. Non devono essere usate le fenotiazine perché la loro azione antimuscarinica aggraverebbe la sintomatologia atropinica. Per antagonizzare la depressione respiratoria porre il paziente in ventilazione controllata (respirazione artificiale); per diminuire l’ipertermia è sufficiente usare una borsa del ghiaccio e fare spugnature imbevute di alcool. Al fine di favorire l’escrezione urinaria somministrare fluidi in grande quantità.
Tossicità riproduttiva: l’atropina può provocare tachicardia nel feto, qualora sia avvenuto lo sviluppo della funzione vagale (Moayer, 1972); può indurre midriasi nel neonato se somministrata poco prima del parto. L’atropina, negli animali di laboratorio, non è risultata teratogena. Nell’uomo, sono state osservate ernie inguinali quando l’atropina è somministrata nel primo trimestre di gravidanza; secondo alcuni autori potrebbe determinare diminuzione della frequenza respiratoria e bradicardia (Roodemburg et al., 1979), ma altri autori non hanno osservato cambiamenti significativi della frequenza cardiaca e della contrattilità uterina in caso di somministrazione ev. di atropina prima del parto (Diaz et al., 1980; Roper, Salem, 1981, Abboud et al., 1983). L’atropina è considerata farmaco di scelta in gravidanza da Australian Drug Evaluation Committee (ADEC) e da Farmaceutitiska Specialiteter I Sverige (FASS) (Farmaci e gravidanza, 2005).
DL50: dopo somministrazione orale, 750 mg/kg (ratti).