L’infliximab è indicato nella terapia del morbo di Crohn in fase attiva, grave, in pazienti adulti che non rispondono ai trattamenti con corticosteroidi e/o immunosoppressori. (leggi)
Riportiamo di seguito la posologia di infliximab nelle diverse indicazioni terapeutiche. (leggi)
L’infliximab è controindicato in caso di ipersensibilità, inclusa quella alle proteine murine. (leggi)
Prima di somministrare infliximab effettuare un’anamnesi accurata per infezioni croniche o recidivanti, tubercolosi (incluso fattori di rischio per TBC), vaccinazione recente con vaccini vivi attenuati, tumori maligni, gravidanza. (leggi)
Negli studi clinici l’associazione di infliximab e abatacept o anakinra ha determinato un aumento del rischio di infezioni opportunistiche senza aumentare i benefici clinici per il paziente. (leggi)
L’incidenza degli effetti collaterali causati da infliximab è elevata (76% vs 57% dei pazienti rispettivamente con infliximab e placebo). (leggi)
La somministrazione di infliximab fino a 20 mg/kg (sovradosaggio) non è stata associata a tossicità sistemica. (leggi)
L’infliximab è un anticorpo monoclonale chimerico IgG1k, attivo verso il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-alfa, Tumor Necrosis Factor alpha). (leggi)
L’infliximab è somministrato per via endovenosa, mediante infusione singola di 5 mg/kg. (leggi)
L’infliximab è un anticorpo monoclonale con peso molecolare pari a 149.000 Dalton (leggi)
Le informazioni contenute nella ricerca Pharmamedix dedicata a infliximab sono state analizzate dalla redazione scientifica con riferimento alle fonti seguenti. (leggi)
Infliximab è prescrivibile nelle specialità commerciali Flixabi, Inflectra, Remicade, Remsima, Zessly. (leggi)
L’infliximab è un anticorpo monoclonale che inattiva il fattore di necrosi tissutale TNF-alfa. Il TNF-alfa è una proteina pro-infiammatoria prodotta da cellule del sistema immunitario che svolge un ruolo chiave nei processi di infiammazione cronica.
L’infliximab appartiene alla classe dei farmaci biologici che comprende anche etanercept, adalimumab, efalizumab, alefacept.
L’infliximab è un farmaco efficace nella terapia del morbo di Crohn di grado moderato o grave, refrattario ad altri trattamenti farmacologici, nella psoriasi a placche e nell’artrite psoriasica, nell’artrite reumatoide per il trattamento a medio termine della malattia e per il controllo delle riacutizzazioni, nella colite ulcerosa e nella spondilite anchilosante. E’ approvato in ambito pediatrico per il trattamento del morbo di Crohn e della colite ulcerosa.
L’infliximab è somministrato in infusione endovenosa della durata di due ore alla dose di 3 mg/kg (artrite reumatoide) oppure 5 mg/kg (morbo di Crohn, psoriasi, colite ulcerosa, spondilite anchilosante) secondo uno schema che prevede la somministrazione alle settimane 0, 2, 6 quindi ad intervalli di 8 settimane (due mesi).
La somministrazione di infliximab può essere accompagnata da reazioni all’infusione, che possono comparire subito o dopo diverse ore. É quindi importante monitorare il paziente per circa le due ore che seguono l’infusione di infliximab. Il pre-trattamento con antistaminici, cortisone, paracetamolo può ridurre la comparsa delle reazioni all’infusione.
L’infliximab è controindicato in caso di ipersensibilità, inclusa anche quella verso le proteine murine; in caso di infezioni sistemiche (l’attività immunosoppressiva di infliximab aumenta il pericolo di infezioni sistemiche gravi); in caso di tumori (infliximab è associato ad un aumento del rischio potenziale di linfoma nei bambini e nei giovani); in caso di insufficienza cardiaca grave (classe NYHA III e IV) (l’infliximab aumenta il rischio di ospedalizzazione e mortalità in questa classe di pazienti); in caso di vaccinazione con vaccini vivi attenuati (possibile risposta immunologica non adeguata con rischio di infezione).
Gli aspetti più problematici della terapia con infliximab sono rappresentati dal rischio di infezioni opportunistiche e di linfoma. Tale rischio è connaturato al meccanismo d’azione del farmaco biologico: l’inibizione del TNF-alfa. Il Tumor Necrosis Factor gioca un ruolo fondamentale nella risoluzione delle infezioni intracellulari e partecipa ai processi di differenziazione e proliferazione cellulare e di morte cellulare programmata (apoptosi) (la funzione pro-infiammatoria del TNF alfa è comunque prevalente sui processi biochimici di differenziazione cellulare e apoptosi).
In pazienti trattati con infliximab sono state segnalate tubercolosi (tubercolosi miliari, tubercolosi con localizzazione extrapolmonare), sepsi, polmonite, faringite invasiva, pneumocistosi, istoplasmosi, infezioni da citomegalovirus, infezioni da micobatteri atipici, listeriosi, aspergillosi.
La riattivazione dell’infezione latente da Mycobacterium tuberculosis è una delle principali complicanze dei trattamenti con gli inibitori del TNF-alfa, più frequente con infliximab e adalimumab rispetto ad etanercept (studi clinici caso-controllo). Prima di iniziare la cura con infliximab è pertanto opportuno escludere la presenza di tubercolosi in fase attiva tramite test cutaneo con tubercolina PPD (intradermoreazione secondo Mantoux) e radiografia del torace.
L’infliximab è risultato riattivare anche il virus Herpes zoster. Nei pazienti che presentano l’infezione da Herpes zoster (Fuoco di Sant’Antonio) in corso di trattamento con infliximab, è necessario interrompere la somministrazione del farmaco biologico.
La terapia con infliximab è stata associata anche a riattivazione dell’epatite cronica B (infezione da virus HBV). Pertanto si raccomanda di vaccinare i pazienti per i quali sussista il dubbio di una precedente profilassi. I pazienti, candidati ad una terapia con infliximab, che risultano HBsAg-positivi (infezione virale in atto) devono iniziare la terapia antivirale almeno un mese prima rispetto alla data programmata per iniziare la cura con infliximab. Per i pazienti HBsAg negativi ma anti-HBc positivi (gli anticorpi anti-HBc compaiono in corso di infezione da virus HBV) è necessario verificare la positività per il DNA virale (HBV-DNA). In caso di positività deve essere iniziata la terapia antivirale.
A differenza di quanto osservato per l’epatite B, l’infliximab non è risultato influenzare l’andamento dell’epatite C cronica.
Il rischio potenziale di linfoma associato alla terapia con infliximab è stato messo in evidenza nei trial clinici e confermato nel successivo periodo di sorveglianza postmarketing. Nei pazienti trattati con infliximab per artrite reumatoide o morbo di Crohn nei trial clinici l’incidenza di linfoma è risultata 6 volte (12 casi/10.000 pazienti-anno dopo follow up di 1,1 anni) quella osservata nella popolazione generale (dati aggiornati 2004). Durante la sorveglianza postmarketing, nei pazienti trattati con infliximab in associazione a azatioprina o 6-mercaptopurina, è stato osservato un aumento delle segnalazioni di linfoma epatosplenico a cellule T (pazienti con età =/< 30 anni). Sulla base dei dati di letteratura, nell’aprile 2011 la FDA ha iniziato una procedura di rivalutazione del profilo di sicurezza, relativamente al rischio di tumore, dei farmaci anti TNF-alfa.
L’uso di infliximab in una popolazione ancora in età fertile solleva il problema della sicurezza del farmaco in gravidanza. I dati di letteratura disponibili sono limitati, ma sulla base delle osservazioni raccolte (registri di sorveglianza e case-report) il farmaco non sembrerebbe indurre tossicità embriofetale. Nella donna, l’infliximab attraversa la placenta a partire dalla fine del secondo trimestre di gravidanza, pertanto il periodo compreso fra concepimento e sesto mese dovrebbe essere associato ad un basso rischio fetale. L’interruzione della somministrazione di infliximab durante il terzo trimestre riduce ulteriormente l’esposizione fetale al farmaco e può considerarsi un intervento di tipo precauzionale.
La FDA ha inserito l’infliximab in classe B per l’uso in gravidanza. In questa classe sono inseriti i farmaci per i quali gli studi riproduttivi sugli animali non hanno evidenziato un rischio per il feto e non sono disponibili studi analoghi nell’uomo e i farmaci per i quali gli studi preclinici in vivo hanno mostrato tossicità (oltre a decremento della fertilità), ma tali effetti tossici non sono stati confermati in studi controllati in donne nel primo trimestre di gravidanza e non c’è evidenza di danno nelle fasi avanzate della gravidanza.
Per quanto riguarda l’esposizione neonatale all’infliximab in seguito ad allattamento al seno, la quantità di farmaco che passa al bambino è considerata trascurabile per avere effetti clinici significativi (la maggior parte degli studi disponibili riporta concentrazioni di infliximab nel latte materno non misurabili; in uno studio clinico, la concentrazione di infliximab nel latte materno è risultata pari a 1/200 volte quella plasmatica materna).
Nei trial clinici circa i 3/4 dei pazienti trattati con infliximab ha evidenziato
effetti collaterali (incidenza degli effetti collaterali: 76% vs 57% dei pazienti
rispettivamente con infliximab e placebo). Compaiono con più frequenza
cefalea, nausea, infezioni respiratorie del tratto superiore e reazioni correlate
all’infusione.
In circa il 5-10% dei pazienti sono state riscontrati dolore addominale, faringite,
febbre, vomito, tosse, rash, dolore, rinite, sinusite, infezioni urinarie, affaticamento
e prurito.
Reazioni avverse gravi interessano circa il 4,4% dei pazienti e comprendono
polmonite e difficoltà respiratoria (dispnea).
Nei pazienti pediatrici con malattia di Crohn (età: 2-17 anni), i seguenti
effetti avversi sono stati osservati con più frequenza rispetto ai pazienti
adulti: anemia (10,7%), sangue nelle feci (9,7%), leucopenia (8,7%), vampate
di calore con arrossamento cutaneo (8,7%), infezioni virali (7,8%), neutropenia
(6,8%), fratture ossee (6,8%), infezioni batteriche (5,8%), reazioni allergiche
coinvolgenti il tratto respiratorio (5,8%).
L’infliximab è stato associato a epatotossicità, in alcuni casi anche grave (insufficienza epatica con esito fatale o che ha richiesto trapianto dell’organo). L’aumento delle transaminasi epatiche oltre 3 volte il limite massimo ha interessato fino al 10% dei pazienti.
L’inibitore del TNF-alfa ha manifestato in rari casi tossicità neurologica: neurite ottica, convulsioni, comparsa e/o esacerbazioni di patologie demielinizzanti inclusa la sclerosi multipla
L’infliximab può indurre reazioni di ipersensibilità: febbre, brividi, orticaria, dispnea, ipotensione. Sintomi di ipersensibilità ritardata hanno incluso mialgia e/o artralgia, febbre e/o rash, prurito, edema facciale e/o alla mano e/o alle labbra, difficoltà a deglutire (disfagia), orticaria, mal di gola e cefalea. Reazioni di ipersensibilità ritardata sono comparse raramente nei trial clinici, ma l’aumento della durata degli intervalli di tempo liberi dal farmaco sembra incrementarne il rischio.
Nel morbo di Crohn, malattia infiammatoria cronica caratterizzata dalla formazione di fistole e granulomi a livello della parete intestinale, l’infliximab è utilizzato nei pazienti con malattia grave che non rispondono ai farmaci di prima linea (corticosteroidi e immunosoppressori). L’infliximab è risultato efficace sia come terapia di induzione per ottenere la remissione della malattia sia come terapia di mantenimento per mantenere la remissione clinica e sospendere la terapia corticosteroidea. Nei pazienti con malattia fistolizzante in fase attiva, l’infliximab è risultato efficace nel ridurre il numero di fistole (almeno del 50%) e nel mantenere la cicatrizzazione delle stesse (durata media: 40 settimane). La somministrazione di infliximab in caso di morbo di Crohn fistolizzante ha permesso di ridurre il ricorso all’intervento chirurgico.
L’infliximab è risultato efficace anche nel trattamento del morbo di Crohn nei bambini e negli adolescenti. I pazienti responsivi al farmaco nella fase di induzione presentano una probabilità maggiore di rimanere in remissione clinica anche durante la terapia di mantenimento.
Nel trattamento della psoriasi, malattia cronica della pelle, l’infliximab ha determinato riduzione dell’infiammazione (miglioramento del 75% dell’indice PASI, Psoriasis Area and Severity Index) nel 50-80% dei pazienti (durata massima dei trial clinici: 12 mesi) e la sua efficacia terapeutica è risultata superiore a quella del metotrexato. Attualmente il farmaco è approvato per il trattamento della psoriasi a placche di grado moderato-grave nei pazienti che non rispondono al metotrexato o alla terapia PUVA (psoralene più raggi UVA).
L’infliximab è risultato efficace anche nel trattamento dell’artrite psoriasica, sia a breve che a lungo termine, indipendentemente dalla co-somministrazione di metotrexato (studi clinici IMPACT I e II).
Nei pazienti con artrite reumatoide l’uso di infliximab ha permesso di ottenere risultati clinici significativi in caso di mancata risposta terapeutica con i farmaci DMARDs (farmaci “modificanti a malattia” che includono sali d’oro, penicillamina, azatioprina, idrossiclorochina, salazopirina, metotrexato e ciclosporina). L’inibizione del processo infiammatorio ottenuto con infliximab, permette di prevenire il danno articolare, conseguenza diretta del perpetuarsi dell’infiammazione, e l’invalidità che ne deriva, ostacolando l’evoluzione stessa della malattia. La risomministrazione di infliximab in caso di ricaduta è risultata ancora efficace ma associata ad una durata della risposta terapeutica minore. L’associazione con metotrexato riduce l’immunogenicità dell’infliximab (mediata dalla formazione di anticorpi anti-infliximab).
In caso di colite ulcerosa, infiammazione cronica intestinale che comporta un aumento del rischio di carcinoma del colon-retto, la somministrazione di infliximab è risultata efficace nel trattamento dei pazienti refrattari ai farmaci di prima linea (corticosteroidi e immunosoppressori) sia in pazienti adulti (studi clinici ACT 1 e 2) sia in pazienti pediatrici. L’infliximab è stato inoltre associato ad un minor numero di ricoveri ospedalieri e ad una maggiore probabilità di sospendere la terapia corticosteroidea.
Nel trattamento della spondilite anchilosante, l’infliximab è risultato efficace nel migliorare lo stato di infiammazione articolare già a partire dalla seconda settimana di trattamento. Il farmaco, somministrato nelle fasi iniziali del processo infiammatorio, è risultato efficace nell’indurre regressione del danno a carico delle strutture ossee della colonna vertebrale. Prima dell’approvazione di infliximab, la spondilite anchilosante era trattata con i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e con i farmaci DMARDs (corticosteroidi e immunosoppressori), attivi nel ridurre i sintomi articolari a livello delle articolazioni periferiche, ma non della colonna vertebrale. Inoltre i farmaci DMARDs non sono risultati efficaci nel rallentare il processo evolutivo del danno articolare vertebrale.
L’infliximab ha mostrato attività terapeutica anche nel trattamento della sarcoidosi non responsiva ai farmaci tradizionali, nel trattamento dell’uveite ricorrente in pazienti con spondilite anchilosante, artrite idiopatica giovanile, malattia di Behçet e nel trattamento delle vasculiti (arterite di Takayasu, Granulomatosi di Wegener e Malattia di Kawasaki in età evolutiva).
L’infliximab presenta un andamento della concentrazione plasmatica dose-dipendente nell’intervallo 1-20 mg/kg (la dose impiegata in clinica è di 5 mg/kg, con oscillazioni comprese fra 3 e 10 mg/kg). Il volume di distribuzione (3-5 L) indica una diffusione circoscritta al compartimento vascolare. L’emivita plasmatica è compresa fra 9 e 12 giorni. La somministrazione di infliximab dopo la prima dose, a distanza di 2 e 6 settimane corrisponde ad un profilo concentrazione-tempo prevedibile dopo ciascuna infusione e non determina forme di accumulo di farmaco. La formazione di anticorpi anti-infliximab aumenta la clearance del farmaco. Dopo somministrazione ripetuta di 3-10 mg/kg di infliximab, la concentrazione plasmatica di farmaco è pari a 0,5-6 mcg/ml (dopo 8 settimane).