Quali sono le cause dell'Osteoporosi?
L'osteoporosi riconosce come potenziali cause (Aaseth et al., 2012):
Fattori genetici
L'osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro che riconosce più cause. Alla luce delle ultime evidenze scientifiche, lo sviluppo dell'osteoporosi primaria, non derivante cioè da altre malattie, dipende dalla combinazione di fattori genetici e fattori ambientali. I primi influenzano sia il raggiungimento del picco di massa ossea (densità minerale ossea che si osserva sui 20-30 anni) che la velocità con cui si perde la massa ossea dopo la menopausa o con l'invecchiamento, i secondi (alimentazione, attività fisica, consumo di alcol e/o tabacco, assunzione di farmaci) possono favorire o meno la manifestazione delle caratteristiche genetiche individuali.
Ogni gene è presente nelle cellule dell'organismo in due copie, detti alleli, una ereditata dal corredo cromosomico paterno, l'altra da quello materno. I due alleli possono avere delle differenze nella sequenza dei nucleotidi che li compongono. Quando questo si verifica, si parla di mutazione o polimorfismo a seconda della frequenza di tale variante nella popolazione. La presenza di una mutazione o di un polimorfismo può causare un funzionamento assente o anomalo (per difetto o per eccesso) del gene.
I geni, le cui varianti (polimorfismi) sono stati associati a condizioni di ridotta densità minerale ossea (BMD), comprendono:
Gene per il recettore della vitamina D (VDR)
Il gene VDR (vitamin D receptor) codifica per una proteina recettoriale che regola il trasporto e l'omeostasi del calcio. Le varianti del gene VDR, che comprendono forme mal funzionanti o inattive di tale gene, compromettono il normale assorbimento del calcio determinando un'alterazione della densità minerale ossea (BMD) (Morrison et al., 1992; Boron et al., 2015; Dehghan, Pourahmad-Jaktaji, 2016; Wu et al., 2016). Sebbene i polimorfismi del gene VDR siano associati a valori ridotti di massa ossea, la loro sola presenza non è sufficiente per attribuire il rischio di osteoporosi (Pedrera-Canal et al., 2015).
Gene per il recettore per gli estrogeni (ER)
Il recettore per gli estrogeni (ER) è una proteina presente sulle cellule di organi il cui funzionamento è influenzato dagli ormoni sessuali femminili. Il recettore ER è presente anche nel tessuto osseo. Tale recettore presenta due isoforme, ER-alfa e ER-beta, che si differenziano per alterazioni nella sequenza degli aminoacidi, e che sono codificate da due geni diversi, rispettivamente ESR2 e ESR1. Il recettore ER-alfa lega gli estrogeni, mentre il recettore ER-beta gli antiestrogeni; entrambe le isoforme sono coinvolte nella determinazione della densità minerale ossea nei due sessi. Il gene ESR1 presenta diversi polimorfismi, ma l'attenzione dei ricercatori si è focalizzata su due polimorfismi indicati come P-p e X-x. A seconda della combinazione delle varianti genetiche possono essere identificati diversi genotipi. Il genotipo PP è caratterizzato da una ridotta risposta agli estrogeni prodotti dall'organismo e quindi da una densità minerale ossea più bassa e un rischio di osteoporosi più alto; anche il genotipo XX è associato a valori bassi di BMD (Kobayashi et al., 1996; Ivanova et al., 2007).
Gene per il collagene di tipo I (gene COLIA1)
I geni per il collagene di tipo I (COLIA-1 e 2) rivestono un ruolo fondamentale nella formazione di nuovo tessuto osseo perché codificano per una proteina, il protocollagene di tipo I, da cui deriva il collagene I che rappresenta il costituente principale (90%) della matrice ossea. I ricercatori hanno individuato una correlazione tra un polimorfismo del gene COLIA-1, la densità minerale ossea (BMD) e il rischio di sviluppare fratture vertebrali nelle donne in post-menopausa (Langdhal et al., 1998). Tale correlazione è dipendente da un particolare genotipo (genotipo Sp1) che presenta una mutazione nella sequenza nucleotidica del gene COLIA-1 che si associa ad una maggiore suscettibilità alle fratture vertebrali; tale genotipo è risultato molto più frequente nelle popolazione caucasica rispetto a quella africana o asiatica (Beaven et al., 1998).
Gene per l'aromatasi
Il gene per l'aromatasi, noto come CYP19, codifica per il complesso aromatasi-citocromo P450 che catalizza la conversioni degli androgeni, ormoni maschili, in estrogeni, ormoni femminili.. Il complesso enzimatico viene prodotto anche nel tessuto osseo, in particolare negli osteoblasti, confermando come anche in questo distretto corporeo si producano ormoni steroidei. Le modificazioni genetiche che causano inattivazione del gene per l'aromatasi sono associate ad un incremento del turnover osseo per carenza estrogenica (Masi et al., 2004).
Gene IGF-1
Il gene per il fattore di crescita insulino-simile, noto come IGF-1 (Insuline Grow Factor 1) codifica per una proteina, l’IGF-1 sierico. Tale proteina modula e coordina diverse funzioni dell'organismo tra cui la determinazione della massa ossea e la proliferazione e differenziazione dei condrociti, cellule del tessuto cartilagineo, esercitando un effetto di stimolo sulla sintesi del collagene di tipo I e di osteocalcina e favorendo uno sviluppo armonico dell'individuo nella fase puberale (Brandi et al., 2004). Studi recenti hanno evidenziato la presenza di un polimorfismo (allele 192-bp) del gene IGF-1 che correla con il rischio di fragilità ossea in donne in post-menopausa (le donne che non presentano l’allele 162-bp o che sono eterozigoti per quest’allele presentano un maggior rischio di frattura per fragilità ossea) (Rivadeneira et al., 2004).
Gene LRP5
Il gene LRP5, acronimo di Low Density Lipoprotein Reception-related Protein-5, codifica per la proteina transmembrana della famiglia dei recettori per le LDL che regola tanto la formazione degli osteoblasti quanto quella del tessuto osseo. Alcuni polimorfismi del gene LRP5 si associano ad un maggior rischio di osteoporosi, bassa densità minerale ossea (BMD) e fratture (Giroux et al., 2008; van Meurs et al., 2008; Richards et al., 2008; Grundberg et al., 2008; Saarinen et al., 2007).
Gene per il recettore della calcitonina
La calcitonina è un importante regolatore di differenti funzioni dell’organismo, dalla vasodilatazione alla filtrazione glomerulare fino alla modulazione della densità ossea. Il suo recettore CTR (calcitonin receptor) è una proteina recettoriale appartenente alla superfamiglia dei recettori transmembrana a sette domini proteina G-dipendente. Modificazioni genetiche del gene CTR (nello specifico si tratta di polimorfismi a singolo nucleotide) si correlano ad una aumentata suscettibilità all’osteoporosi e a danni femorali, ma con bassa evidenza di fratture vertebrali (Masi, Brandi, 2007).
Gene per l'osteoprotogenina
Il gene per l’osteoprotogenina (gene TNFRSF11B) codifica per una proteina recettoriale della superfamiglia dei recettori del fattore di necrosi tumorale (TNF, Tumor necrosis factor). L’interazione fra recettore e ligando modula differenti funzioni fisiologiche tra cui la regolazione della produzione degli osteoclasti, le cellule del tessuto osseo deputate alla rimozione della matrice ossea. L’osteoprotogenina gioca un ruolo determinante nel rimodellamento osseo, processo che garantisce l’integrità strutturale ossea. L’osteoprotogenina è risultata uno dei fattori chiave della differenziazione degli osteoclasti. Uno dei polimorfismi del gene codificante l’osteoprotogenina è risultato associato ad un aumento dell’attività osteoclastica e conseguentemente ad un maggior rischio di osteoporosi (Richards et al., 2008; Jorgensen et al., 2004).
Malattie ormonali
Alcune patologie endocrine possono aumentare la suscettibilità del paziente a sviluppare un quadro clinico osteoporotico. Queste patologie comprendono:
Menopausa precoce
La menopausa precoce è una forma di menopausa che si manifesta prima dei 40 anni e che può essere dovuta ad un anomalo deficit della funzionalità ovarica oppure essere indotta da interventi chirurgici o terapie farmacologiche. La menopausa precoce manifesta sul tessuto osseo gli stessi effetti della menopausa fisiologica, che si verifica normalmente nelle donne dopo i 50 anni.
Amenorrea
L’amenorrea identifica la condizione di assenza del ciclo mestruale. Si parla di amenorrea primaria quando, al compimento del 16esimo anno, non è ancora comparso il primo ciclo mestruale (menarca). Si parla di amenorrea secondaria quando si verifica un’interruzione del ciclo mestruale in ragazze o donne con ciclo mestruale regolare. Il deficit estrogenico associato ad amenorrea può comportare perdita di massa ossea e riduzione del picco di massa ossea che in età più avanzata potrebbe favorire il rischio di frattura per fragilità (Davies et al., 1990; Warren et al., 2002; Vescovi et al., 2008).
Ipogonadismo
L’ipogonadismo è una condizione patologica caratterizzata da ridotti livelli di ormoni sessuali nella donna (estrogeni) e nell’uomo (androgeni). Se non corretto, l’ipogonadismo determina alterazioni a livello del metabolismo osseo venendo meno gli effetti degli ormoni sessuali in età prepuberale (accrescimento in lunghezza e in spessore dell’osso stimolato dal testosterone e chiusura delle epifisi stimolata dagli estrogeni) e adulta (mantenimento della massa ossea trabecolare da parte degli estrogeni; da considerare che parte del testosterone è convertito a estrogeni per azione dell’enzima aromatasi e che pertanto tali ormoni condizionano la qualità dell’osso anche nel maschio) (Segen, 2006).
Iper/ipotiroidismo
La tiroide è una ghiandola endocrina, posta alla base del collo, anteriormente alla trachea, il cui compito principale è quello di regolare il metabolismo basale dell’organismo umano e le funzioni cardiaca e neurologica. La tiroide produce due tipi di ormoni: gli ormoni tiroidei, triiodotironina (T3) e tetraiodotironina o tiroxina (T4) e la calcitonina, ormone con azione ipocalcemizzante.
In caso di eccessiva attività della tiroide (ipertiroidismo) si assiste ad un’accelerazione della perdita di massa ossea e a ridotto assorbimento di calcio con la dieta/aumento perdita dello stesso ione con le urine, con effetti negativi sul processo di rimodellamento osseo (perdita di massa ossea e aumento del rischio di fratture osteoporotiche) (Cummings et al., 1995; Bauer et al., 2001; Bassett, Williams, 2003; Abrahamsen et al., 2014; Sarezky et al., 2016). Un aumento del rischio di frattura ossea si associa anche a condizioni di ipotiroidismo, quando cioè la produzione di ormoni tiroidei è insufficiente (Vestergaard, Mosekilde, 2002; Mirza, Canalis, 2015).
Ipercortisolismo
L’ipercortisolismo, o sindrome di Cushing, è una condizione clinica caratterizzata da elevati livelli di ormoni glucocorticoidi, in particolare cortisolo. La sindrome di Cushing porta ad obesità localizzata al tronco, ipertensione, intolleranza al glucosio, osteoporosi e infezioni generalizzate. L’eccesso di glucocorticoidi comporta perdita di massa ossea, in particolare di osso trabecolare, come conseguenza di diversi fattori che influenzano sia la formazione che il riassorbimento del tessuto osseo. I glucocorticoidi infatti riducono la popolazione di cellule osteoblastiche per inibizione della replicazione e differenziazione dei loro precursori e per induzione della morte cellulare programmata (apoptosi) delle cellule mature; aumentano il riassorbimento osseo stimolando la formazione degli osteoclasti (osteoclastogenesi); inibiscono la secrezione di ormone somatotropo (GH) e compromettono l’asse GH/IGF-1; inducono iperparatiroidismo secondario dovuto all’azione diretta dei glucocorticoidi sull’assorbimento intestinale di calcio (inibizione) e sull’escrezione renale dello ione (aumento); inibiscono la secrezione di gonadotropine determinando un quadro di ipogonadismo secondario; inducono apoptosi delle cellule osteocitiche, coinvolte nei processi di riparazione del tessuto osseo in caso di microdanni (Albanese, Passariello, 2009; Mirza, Canalis, 2015). Nei pazienti con sindrome di Cushing la densità minerale ossea (BMD) è ridotta del 40-60% e nel 16-17% dei pazienti si osservano fratture ossee, soprattutto vertebrali e costali (Albanese, Passariello, 2009).
Iperparatiroidismo
L’iperparatiroidismo è causato da una eccessiva secrezione di paratormone (PHT). Il paratormone (o ormone paratiroideo) è un ormone proteico indispensabile per la regolazione del metabolismo del calcio. L’ormone è secreto dalle ghiandole paratiroidi posizionate in prossimità della tiroide, precisamente due sopra e due sotto la tiroide. Il paratormone stimola il riassorbimento del calcio a livello renale e a livello del tessuto osseo, favorendo pertanto l’aumento di ione calcio in circolo. Inoltre favorisce la conversione della vitamina D nella forma attiva (calcitriolo) che a sua volta interviene nell’assorbimento intestinale di calcio. In condizioni di bassi livelli ematici di calcio, quindi, le ghiandole paratiroidi rilasciano l’ormone paratiroideo che agendo a livello intestinale, renale e osseo, determina un aumento del calcio sierico. Viceversa, in condizioni di livelli sierici di calcio elevati, le paratiroidi legano il calcio sulla loro superficie cellulare tramite specifici recettori e tale legame inibisce la produzione di paratormone.
L’iperparatiroidismo può essere primario (eccessiva produzione di ormone), secondario (indotto da bassi livelli di calcio nel sangue) e terziario (forma secondaria protratta nel tempo). L’iperparatiroidismo primario può indurre osteoporosi secondaria, dovuta ad un eccessivo riassorbimento osseo indotto dai livelli elevati di paratormone circolante.
Malattie ematiche
Le malattie a carico del sangue possono essere causa di osteoporosi secondaria. Sono associate a osteoporosi la malattie mielo- e linfoproliferative, il mieloma multiplo, la mastocitosi sistemica, la talassemia, le gammopatia monoclonali, l’anemia falciforme e l’emofilia (Rossini et al., 2016). Tali malattie modificano l’omeostasi del calcio e il rimodellamento osseo alterando l’architettura del tessuto osseo e aumentandone la fragilità.
Nel mieloma multiplo ad esempio, l’accumulo delle cellule tumorali nel midollo osseo determina un’amplificazione del processo di riassorbimento del tessuto osseo attuato dagli osteoclasti, mentre la presenza di molecole infiammatorie (citochine chemiotattiche macrofagitarie) inibiscono la formazione di nuovo tessuto osseo (osteogenesi).
La mastocitosi sistemica è una condizione patologica caratterizzata da un eccessivo accumulo di mastociti, particolari cellule del sistema immunitario. Nel tessuto osseo, l’accumulo di mastociti si associa a osteoporosi e fragilità ossea (van der Veer et al., 2012).
Le leucemie sono tumori del sangue causate dalla proliferazione incontrollata di particolari tipi cellulari. Se la cellula tumorale appartiene alla serie mieloide si parla di leucemia mieloide (la vie mieloide porta da un’unica cellula progenitrice alla differenziazione dei granulociti, monociti, macrofagi, piastrine e globulo rosso); se la cellula tumorale appartiene alla serie linfoide si parla di leucemia linfoide (la via linfoide porta da un’unica cellula progenitrice alla differenziazione dei linfociti B, linfociti T, cellule natural killer e cellule dendritiche). Nelle leucemia, l’espansione delle cellule tumorali nel tessuto osseo alterano l’equilibrio fra deposizione di nuovo tessuto e rimaneggiamento del tessuto già esistente causando osteoporosi.
Malattie infiammatorie croniche intestinali
Le malattie infiammatorie croniche intestinali possono essere causa di osteoporosi secondaria. L’intestino ha un ruolo importante e vitale, quello di assorbire i nutrienti e sali minerali fra cui il calcio. Insieme a reni e ossa, l’intestino partecipa alla regolazione dei livelli di calcio nell’organismo (omeostasi calcica).
Il calcio viene assorbito nell’intestino tenue. L’intestino tenue è distinto in duodeno, digiuno e ileo: il calcio è assorbito a livello del digiuno prossimale e dell’ileo. L’assorbimento può avvenire per via transcellulare o paracellulare. A sua volta l’assorbimento transcellulare può essere attivo (saturato da bassi livelli di calcio e regolato dal calcitriolo) oppure sfruttare sistemi di trasporto vescicolari delle cellule intestinali (trasporto endosomiale e lisosomiale). L’assorbimento paracellulare è un sistema di trasporto non saturabile che dipende dalla concentrazione del calcio da trasportare; questo meccanismo non è regolato da fattori molecolari. Ne consegue che qualsiasi processo infiammatorio a carico della mucosa intestinale determinando alterazioni e squilibri tissutali è in grado di influenzare i sistemi di trasporto del calcio, alterandone l’equilibrio (omeostasi) e rappresentando un fattore di rischio per osteoporosi (Arienti, 2015).
Le principali malattie infiammatorie croniche intestinali sono la malattia (o morbo) di Crohn e la colite o rettocolite ulcerosa. La malattia di Crohn è un’infiammazione cronica, recidivante che interessa prevalentemente ileo e colon e che comporta gonfiore e ulcerazioni che coinvolgono tutto lo spessore della parete intestinale. La rettocolite ulcerosa è una malattia autoimmune a carico dell’intestino che colpisce selettivamente la mucosa del retto e del colon discendente. La rettocolite ulcerosa è caratterizzata da diarrea ematica, sensazione di incompleta evacuazione (tenesmo), anemia. Il morbo di Crohn è considerato una malattia autoimmune, così come la rettocolite ulcerosa. Pazienti affetti da queste malattie presentano un elevato grado di predisposizione all’osteopenia e all’osteoporosi (Casals-Seoane et al., 2016; Haschka et al., 2016; Adriani et al., 2014). I fattori di rischio comprendono oltre al malassorbimento di calcio e al deficit di vitamina D, l’incremento di molecole infiammatorie, quali l’interleuchina 1 e 6 e il fattore di necrosi tumorale (TNF), che stimolano l’attività delle cellule deputate al riassorbimento del tessuto osseo (osteoclasti) e l’uso cronico di farmaci glucocorticoidi. Secondo alcuni studi clinici il rischio di frattura ossea in pazienti con malattia di Crohn è pari al 40-50% rispetto a pazienti che non presentano tale infiammazione (Di Prima et al., 2005).
Anche la celiachia si associa a perdita di mass ossea e osteoporosi. Circa un terzo dei pazienti adulti con celiachia soffre di osteoporosi (Meyer et al., 2001). Nei bambini si osserva un ritardo della crescita ossea e della pubertà per problemi di malassorbimento intestinale (Guevara Pacheco et al., 2014). Il ridotto assorbimento di calcio, il paratiroidismo secondario e l’incremento di specifiche molecole proinfiammatorie, come il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF alfa) e le interleuchine 1 e 6, potrebbero essere responsabili dell’aumento dei processi di riassorbimento osseo (Di Stefano et al., 2013).
Malattie reumatiche
Le malattie reumatiche sono determinate da uno stato di infiammazione cronica causata, in genere, da una risposta del sistema immunitario diretta contro molecole o gruppi di molecole che non sono più riconosciute come appartenenti all’organismo stesso (risposta autoimmune). Le malattie reumatiche associate ad osteoporosi comprendono l’artrite reumatoide, la spondilite anchilosante, l’artrite psoriasica, il lupus eritematoso sistemico, la sclerodermia e altre connettiviti. La perdita di densità ossea associata a queste malattie è causata da molteplici meccanismi in parte dipendenti dalla malattia reumatica stessa e in parte dalla terapia farmacologica (Mandi et al., 2016). Tra i meccanismi dipendenti dalla malattia reumatica compaiono la ridotta motilità dovuta all’artropatia, la miopatia, l’insufficienza renale, le disfunzioni endocrine, il rilascio di molecole (citochine) infiammatorie che promuovono la differenziazione e attivazione degli osteoclasti, le cellule deputate al riassorbimento osseo (Zhao et al., 2016; Mirza, Canalis, 2015). La terapia farmacologica può contribuire in senso osteoporotico in quanto si basa sull’uso di corticosteroidi e immunosoppressori.
Trattamenti farmacologici
I farmaci possono causare osteoporosi secondaria tramite uno o più dei seguenti meccanismi:
a) stimolazione dell’attività osteoclastica con conseguente aumento del turnover osseo;
b) soppressione dell’attività osteoblastica, di deposizione di nuovo tessuto osseo;
c) inibizione dei normali processi di mineralizzazione ossea.
Le classi di farmaci più frequentemente associati a osteoporosi e fratture da fragilità ossea comprendono (Rossini et al., 2016):
Glucocorticoidi
I glucocorticoidi (idrocortisone, prednisone, desametasone) causano osteoporosi alle dosi immunosoppressive e antinfiammatorie. L’osteoporosi da glucocorticoidi è la forma più comune di osteoporosi secondaria. Il meccanismo attraverso cui i glucocorticoidi agiscono sul tessuto osseo è duplice: inibiscono l’attività degli osteoblasti, stimolano la maturazione degli osteoclasti (osteoclastogenesi), inducono la morte programmata (apoptosi) degli osteociti. L’osso in pazienti in terapia con glucocorticoidi presentauna carenza nella matrice di elementi minerali essenziali e un diminuito spessore dell’osso trabecolare. Il rischio di frattura osteoporotica aumenta con l’aumentare della dose e dell’esposizione alla terapia glucocorticoidea (van Staa et al., 2002). Mentre le donne in pre-monopausa sono in parte protette verso gli effetti osteoporotici dei glucocorticoidi, le donne in post-menopausa “perdono“ questa sorta di protezione. Infatti in un studio clinico che valutava gli effetti dell’acido alendronico, farmaco indicato per contrastare la perdita di massa ossea, in pazienti in terapia glucocorticoidea, nessuna frattura è stata osservata in donne in pre-menopausa sia nel gruppo trattato con alendronato sia in quello placebo (Saag et al., 1998). A differenza dei glucocorticoidi somministrati per via sistemica, i glucocorticoidi inalati hanno un effetto contenuto sul metabolismo osseo perché assorbiti in minima parte dall’organismo (basso assorbimento sistemico) (Israel et al., 2001).
Inibitori dell’aromatasi
Gli inibitori dell’aromatasi (letrozolo, anastrazolo, examestene) sono farmaci impiegati nel trattamento di alcune forme di tumore al seno (con positività al recettore degli estrogeni) che agiscono inibendo la conversione degli androgeni in estrogeni mediata dall’enzima aromatasi. La riduzione dei livelli di estrogeni che ne deriva può indurre perdita di massa ossea. Gli inibitori dell’aromatasi determinano aumento dei marcatori biochimici del turnover osseo, riducono la densità minerale ossea (BMD) e aumentano il rischio di fratture quando confrontati con il tamoxifene, farmaco antitumorale che inibisce gli effetti degli estrogeni nei tumori al seno che sovraesprimono il recettore estrogenico (Coleman et al., 2007; Eastell et al., 2006; Howell et al., 2005).
Inibitori della ricaptazione della serotonina
Gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI, selective serotonin reuptake inhibitor) e gli inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina (SNRI, selective serotonin and norepinephrine reuptake inhibitor) sono farmaci antidepressivi che possono indurre osteoporosi con rischio di frattura ossea nei pazienti con più di cinquantanni (Moura et al., 2014; Shea et al., 2013; Eom et al., 2012). Il meccanismo non è noto, ma i pazienti trattati con SSRI o SNRI mostrano un aumento dei marker biochimici associati al rimodellamento osseo. Le cellule del tessuto osseo - osteoblasti, osteoclasti e osteociti - presentano sulla loro superficie recettori per la serotonina, neurotrasmettitore la cui carenza a livello delle connessioni delle cellule nervose è associata a depressione. E’ possibile che la serotonina intervenga nell’omeostasi dell’osso (Rizzoli et al., 2012).
Inibitori di pompa protonica
Gli inibitori di pompa protonica (omeprazolo, lansoprazolo, rabeprazolo, pantoprazolo, esomeprazolo) sono farmaci impiegati in caso di iperacidità gastrica. Inattivano irreversibilmente l’enzima (ATPasi H+/K+ dipendente) responsabile della secrezione acida dello stomaco. La relazione esistente fra inibitori di pompa protonica e osteoporosi non è ancora ben chiarita e definita. L’aumento del pH nello stomaco potrebbe ridurre l’assorbimento del calcio con un impatto negativo sull’omeostasi calcica. Alcuni studi hanno evidenziato come una terapia prolungata con questi farmaci possa indurre un aumento, seppur contenuto, del rischio di frattura ossea da fragilità (vertebre, femore) soprattutto quando somministrati per più di un anno (Fraser et al., 2013; Kwok et al., 2011; Gray et al., 2010; Targownik et al., 2008). Altri studi non sostengono vi siano evidenze che permettano di giustificare una relazione fra fratture osteoporotiche e inibitori di pompa protonica (Targownik et al., 2010).
Tiazolidinedioni
I tiazolidinedioni (anche chiamati glitazoni: pioglitazone, rosiglitazone) sono farmaci utilizzati nel trattamento del diabete di tipo 2. Dai dati di letteratura disponibili questi farmaci sono risultati indurre perdita di massa ossea, soprattutto nelle donne in post-menopausa (Lecka-Czernik, 2010; Kanazawa et al., 2010; Glintborg et al., 2008; Kahn et al., 2008; Grey et al., 2007; Schwartz et al., 2006). Il rischio di fratture a omero e femore è risultato aumentato di 3-4 volte (Meier et al., 2008). Il meccanismo potrebbe dipendere dall’attivazione di vie metaboliche che favoriscono la differenziazione di cellule indifferenziate presenti nel midollo osseo in adipociti e non in osteoblasti e/o da effetti inibitori sulla sintesi di estrogeni e androgeni (Beck et al., 2013; Ali et al., 2005; Rzonca et al., 2004; Rubin et al., 2000; Arlt et al., 2001).
Ormoni tiroidei
Gli ormoni tiroidei, triiodotironina (T3) e tetraiodotironina (T4), sono rilasciati dalla ghiandola tiroide e, fra le diverse funzioni, hanno lo scopo di mantenere normali il livello di crescita e di sviluppo osseo e di consentire il raggiungimento del picco di massa ossea nel giovane adulto. Sia l’ipertiroidismo che l’ipotiroidismo sono associati a osteoporosi e rischio di frattura ossea. Inoltre, la terapia ormonale sostitutiva è risultata correlare inversamente con la densità di massa ossea (BMD) ed aumentare il rischio di frattura anche in condizioni di eutiroidismo (livelli di ormoni tiroidei nella norma) (Vestergaard, Mosekilde, 2002). Sembra che il TSH (ormone tireotropo), che stimola il rilascio di ormoni tiroidei, inibisca direttamente il riassorbimento osseo e che la sua soppressione da parte degli ormoni tiroidei possa causare perdita di massa ossea (Abe et al., 2003). Comunque nelle donne in peri-menopausa con eutiroidismo, bassi valori di densità minerale ossea (BMD) sembrano dipendere da alti valori di ormone tiroideo libero, e non da livelli bassi o non rilevabili di TSH (van Rijn et al., 2014).
Anticoagulanti
L’eparina è un anticoagulante utilizzato in caso di tromboembolismo. In vitro, il farmaco è risultato inibire differenziazione e funzionalità degli osteoblasti, le cellule responsabili della formazione della matrice ossea; in vivo l’eparina ha evidenziato anche induzione dell’attività di degradazione del tessuto osseo per induzione della maturazione degli osteoclasti (osteoclastogenesi) (Irie et al., 2007). Circa un terzo dei pazienti in terapia prolungata con eparina manifestano una riduzione dei valori di densità minerale ossea (BMD), anche se il rischio di frattura rappresenta un evento raro (Douketis et al., 1996; Dahlman et al., 1993). Le eparine a basso peso molecolare sembrano essere associate a riduzione della densità minerale ossea e ad un aumento del rischio di frattura, se la somministrazione supera i 3-6 mesi di terapia (Galambosi et al., 2016; Gajic-Veljanoski et al., 2016).
Gli anticoagulanti orali antagonisti della vitamina k (warfarin, acenocumarolo) inibiscono l’accumulo di osteocalcina nella matrice cellulare ossea (per inibizione della formazione di gamma-carbossiglutammato) (Price, Williamson, 1981). Rimane ancora controverso però se tali farmaci possano causare osteoporosi e fratture da fragilità (Sayaka et al., 2015; Rezaieyazdi et al., 2009; Woo et al., 2008; Jamal et al., 1998); è possibile che il rischio possa assumere rilevanza clinica in caso di terapie di durata superiore all’anno (Tufano et al., 2015)
Anticonvulsivanti
I farmaci anticonvulsivanti, o antiepilettici, sono una classe eterogenea dal punto di vista strutturale ma presentano alcune caratteristiche comuni: buon assorbimento dopo somministrazione orale, moderato legame con le proteine plasmatiche, metabolismo epatico, clearance plasmatica medio-lunga con emivita generalmente superiore alle 12 ore.
I farmaci antiepilettici possono causare perdita di massa ossea. Il meccanismo non è chiaro ma è probabile che coinvolga il metabolismo della vitamina D (inattivazione della vitamina D attiva, 1,25-diidrossicolecalciferolo, tramite reazioni di idrossilazione) (Meier, Kraenzlin, 2011; Jones et al., 2014). Alcuni anticonvulsivanti infatti provocano un aumento di tale metabolismo con conseguente aumento del turnover osseo, bassi livelli di 25-idrossi-colecalciferolo (precursore del calcitriolo, forma attiva della vitamina D) e iperparatiroidismo secondario, aumentando il rischio di fratture (Fitzpatrick, 2004; Petty et al., 2007). Tali effetti dipendono dal tipo di farmaco convulsivante e dalla durata della terapia. Da osservare inoltre che con i farmaci anticonvulsivanti induttori degli enzimi citocromiale epatici CYP450 e dell’enzima uridina 5’-difosfoglucuronosiltransferasi - come fenitoina, carbamazepina, fenobarbital e topiramato a dosaggio elevato - il rischio di frattura ossea è risultato più elevato rispetto ai farmaci anticonvulsivanti non induttori. Con fenobarbital, topiramato e fenitoina, i dati di letteratura indicano un aumento del rischio di frattura pari, rispettivamente al 78%, 39% e 70% (Shen et al., 2014). Anche la politerapia è associata ad un aumento del rischio di frattura.
Agonisti dell’ormone rilasciante le gonadotropine (GnRH)
L’ipogonadismo è associato a perdita di massa ossea nella donna e nell’uomo. Nella donna la caduta dei livelli di estrogeni indotti dalla menopausa è la causa principale di ridotta densità minerale ossea (BMD) e osteoporosi (osteoporosi post-menopausale). Gli analoghi dell’ormone rilasciante gonadotropina (es. leuprolide, goserelin) causando ipogonadismo sono associati a ridotta BMD e aumento del rischio di frattura da fragilità ossea. Questi farmaci portano ad una attivazione persistente dei recettori GnRH (GnRH, Gonadotropin Releasing Hormone) che induce una riduzione della secrezione ovarica di estrogeni nella donna e di testosterone e estradiolo nell’uomo con conseguente aumento del turnover osseo. Nei pazienti trattati con analoghi del GnRH in caso di tumore alla prostata avanzato (deprivazione androgenica), è stata osservata una riduzione della BMD vertebrale del 2-8% e della BMD femorale del 2-6% (Hamilton et al., 2010; Greenspan et al., 2007).
Diuretici dell’ansa
I diuretici dell’ansa (furosemide) sono utilizzati quando il cuore non ha sufficiente forza per pompare una quantità di sangue adeguata alle esigenze dell’organismo (insufficienza cardiaca congestizia). L’insufficienza cardiaca congestizia è di per se stessa un fattore di rischio di osteoporosi (van Diepen et al., 2008). I diuretici dell’ansa aumentano l’escrezione renale di calcio per inibizione del suo riassorbimento. Questo può associarsi a ridotta densità minerale ossea (BMD), ad un aumento dei processi di turnover osseo e a rischio di fratture ossee per fragilità (Lim et al., 2008). Anche i diuretici tiazidici sono risultati essere associati a manifestazioni osteoporotiche (fratture vertebrali) probabilmente a causa dei loro effetti di riduzione dei livelli di sodio (iponatriemia) (a differenza dei diuretici dell’ansa, i diuretici tiazidici riducono la perdita di calcio con le urine; i diuretici dell’ansa molto raramente inducono iponatriemia) (Paik et al., 2016).
Antiretrovirali
Gli antiretrovirali sono i farmaci utilizzati nel trattamento della sindrome da immunodeficienza umana (AIDS). I farmaci antiretrovirali possono causare perdita di massa ossea tramite differenti meccanismi: iperparatiroidismo secondario (tenofovir); riduzione dei livelli sierici di vitamina D (inibitori non nucleosidici della transcriptasi inversa, INNRI); riduzione della formazione delle cellule osteoblastiche (inibitori della proteasi). La rilevanza del rischio di frattura da farmaci antiretrovirali non è stato determinato (Rossini et al., 2016). Da considerare comunque che la stessa infezione da HIV aumenta di circa 3-7 volte il rischio di osteoporosi (Triant et al., 2008).
Inibitori della calcineurina
Gli inibitori della calcineurina (ciclosporina, tacrolimus) sono farmaci utilizzati nel trapianto d’organo in quanto immunosoppressori.
In vitro gli inibitori della calcineurina mostrano un effetto inibitorio sulla clasteogenesi e sul riassorbimento osseo confermato anche in vivo. Negli studi clinici invece la somministrazione degli inibitori della calcineurina è stata associata a perdita di massa ossea: ne deriva che il meccanismo che coinvolge la calcineurina deve essere diverso da quello osservato in vitro oppure che l’impatto negativo sul tessuto ossea è da attribuire ai glucocorticoidi associati alla terapia con gli inibitori della calcineurina (Rossini et al., 2016). La ciclosporina nei pazienti sottoposti a trapianto è risultata associata ad un rischio di fratture ossee da osteoporosi pari al 10-34% nel primo anno di terapia (Rossini et al., 2016; Krol et al., 2014).