L’ademetionina è una sostanza presente naturalmente e in modo ubiquitario nei tessuti e fluidi degli organismi animali e vegetali. Nell’uomo è sintetizzata tramite l’enzima S-adenosil-metionina sintetasi che trasferisce il gruppo adenosilico di una molecola di ATP (adenosina trifosfato) all’atomo di azoto di una molecola di metionina. Il nome scientifico dell’ademetionina è S-Adenosil-L-Metionina ma è conosciuta anche come SAM, SAMe, SAM-e, AdoMet.
L’Ademetionina (S-adenosil-L-metionina) è un intermedio del ciclo del gruppo metilico attivato, un processo biochimico che permette la sintesi di molecole fondamentali per l’organismo. Il gruppo metilico che entra nel ciclo si lega, tramite l’enzima metionina sintasi, al sulfidrile di una molecola di omocisteina, permettendo la conversione di quest’ultima a metionina, l’aggiunta conseguente di un gruppo adenosile sullo stesso atomo di zolfo, che assume di conseguenza una carica positiva e porta alla formazione dell’ademetionina. Lo ione solfonio rende gli atomi di carbonio a esso adiacenti fortemente reattivi. Ciò conferisce all’ademetionina l’abilità di partecipare a 3 importanti tipi di reazione: la transmetilazione, la transulfurazione e l’amminopropilazione.
Transmetilazione
L’ademetionina è il principale donatore di gruppi metilici (-CH3) nelle reazioni di transmetilazione che avvengono nei tessuti dei mammiferi. L’elevato potenziale di trasferimento del gruppo S-metilico rende l’ademetionina molto più reattiva, ad esempio, di un'altra molecola che funge da donatore di gruppi metilici, come l’acido folico ridotto (N-metil-tetraidrofolato).
La transmetilazione consiste nel trasferimento di un radicale metilico (-CH3) da un composto a un altro; l’incapacità degli organismi animali a sintetizzare il gruppo metile conferisce a tale reazione un’importanza indispensabile per la sintesi di varie sostanze a loro volta fondamentali per l’omeostasi. Sono oltre cento le reazioni di transmetilazione a cui l’ademetionina prende parte, tra queste quelle necessarie per la sintesi di creatina, carnitina e melatonina.
La transmetilazione permette la sintesi della fosfatidilcolina dalla fosfatidil-etanolammina e degli altri principali fosfolipidi del versante esterno della membrana plasmatica o membrana cellulare (plasmalemma), che è essenziale per il mantenimento della fluidità e dell’asimmetria del doppio strato fosfolipidico della membrana stessa (Anstee, Day, 2012). Si suppone, inoltre, che la metilazione dei lipidi della membrana plasmatica, influenzandone la fluidità e la viscosità, sia in grado di modulare numerose attività enzimatiche ad essa associate, come, ad esempio, il co-trasportatore Na+/Ca++, co-trasportatore Na+/H+ e la pompa Na+/K+ ATPasi (Chawla et al., 1990). Tale attività consente all’ademetionina di svolgere un effetto protettivo in vari tessuti, in particolare nel fegato, come risultato dall’impiego nella colestasi intraepatica (Frezza et al., 1990; Muriel et al., 1994).
L’ademetionina permea la barriera ematoencefalica. A livello cerebrale l’ademetionina è coinvolta, come donatore di metili, nella sintesi dei neurotrasmettitori come le catecolamine (dopamina, noradrenalina, adrenalina), serotonina, melatonina e istamina (Anstee, Day, 2012).
La metilazione del DNA e degli istoni (i principali elementi che costituiscono l’impalcatura proteica dei cromosomi) operata dall’ademetionina, è critica nel fenomeno dello “spegnimento genico” che porta alla soppressione fisiologica dell’espressione dei proto-oncogeni che altrimenti potrebbero dare origine al tumore (Brunaud et al., 2003; Wainfan et al., 1989).
Transolforazione
Una volta che l’ademetionina ha donato il proprio gruppo metilico (-CH3) ad un accettore, si forma l’S-adenosil-omocisteina che è poi idrolizzata a omocisteina e adenosina. L’omocisteina può entrare nuovamente nel ciclo del gruppo metilico attivato rigenerando metionina grazie all’acquisizione di un metile da parte del N-5-metil-tetraidrofolato (che utilizza la vitamina B12 come cofattore) o da parte della trimetilglicina (betaina), come avviene nel fegato, oppure può andare incontro ad un processo di transolforazione che consiste nel trasferimento di un gruppo tiolico (-SH) all’aminoacido serina. Ciò porta alla formazione di alfa-chetobutirrato e cisteina, dalla quale si ottengono la taurina e il glutatione, importanti antiossidanti. La concentrazione di ademetionina è importante per definire il destino dell’omocisteina. L’ademetionina, infatti, è un inibitore dell’enzima metilene tetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) e un attivatore della cistationina β-sintetasi. Alte concentrazioni di ademetionina, quindi, sopprimono le reazioni di transmetilazione e promuovono quelle di transolforazione (Lieber, Packer, 2002).
Questo passaggio da una via metabolica all’altra, operato dall’ademetionina, è molto importante poiché l’iperomocisteinemia (concentrazione eccessiva di omocisteina nel sangue) rappresenta un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari e trombotiche. Il meccanismo patogenetico non è ancora ben compreso, ma sembra esista una proporzionalità inversa tra concentrazione di omocisteina e lipoproteine HDL nel sangue (Obeid, Herrmann, 2009) e si ritiene possa determinare un danno a carico della parete dell’endotelio vascolare.
Il processo di transolforazione dell’ademetionina interessa anche la solfatazione dei glicosamminoglicani (GAGs) che a loro volta formano i proteoglicani, favorendo in questo modo la costruzione e la compattezza delle cartilagini e dei tessuti connettivi. In più, diversi metaboliti dell’ademetionina (poliammine, adenosina, metiltioadenosina, glutatione), aiutano la riparazione del tessuto connettivo (Shumacher, 1987; Szabo et al., 1981).
Amminopropilazione
L’amminopropilazione segue la decarbossilazione dell’ademetionina e consente il trasferimento del gruppo propilamminico ad una molecola di ornitina per formare le poliammine (putrescina, spermidina e spermina). Queste sostanze sono indispensabili fattori di crescita per le cellule. In genere questa via metabolica non impegna più del 5% dell’ademetionina disponibile, ma questa percentuale aumenta marcatamente in determinate condizioni quali, ad esempio, durante la rigenerazione del fegato (Mato et al., 1997).
Ademetionina e sistema nervoso
E stato osservato che i livelli di ademetionina nel liquido cefalorachidiano dei pazienti affetti da depressione sono notevolmente più bassi rispetto al gruppo di controllo. Dal momento che l’ademetionina è in grado di superare la barriera ematoencefalica, la somministrazione di ademetionina sia per via parenterale sia per via orale permette un significativo aumento di questa nel fluido cerebrospinale (Bottiglieri et al., 1990).
Una metanalisi effettuata analizzando studi che comparavano l’ademetionina al placebo e agli antidepressivi triciclici nel controllo della depressione, ha evidenziato una superiorità dell’ademetionina rispetto al placebo (global effect size 17%-38%) e un effetto antidepressivo comparabile agli antidepressivi triciclici con un’insorgenza di effetti indesiderati inferiore (Bressa, 1994).
Uno studio in doppio cieco su pazienti affetti da depressione maggiore della durata di 14 giorni ha utilizzato ademetionina sia orale sia endovena, comparando questo trattamento con imipramina. Un significativo miglioramento dei sintomi si è ottenuto nel 66% dei pazienti che assumevano ademetionina rispetto al gruppo trattato con imipramina, in cui la terapia si è dimostrata utile solo nel 22% dei pazienti (Bell et al., 1988). In un altro studio clinico, della durata di 4 settimane, non sono state rilevate differenze fra ademetionina intramuscolare (400 mg/die) e imipramina orale (150 mg/die) in termini di efficacia terapeutica (misurata tramite la Hamilton Depression Rating Scale a 21 punti e la Clinical Global impression, esiti clinici principali; la Montgomery-Asberg Depression Rating Scale e la riduzione di almeno il 50% del punteggio della Hamilton Depression Rating Scale, esiti clinici secondari) (Pancheri et al., 2002).
Un vantaggio che si riscontra con l’utilizzo di ademetionina rispetto agli antidepressivi tradizionali nel trattamento della depressione è che l’insorgenza dell’azione terapeutica è in genere riscontrabile entro 1-2 settimane (rispetto alle 3-4 degli antidepressivi convenzionali) (Mischoulon, Fava, 2002).
In uno studio di confronto con l’antidepressivo escitalopram appartenente alla classe degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI, selective serotonine reuptake inhibitor) in pazienti con depressione maggiore, l’ademetionina (1600-3200 mg/die) non ha evidenziato differenze statisticamente significative rispetto a escitalopram (10-20 mg/die) e placebo in termini di attività antidepressiva (riduzione della scala Hamilton Depression Rating Scale a 17 punti, =/> 50%). Tutti e tre i trattamenti hanno evidenziato un miglioramento della scala di riferimento pari a 5-6 punti (p<0,001). Il tasso di risposta al termine dello studio (12 settimane), considerando tutti i pazienti randomizzati (campione “intent-to-treat”), è risultato pari al 36%, 34% e 30% rispettivamente per ademetionina, escitalopram e placebo e il tasso di remissione è stato pari al 28% per ademetionina e escitalopram e al 17% per il placebo (Mischoulon et al., 2014).
L’aggiunta di ademetionina a farmaci inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) in pazienti con depressione maggiore che non rispondono al trattamento è risultata efficace nell’aumentare il tasso di risposta terapeutica e di remissione rispetto al placebo (risposta terapeutica: 36,1% vs 17,6% rispettivamente in pazienti trattati con SSRI più ademetionina e pazienti trattati con SSRI più placebo; remissione: 25,8% vs 11,7%). Non sono state osservate differenze tra ademetionina e placebo in termini di interruzione della terapia per qualsiasi motivo (20,6% vs 29,5%), a causa degli effetti avversi (5,1% vs 8,8%) o per mancata efficacia (5,1% vs 11,7%) (Papakostas et al., 2010).
La somministrazione parenterale di ademetionina è di poco più efficace di quella orale.
Alcuni studi recenti suggeriscono un possibile ruolo dell’ademetionina nel migliorare alcune malattie neurologiche come il morbo di alzheimer e altre sindromi cliniche di demenza (Shea, Chan, 2008). Infatti, lo stesso depauperamento di ademetionina nel fluido cerebrospinale che si verifica nei pazienti depressi, si osserva anche nei pazienti affetti da alzheimer, nella degenerazione subacuta combinata del midollo spinale e nelle neuropatie HIV-correlate, dimostrando che anche in queste patologie probabilmente si verifica un’anomalia nei processi di metilazione (Bottiglieri, Hyland, 1994).
Recenti studi su animali e in vitro hanno mostrato che la supplementazione di ademetionina migliora l’attività delle glutatione S-transferasi (GST), enzimi che catalizzano la coniugazione di molecole tossiche con il glutatione. Il morbo di alzheimer è stato associato a una ridotta attività di tali enzimi, ridotti livelli di ademetionina e ad aumento della S-adenosilomocisteina. L’utilizzo di un mix di ademetionina e vitamine ha migliorato l’umore, la funzione cognitiva e il tempo di reazione sia nei pazienti con morbo di alzheimer allo stadio iniziale sia nei soggetti adulti e anziani non colpiti da demenza (Cavallaro et al., 2010; Morrison et al., 1996).
L’efficacia e sicurezza dell’ademetionina è invece controversa nel morbo di parkinson. Uno studio pilota ha dimostrato che l’ademetionina possa avere alcuni effetti positivi sull’umore e sulla depressione associati a tale patologia (Di Rocco et al., 2000) ma si ritiene che possa interferire con l’attività della levodopa nella somministrazione a lungo termine (Muller et al., 2005).
Ademetionina e tumori
L’ademetionina si è rivelata in grado di inibire in modo dose-dipendente la proliferazione dell’osteosarcoma e la sua metastasi polmonare sia in vitro sia nel topo, dimostrando come il farmaco sia in grado di operare la metilazione del DNA in modo specifico, silenziando i geni critici nella genesi delle metastasi ma non quelli che sopprimono il tumore (Surabhi et al., 2015).
Considerazioni analoghe erano emerse in uno studio che indagava la capacità di metilazione dell’ademetionina a livello di alcuni promotori (c-myc, H-ras) degli oncogeni che nel cancro allo stomaco e al colon risultano ipometilati e del soppressore tumorale della proteina p16 (nota anche come proteina INK4a) (Jin et al., 2010). I risultati indicarono che l’ademetionina inibiva la crescita tumorale tramite metilazione dei promotori degli oncogeni e conseguente down-regulation del livello del loro mRNA mentre non alterava significativamente l’espressione di p16.
L’ademetionina è risultata in grado di ridurre il rischio di tumore al colon in vivo. In considerazione del fatto che l’infiammazione cronica del colon è un fattore di rischio per lo sviluppo del carcinoma in tale sede, alcuni ricercatori eseguirono, nel 2012, uno studio sui topi che aveva come obiettivo la valutazione dell’effetto dell’ademetionina sull’espressione di alcuni mediatori dell’infiammazione e della carcinogenesi del cancro al colon (Tony et al., 2012). Essi scoprirono che l’ademetionina e la metiltioadenosina (il metabolita che origina durante la reazione di amminopropilazione) non modificano l’espressione del TNF-α (che gioca un ruolo cruciale nello sviluppo del tumore al colon) né dell’ossido nitrico sintasi inducibile (iNOS) ma sono in grado di indurre apoptosi delle cellule tumorali e di inibire molti segnali responsabili della genesi di tale tumore come la beta-catenina, l’interleuchina-6, il fattore nucleare kappa (BNF-kB) in maniera TNF-α indipendente (Tony et al., 2012).
Uno studio long-term ha dimostrato che l’iniezione intramuscolare di ademetionina (384 μmol/kg/die) per 24 settimane nei ratti iniziati con dietilnitrosammina, è in grado di inibire lo sviluppo dei noduli persistenti nel fegato e del carcinoma epatocellulare e di indurre apoptosi delle cellule pre-neoplastiche (Pascale et al., 1992).
Ademetionina e fegato
L’ademetionina è deputata alla regolazione di importanti funzioni epatiche come la rigenerazione, la differenziazione e la resistenza a vari tipi di sostanze tossiche (Mato et al., 2002).
Studi clinici hanno mostrato che i pazienti affetti da cirrosi presentano un blocco metabolico nella conversione epatica della metionina in ademetionina. Ciò comporta un’inefficiente transmetilazione e transolforazione, confermata dal fatto che i pazienti cirrotici presentano basse concentrazioni plasmatiche di cisteina (fondamentale per la sintesi del glutatione) e di colina (Chawla et al., 1990).
La somministrazione di ademetionina ha mostrato la capacità di migliorare la funzione epatica (nei casi meno complessi anche di normalizzarla) di pazienti affetti da cirrosi alcolica e non alcolica (Purohit, Russo, 2002). Studi clinici non controllati hanno evidenziato l’efficacia dell’uso di ademetionina anche in altre malattie epatiche quali la prevenzione e il trattamento dell’epatotossicità indotta dall'alcol, paracetamolo, steroidi e piombo (Friedel et al., 1989).
Una meta-analisi di 6 studi clinici controllati con placebo è stata effettuata al fine di valutare la terapia con ademetionina nel trattamento sintomatico della colestasi intraepatica (IHC) conseguente a diverse patologie epatiche e alla gravidanza. In generale, la risposta terapeutica al trattamento ha richiesto da 15 a 30 giorni e si è rivelata superiore al placebo (endpoint primari erano la riduzione del prurito, la normalizzazione o riduzione di almeno il 50% della concentrazione sierica della bilirubina totale e coniugata, dell’alanina aminotransferasi, della gamma-glutamil transpeptidasi e della fosfatasi alcalina) (Frezza, 1993).
In 4 studi clinici, una dose endovena di 800 mg/die o una dose orale di 1600 mg/die di ademetionina per 2 settimane somministrati a un totale di 639 pazienti affetti da colestasi, malattia epatica acuta o cronica, sono risultati superiori al placebo nel ristoro dal prurito e nel ripristino dei livelli ematici di bilirubina e fosfatasi alcalina.
L’ademetionina (800 mg/die per 2 settimane) è risultata efficace anche nella colestasi intraepatica da gravidanza, permettendo, inoltre, un miglioramento degli indici di funzionalità epatica (Almesio et al., 1990).
L’ademetionina si è dimostrata inefficace rispetto al placebo nel trattare l’incidenza e l’entità del dolore di fondo nei pazienti con pancreatite acuta ricorrente non causata da acidi biliari. Lo studio investigava l’efficacia di una terapia antiossidante di ademetionina in combinazione con selenio e beta carotene rispetto a placebo. Del gruppo che assumeva il mix in esame, 3 pazienti svilupparono un attacco di pancreatite acuta durante la terapia (Bilton et al., 1994).
In uno studio controllato, l’ademetionina è stata co-somministrata insieme alla terapia farmacologica standard (interferone pegilato e ribavirina), alla dose di 400 mg tre volte al giorno, a 80 pazienti affetti da epatite cronica che avevano contratto l’HCV. Dopo 24 settimane di trattamento, sono stati ottenuti risultati statisticamente significativi in relazione alla risposta virologica rapida (RVR) nei pazienti con genotipo virale non-1 nel gruppo che assumeva ademetionina (80% e 65%, rispettivamente). Inoltre, i pazienti in trattamento con ademetionina hanno mostrato minore incidenza di fasi depressive (Bueverov, 2010).
Osteoartrosi
Ampi studi clinici che hanno arruolato circa 22.000 pazienti con osteoartrite (degenerazione cronica della cartilagine articolare, anche nota coma osteoartrosi o artrosi), suggeriscono che la somministrazione di ademetionina eserciti un’attività analgesica, antinfiammatoria e stimoli la sintesi di proteoglicani da parte dei condrociti articolari con effetti collaterali minimi o assenti (Di Padova, 1987).
Uno studio italiano in doppio cieco multicentrico, ha confrontato il profilo di efficacia e tollerabilità dell’ademetionina con placebo e naprossene, un farmaco antinfiammatorio non steroideo. I 734 pazienti reclutati erano affetti da osteoartrite della mano e della colonna vertebrale (rachide), dell’anca (coxartrosi) e del ginocchio (gonartrosi). La somministrazione di ademetionina alla dose di 1200 mg/die, ha mostrato la stessa attività analgesica del naprossene (750 mg/die) e significativamente superiore al placebo (p<0,01). La tollerabilità dell’ademetionina è stata statisticamente superiore a quella del naprossene (p<0,05). I pazienti trattati con ademetionina usciti dallo studio a seguito dell’intollerabilità degli effetti collaterali sono stati 10 mentre nel gruppo con placebo si sono ritirati in 13 (Caruso, Pietrogrande, 1987).
Uno studio randomizzato in doppio cieco e cross-over ha comparato l’ademetionina (1200 mg/die) con celecoxib (200 mg/die) per 16 settimane. Sono stati arruolati 61 pazienti affetti da gonartrosi e analizzati diversi parametri clinici (endpoint): valutazione del dolore, funzionalità articolare, stato d’animo ed effetti collaterali. La valutazione degli endpoint ha permesso di stabilire che non erano presenti differenze statisticamente significative tra i due gruppi. Nella valutazione del dolore l’ademetionina ha presentato un tempo d’insorgenza d’azione più lento rispetto al celecoxib. Il primo mese dello studio, infatti, il celecoxib ha mostrato la capacità di ridurre più velocemente il dolore (p=0,024) ma già dal secondo mese non erano più presenti differenze statisticamente significative tra i due gruppi (p<0,01) (Najm, 2004).
Uno studio di fase IV non controllato ha coinvolto 20641 pazienti con osteoartrite cui è stata somministrata ademetionina come unico farmaco per il trattamento di questa patologia. Il 71% dei pazienti ha considerato il trattamento soddisfacente e solo il 5% ha dovuto sospendere la terapia a causa degli effetti collaterali (Berger, Nowak, 1987). Uno studio randomizzato e controllato con placebo, in doppio cieco e bi-centrico è stato eseguito su 81 pazienti affetti da osteoartrite del ginocchio. Lo schema posologico per il gruppo trattato con ademetionina prevedeva 400 mg/die somministrati in bolo endovenoso per 5 giorni, seguiti da 200 mg tre volte al giorno per altri 23 giorni (600 mg/die). In generale, i pazienti in trattamento con ademetionina dichiararono una significativa riduzione del dolore anche a riposo, rispetto al gruppo che assumeva placebo (p<0,05). L’insorgenza degli effetti dell’ademetionina compariva in media dopo 14 giorni di trattamento. Gli autori hanno concluso, inoltre, che lo schema terapeutico più efficace per l’ademetionina nel trattamento dell’osteoartrosi prevede un primo periodo di somministrazione endovenosa seguita da una orale di mantenimento (Bradley et al., 1994).
Fibromialgia
Uno studio controllato e in doppio cieco ha valutato l'efficacia di ademetionina rispetto al placebo nel trattamento della fibromialgia primaria. Sono stati arruolati 44 pazienti a cui sono stati somministrati, per via orale, 800 mg/die di ademetionina per sei settimane. Endpoint primari prevedevano la valutazione dei tender points (letteralmente punti dolorabili, sono dei punti del corpo che risultano dolorosi alla pressione se la persona soffre di fibromialgia), della forza muscolare isocinetica, del decorso clinico della malattia, dei sintomi soggettivi (scala analogica visiva), dell’umore e degli effetti collaterali. Nel gruppo trattato con ademetionina si sono registrati miglioramenti rispetto al placebo nel decorso della malattia (p=0,04), nella sensazione del dolore provato (p=0,002), nell’affaticamento (p=0,02), nella rigidità mattutina (P=0,03) e nell'umore (tramite valutazione Face Scale, p=0,006) (Jacobsen et al., 1991).
In un altro studio clinico controllato con placebo, doppio cieco, cross-over (pazienti arruolati: 34) la somministrazione per endovena di ademetionina (600 mg/ die) per 10 giorni non ha evidenziato differenze rispetto al placebo nel ridurre la dolorabilità dei tender points (endpoint primario dello studio), mentre è stata associata ad un miglioramento (vicino alla significatività statistica) della percezione soggettiva di dolore a riposo, dolore associato al movimento, benessere complessivo, fatigue (lieve miglioramento), qualità del sonno, rigidità mattutina (Volkmann et al., 1997).