Quali farmaci per la Pertosse?
La pertosse è un’infezione batterica causata dal batterio Bordetella pertussis. La terapia è antibiotica e prevede la somministrazione di antibiotici macrolidi. Il farmaco più utilizzato è l’eritromicina, in alternativa l’azitromicina o la claritromicina. L’azitromicina è preferibile all’eritromicina nei bambini con età minore di 1 mese (la claritromicina non è raccomandata in questa fascia di età) perché l’eritromicina è stata associata a stenosi ipertrofica del piloro (Giacomet, Zuccotti, 2014).
La somministrazione dell’antibiotico nella fase iniziale della malattia (fase catarrale) può portare a miglioramento del quadro clinico, la somministrazione nella fase parossistica limita la diffusione della malattia (eliminazione del batterio dal rinofaringe) ma non porta benefici clinici. La contagiosità dei pazienti trattati con eritromicina si esaurisce nei primi 5 giorni di terapia. Nei pazienti con età =/> 2 mesi intolleranti agli antibiotici macrolidi può essere utilizzata l’associazione trimetoprim/sulfametossazolo (cotrimossazolo).
Per la terapia della pertosse, la dose orale di eritromicina è pari a 10 mg/kg ogni 6 ore (dose massima: 2 g/die) per 14 giorni per lattanti, bambini e adulti. La dose di azitromicina è pari a 10 mg/kg una volta al giorno per 5 giorni nei bambini fino a 5 mesi; pari a 10 mg/kg/die (dose massima: 500 mg) il primo giorno, quindi 5 mg/kg una volta al giorno (dose massima giornaliera: 250 mg) dal secondo al quinto giorno nei bambini a partire dal sesto mese; pari a 500 mg una volta al giono il primo giorno, quindi 250 mg/die nei giorni successivi fino a completare la terapia di 5 giorni. La dose orale di claritromicina è pari a 15 mg/kg/die (dose massima giornaliera: 1 g) da dividere in 2 dosi, per 7 giorni nei bambini (età > 1 mese); pari a 1 g/die da dividere in 2 dosi, per 7 giorni nei ragazzi e negli adulti. La dose orale di trimetoprim/sulfametossazolo è pari a 8 mg/kg/die di trimetoprim più 40 mg/kg/die (da dividere in 2 somministrazioni giornaliere) di sulfametossazolo per 14 giorni nei bambini con età uguale o superiore a 2 mesi; pari a 320 mg/die di trimetoprim più 1600 mg/die (800 mg due volte al giorno) di sulfametossazolo per 14 giorni nei ragazzi e negli adulti (Giacomet, Zuccotti, 2014).
Per alleviare i sintomi associati all’infezione, in particolare la tosse, possono essere somministrati farmaci antitussivi, sedativi, antispasmodici.
Poiché la pertosse è una malattia altamente contagiosa (più dell’80% dei contatti stretti si ammala), le persone a stretto contatto con l’ammalato devono assumere terapia antibiotica. Le dosi di antibiotico indicate per il trattamento della pertosse sono valide anche in caso di profilassi (Giacomet, Zuccotti, 2014). Se tra i contatti stretti ci sono bambini con età inferiore a 7 anni che hanno ricevuto meno di 4 dosi di vaccino (ciclo primario), questi bambini devono essere vaccinati. Nel caso si ammali un bambino che frequenti l’asilo, la profilassi antibiotica deve essere somministrata anche ai bambini che frequentano lo stesso asile, indipendentemente da età e stato vaccinale. La somministrazione dell’antibiotico serve a limitare la circolazione del batterio patogeno. Se sono trascorse più di tre settimane dalla comparsa dei sintomi, la profilassi antibiotica deve essere considerata per pazienti appartenenti a categoria particolarmente a rischio, ovvero lattanti, donne in gravidanza e contatti stretti di lattanti (Giacomet, Zucchetti, 2014).
Poiché l’arsenale terapeutico contro la pertosse è piuttosto limitato (antibiotici macrolidi), altre opzioni terapeutiche possibili sono state e sono attualmente al vaglio dei ricercatori. Due strategie sembrano avere buone potenzialità, una basata sull’impiego di immunonoglubine antipertosse e l’altra sull’inibizione di specifiche proteine target (pendrina e recettori SP1) (Carbonetti, 2016).
Per quanto riguarda le immunoglobuline, in vivo, la somministrazione di forme umanizzate di anticorpi monoclonali murini neutralizzanti la tossina pertossica è stata associata ad una riduzione della leucocitosi e della colonizzazione batterica in modelli di topo e babbuino (Nguyen et al., 2015).
L’acetazolamide è un inibitore dell’anidrasi carbonica utilizzato in clinica per diverse malattie (glaucoma, epilessia, ipertensione endocranica benigna, cistinuria, ectasia). L’anidrasi carbonica catalizza la reazione che da acqua e anidride carbonica (CO2) sintetizza acido carbonico (H2CO3). Somministrata a topi con infezione da B. pertussis, l’acetazolamide ha determinato livelli di infiammazione polmonare significativamente ridotti. E’ stato ipotizzato che l’acetazolamide possa interferire con l’attività della pendrina, proteina transmembrana che funge da trasportatore di anioni (ioni con carica negativa). La pendrina, esportando lo ione bicarbonato (HCO3-), aumenterebbe il pH a livelli ottimali per i mediatori dell’infiammazione sostenendo, in questo modo, il processo infiammatorio polmonare. L’acetazolamide, di contro, riducendo i livelli di bicarbonato esportati, ostacolerebbe l’infiammazione polmonare (Scanlon et al., 2014).
Un altro studio ha evidenziato un possibile ruolo nel trattamento della pertosse per molecole con attività agonista sul recettore per la sfingosina 1-fosfato (S1P). Nella sperimetazione preclinica, la somministrazione per via intranasale di AAL-R (sphingosine-1-phosphate (S1P) receptor ligand 2-amino-4-(4-heptyloxyphenyl)-2-methylbutanol) è stata associata ad una diminuzione significativa dell’espressione delle citochine polmonari e dell’infiammazione polmonare nei topi infettati con B. pertussis. Il meccanismo di AAL-R non è noto ma è probabile che intervenga nell’attenuare (down regulation) l’attività di una molecola chiave per la risposta infiammatoria all’infezione batterica (Skerry et al., 2015).