Cosa chiedere al medico e al farmacista sulla Sindrome di Hashimoto?
Se ritieni di avere i sintomi della sindrome di Hashimoto, o se a qualcuno dei tuoi familiari è stata diagnosticata la sindrome di Hashimoto, parlane con il tuo medico di fiducia.
Ecco alcune domande che potresti porre.
La sindrome di Hashimoto, o tiroidite autoimmune, è la causa più frequente di ipotiroidismo. A seconda della gravità dell’ipotiroidismo e del quadro clinico del paziente, è possibile decidere se iniziare o meno una terapia (somministrazione di levotiroxina).
In gravidanza, l’ipotiroidismo deve essere trattato. Nelle donne ipotiroidee in età fertile che programmano una gravidanza, il trattamento con levotiroxina deve essere adeguato a mantenere un valore di TSH nella porzione inferiore dell'intervallo di riferimento (0,3-2,1 mU/L). Nelle donne incinte, la dose di levotiroxina somministrata deve aumentare poiché gli estrogeni aumentano la concentrazione sierica di TBG (globulina legante la tiroxina) provocando la diminuzione di tiroxina libera. Inoltre il bisogno di ormoni tiroidei aumenta, in quanto necessari per il corretto attecchimento e sviluppo del feto. La gravidanza può smascherare casi di ipotiroidismo in pazienti con tiroidite autoimmune. L'aumento del fabbisogno di tiroxina è in media del 30-50% e può manifestarsi già dalla quinta settimana di gestazione, è quindi raccomandato che le donne aumentino la dose di levotiroxina di circa il 30% non appena viene confermata la gravidanza (Alexander et al., 2017). Inoltre, poiché un aumento del tasso di aborto spontaneo è associato alla presenza di anticorpi anti-tiroide perossidasi, il trattamento precoce con tiroxina può ridurre gli aborti e il parto prematuro (Alexander et al., 2017). Questi risultati suggeriscono che qualsiasi grado di ipotiroidismo, clinico e subclinico, dovrebbe essere trattato in gravidanza.
I pazienti in terapia con levotiroxina dovrebbero essere sufficientemente informati sull’importanza di assumere il farmaco a stomaco vuoto e sull’influenza di alcuni cibi e medicinali sulla biodisponibilità della levotiroxina. L’assorbimento della levotiroxina infatti aumenta considerevolmente a stomaco vuoto, visto che anche il pH acido dello stomaco gioca un ruolo importante nell’assorbimento. Per questo viene raccomandato di assumere il farmaco a stomaco vuoto la mattina, almeno mezz’ora prima della colazione.
Farmaci in grado di modificare il pH acido dello stomaco, come i gastroprotettori, andrebbero assunti lontano dalla levotiroxina. Altri farmaci in grado di modificare l’assorbimento dell’ormone tiroideo comprendono alcuni multivitaminici contenenti sali di ferro e calcio e alcuni antibiotici. Gli estrogeni sono in grado di modificare la quantità libera di tiroxina, diminuendola, per cui in caso di uso di estrogeni (pillola anticoncezionale o farmaci estrogeno-simili) si consiglia di modulare la dose di levotiroxina.
La soia influenza la concentrazione di tiroxina libera nel sangue. Il caffè può alterare l’assorbimento di levotiroxina per questo sarebbe indicato aspettare almeno mezz’ora tra la somministrazione del farmaco e il caffè. Il selenio è un minerale essenziale, coinvolto in molti processi antiossidanti e di differenziazione degli ormoni tiroidei. La carenza di oligoelementi come il selenio sembra avere un effetto immunomodulatore marcato nell’organismo. Per questo motivo, la supplementazione dietetica con prodotti a base di selenio potrebbe avere un effetto modulatore sulla sindrome di Hashimoto, tiroidite autoimmune, ma le evidenze scientifiche, controverse, non supportano, attualmente, l'uso del selenio come possibile forma di trattamento (Alexander et al., 2017; Caturegli et al., 2014; Garber et al., 2012).
Nei pazienti eutiroidei, in particolare quelli con tiroidite cronica, l'uso sostanziale di alghe contenenti iodio può essere associato ad aumenti dei livelli di TSH. Non esistono dati clinici a supporto dell'uso preferenziale di iodio, o integratori alimentari contenenti iodio come alcuni tipi di alghe, nella gestione dell'ipotiroidismo nelle regioni in cui lo iodio è già introdotto in modo sufficiente con la dieta (Garber et al., 2012).
Alcune ricerche hanno suggerito che un’ipersensibilità alimentare può provocare uno stato infiammatorio specifico e attivare una modulazione immunologica sui linfociti T che contribuisce alla attivazione della autoimmunità. L'alimentazione quindi potrebbe giocare un ruolo importante, soprattutto in pazienti con conclamate intolleranze e/o allergie, per cui diete personalizzate, tese a diminuire l’infiammazione, potrebbero rivelarsi utili in pazienti con malattie autoimmuni.
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