La sifilide, anche nota con il termine “lue” (epidemia, pestilenza), è un’infezione batterica cronica sistemica trasmessa per via sessuale. (leggi)
La sifilide è causata da un batterio, Treponema pallidum, appartenente alla famiglia delle Spirochetacae, ordine Spirochetales. (leggi)
La lesione caratteristica della sifilide primaria è il sifiloma, che si forma in media dopo 2-6 settimane dall’infezione. (leggi)
La diagnosi di sifilide primaria è in genere clinica se la lesione cutanea caratteristica è osservabile (tale lesione può non essere visibile se localizzata in zone del corpo poco accessibili, ad esempio l’ano). (leggi)
Il farmaco di scelta nel trattamento della sifilide è la penicillina G o benzilpenicillina. (leggi)
La sifilide è un’infezione batterica trasmessa per via sessuale. A tutt’oggi non esiste un vaccino per prevenire l’infezione. (leggi)
Se ritieni di avere i sintomi della sifilide, o se a qualcuno dei tuoi familiari è stata diagnosticata la sifilide, parlane con il tuo medico di fiducia. (leggi)
Le medicine non convenzionali tendono ad avere un approccio olistico nei confronti della malattia, tendono cioè a considerare “il malato“ nella sua complessità di individuo, al di là del singolo organo malato. (leggi)
Le informazioni contenute nella ricerca Pharmamedix dedicata alla sifilide sono state analizzate dalla redazione scientifica con riferimento alle fonti seguenti. (leggi)
Che cos'è la Sifilide?
La sifilide, anche nota con il termine “lue” (epidemia, pestilenza), è un’infezione batterica cronica sistemica trasmessa per via sessuale. Se non trattata, nel tempo causa gravi complicanze al sistema cardiovascolare e neurologico con conseguenze permanenti che possono portare alla morte. Si tratta di un’infezione che sembrava scomparsa almeno nei paesi più sviluppati, ma che negli ultimi anni è drasticamente riemersa.
Il batterio responsabile della sifilide è una spirocheta, il Treponema pallidum subspecie pallidum.
La sifilide, endemica in molte regioni del mondo, rappresenta un problema di salute pubblica. Nelle donne in gravidanza è responsabile fino al 40% delle morti perinatali, con importanti deformità fisiche e complicazioni neurologiche nei bambini che sopravvivono.
La sifilide si trasmette per via sessuale (rischio di trasmissione attorno al 30%). Altre vie di trasmissione meno comuni comprendono il contatto diretto non sessuale, la via materno fetale e le trasfusioni. Attualmente la trasmissione per trasfusione è molto rara per i controlli di laboratorio che vengono effettuati sul sangue e per le condizioni di conservazione delle sacche che rendono difficile la sopravvivenza del Treponema pallidum. L’infezione non può essere trasmessa per contatto con oggetti utilizzati da un individuo infetto perché il batterio responsabile della malattia è molto sensibile alle condizioni ambientali. Il rischio di trasmissione in caso di di gravidanza è pari al 60-80%. Nelle donne in gravidanza non trattate, l’infezione può essere trasmessa al feto in qualsiasi momento, a partire dall’ottava-nona settimana di gestazione (trasmissione transplacentare). L’infezione placentare della sifilide aumenta il rischio di trasmissione materno fetale dell’HIV. Nelle donne non trattate, due terzi dei neonati risultano positivi alla sifilide alla nascita (sifilide congenita). Da considerare comunque che il rischio di trasmissione fetale è elevato se la madre presenta sifilide primaria, secondaria o latente precoce; si riduce drasticamente se la madre è affetta da sifilide latente tardiva (Negosanti, 2008; Stamm, 2016).
La sifilide è classificabile in sifilide acquisita e congenita. La sifilide acquisita è l’infezione trasmessa tra individui e si suddivide in primaria, secondaria, latente (precoce e tardiva) e terziaria (neurosifilide). Questa classificazione corrisponde a diversi stadi di malattia che presenta fasi acute intevallate da fasi quiescenti. La sifilide primaria e quella secondaria sono le fasi più infettive. La sifilide congenita, che si divide in precoce (primi due anni) e tardiva, è trasmessa per via materno fetale. Il rischio di trasmissione è maggiore se la malattia è stata contratta dalla madre nei 4 anni precedenti la gravidanza. Il quadro clinico della sifilide congenita dipende dallo stadio di malattia della madre e dal momento in cui avviene la trasmissione dell’infezione: i danni maggiori, incluso l’aborto, si verificano quando la trasmissione dell’infezione avviene nei promi 6 mesi di gravidanza. L’infezione fetale può essere diagnosticata con l’ecografia o tramite la funicolocentesi (Società interdisciplinare per lo studio delle Malattie Sessualmente Trasmesse - SIMaST, 2019; Negosanti, 2008).
Se non trattata l’infezione batterica si diffonde progressivamente a tutto l’organismo, con compromissione e danno multi organo soprattutto a carico del sistema nervoso centrale, dell’apparato urogenitale, cardiovascolare, di occhi, fegato, ossa e articolazioni. L’infezione può essere mortale.
La co-infezione con l’HIV non modifica l’evoluzione clinica della sifilide (la contemporanea presenza del virus non aumenta il rischio di una forma iniziale più aggressiva di sifilide, con danno oftalmico o neurologico) (Janier et al., 2014).
L’infezione non dà immunità permanente. E’ possibile quindi reinfettarsi anche se la presenza degli anticorpi, dovuti alla prima infezione, rende più difficile contrarre nuovamente la sifilide.
La risposta del sistema immunitario al contatto con il Treponema pallidum cambia nei diversi stadi di malattia. In linea generale nell’infezione recente si ha un tasso di proliferazione elevata del Treponema che ostacola la risposta immunitaria cellulare (mediata dai linfociti T) e stimola la risposta immunitaria umorale (produzione di anticorpi). Nelle fasi tardive dell’infezione, il carico di batteri diminuisce e questo comporta una predominanza della risposta immunitaria cellulare su quella umorale. La risposta immunitaria cellulare consente di arginare l’infezione, impedendo la proliferazione e la disseminazione della spirocheta: l’infezione rimane localizata nelle zone specifiche dov’è presente il batterio. La forma latente della sifilide è caratterizzata da un’intensa risposta sia umorale che cellulare del sistema immunitario. Un volta infettato l’organismo, comunque, il sistema immunitario, sebbene in grado di “controllare l’infezione (nella maggior parte dei pazienti la sifilide rimane allo stadio latente, senza evolvere a sifilide terziaria), non è sufficientemente “forte” da eradicare il batterio dall’ospite (Negosanti, 2008).
In Italia, la sifilide è soggetta ad obbligo di notifica e questo consente di controllare nel tempo l’andamento dell’infezione sul territorio nazionale. Secondo i dati forniti dal sistema di sorveglianza, nel periodo 1991-2013, la forma di sifilide più frequente è stata la sifilide latente (9190 casi; 5885 uomini e 3305 donne), che ha rappresentato la seconda patologia più comune (8,9%) tra le infezioni sessualmente trasmissibili. L’andamento della malattia, nel periodo considerato, è stato altalenante con periodi di riduzione dei casi, di stabilizzazione e successivo aumento, leggermente diverso tra uomini e donne, e considerando le diverse forme di sifilide (primaria, secondaria e latente). Per quanto riguarda la sifilide primaria e secondaria, nella popolazione femminile si è avuta una riduzione dei casi fino al 1998, un aumento dal 1998 al 2008 (di circa 15 volte), una stabilizzazione seguita nuovamente da una lieve riduzione fino al 2013. I casi di sifilide latente sono diminuiti fino a 1996, aumentati (2 volte) tra il 1996 e il 2005, e ridiminuiti fino al 2013. Nella popolazione maschile i casi di sifilide primaria/secondaria sono rimasti stabili fino al 2000, quindi hanno subito un aumento tra il 2000 e il 2005 (di circa 6 volte), per ridursi fino al 2012 e subire un secondo aumento nel 2013. I casi di sifilide latente sono diminuiti fino al 1996, aumentati fino al 2005, quindi ridiminuiti fino al 2012 per poi subire un nuovo aumento fino al 2013 (Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità, 2015).
In Europa, l’andamento dei casi di sifilide è risultato diverso tra l’area occidentale e quella orientale. Nella prima, l’incidenza della malattia è andata progressivamente diminuendo a partire dalla seconda guerra mondiale, nella seconda, a partire dal 1989, si è registrato un progressivo aumento dei casi di infezione, arrivando ad un tasso di 120-170 per 100mila abitanti nel 2000. Secondo gli ultimi dati disponibili (2013) il tasso di incidenza generale della malattia nell’area europea (unione europea/spazio economico europeo) è pari a 5,4 casi per 100mila abitanti, con una prevalenza nella popolazione maschile rispetto a quella femminile (5:1, 8,4 casi/100mila uomini vs 1,6 casi/100mila donne). La fascia di età > 25 anni è quella che ha registrato il numero maggiore di casi di sifilide; nella popolazione tra i 14 e i 24 anni, la percentuale dei casi nel 2013 è stata pari al 14%; nella popolazione MSM (uomini che fanno sesso con altri uomini), la percentuale dei casi è risultata del 58% (European Centre for Disease Prevention and Control – ECDC, 2015).
Negli ultimi anni, che hanno visto una recrudescenza dei casi di infezione da sifilide nel mondo occidentale, l’infezione primaria ha interessato prevalentemente la popolazione MSM che ha svolto una sorta di ruolo ponte per diffondere l’infezione nella popolazione femminile con conseguente aumento dei casi di sifilide congenita (0,4 casi ogni 100mila bambini nati vivi) (World Health Organization – WHO, 2018). La sifilide latente (sifilide non diagnosticata in fase precoce) ha interessato la popolazione femminile, soprattutto dell’Europa orientale che ha un’endemia più elevata rispetto all’Italia e ai paesi dell’Europa occidentale. Un altro aspetto importante è legato alla co-infezione sifilide-HIV.
Nel mondo, sulla base dei dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO secondo acronimo inglese per World Health Organization), nel 2015, l’incidenza globale di sifilide, con le dovute distinzioni tra paese e paese, era di 25,1/100mila abitanti (intervallo: 0,1-1664 per 100mila abitanti) e i nuovi casi di sifilide nel 2016 sono stati stimati in 6 milioni con una prevalenza maggiore nei paesi dell’Africa, e a seguire dell’America e dell’area orientale del Mediterraneo (World Health Organization – WHO, 2016 e 2018).