Quali farmaci per l'Ipertrofia prostatica (IPB)?
Il trattamento farmacologico del paziente con ipertrofia prostatica è finalizzato a migliorare la qualità di vita, attenuando la sintomatologia disurica e riducendo il rischio d una progressione verso un danno vescicale irreversibile. Nei pazienti con disturbi lievi delle basse vie urinarie, in cui il rischio di progressione della patologia è considerato minimo, l’approccio terapeutico raccomandato dalle principali linee guida nazionale e internazionali è quello della “vigile attesa“ (“watchful waiting“).
I farmaci per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna comprendono il gruppo degli alfa-bloccanti (alfuzosin, doxazosin, tamsulosin, terazosin), il gruppo degli inibitori della 5alfa-reduttasi (dutasteride, finasteride) e la mepartricina.
Mentre gli alfa-bloccanti agiscono principalmente sulla muscolatura del collo vescicale inducendo miorilassamento e favorendo quindi lo svuotamento della vescica, gli inibitori della 5alfa-reduttasi e la mepartricina agiscono sul volume della ghiandola prostatica, quindi sul grado di ostruzione esercitato sull’uretra.
I farmaci di prima linea per l'ipertrofia prostatica (IPB) sono rappresentati dagli alfa-bloccanti o alfa-litici (alfuzosin, doxazosin, tamsulosin, terazosin). Questi farmaci bloccano i recettori alfa1 adrenergici presenti nel tessuto urogenitale, prostata e soprattutto collo vescicale, inducendo miorilassamento. La loro azione farmacologica è rapida, evidente già dopo la prima dose, ma si mantiene solo fino a quando il farmaco viene somministrato: cessata la terapia, si annulla l’effetto terapeutico. Approssimativamente, la terapia con alfa-litici comporta un miglioramento di 4-6 punti del punteggio IPSS (scala di valutazione dei sintomi dell'ipertrofia prostatica); sul lungo periodo non riduce però il rischio complessivo di ritenzione acuta d’urina o di intervento chirurgico (l’alfuzosin ha evidenziato un trend positivo, dopo 2 anni di terapia, di riduzione del rischio di intervento chirurgico in pazienti con un rischio di progressione di IPB maggiore rispetto a quello osservato nella popolazione dello studio MTOPS) (Emberton et al., 2008; Vallancien et al., 2008; Roehrborn, 2006). Gli alfa-bloccanti agendo sulla componente dinamica e non meccanica, ritardano la progressione dell’IPB ma non sono in grado di bloccarla (McConnell et al., 2003; Boyle, 2004).
Gli alfa-litici sono associati a possibile comparsa di sintomi (capogiri, ipotensione ortostatica, sonnolenza, difficoltà di concentrazione) dipendenti dall’azione ipotensiva sui recettori alfa1 adrenergici vascolari. Questi farmaci inoltre possono provocare eiaculazione retrograda, ridotto volume dell’eiaculato ed eiaculazione dolorosa. Possono provocare sindrome dell’iride a bandiera (Floppy iris syndrome) nei pazienti con ipertrofia prostatica (IPB) sottoposti a cataratta, pertanto la loro somministrazione deve essere interrotta almeno due giorni prima dell’intervento. Il rischio maggiore per la sindrome dell’iride a bandiera è stato riscontrato per il tamsulosin.
In Italia sono disponibili 4 farmaci alfa-litici per il trattamento dell’ipertrofia prostatica: i tre derivati chinazolinici alfuzosin, doxazosin e terazosin e il derivato metossibenzen-sulfonamidico, tamsulosin. Il terazosin e il doxazosin richiedono la titolazione della dose, mentre il tamsulosin e l’alfuzosin possono essere somministrati a dose piena fin dall’inizio del trattamento. Da un punto di vista della tollerabilità, il tamsulosin presenta una minor incidenza di effetti collaterali di natura ipotensiva a fronte di una maggior incidenza di disturbi dell’eiaculazione rispetto agli altri tre principi attivi.
Gli inibitori della 5 alfa-reduttasi, finasteride e dutasteride, inibiscono l’enzima intracellulare che converte il testosterone in 5 alfa-diidrotestosterone (DHT). Poichè l’aumento di volume della prostata è dipendente dall’azione del diidrotestosterone sulle cellule epiteliali ghiandolari, nei pazienti con ipertrofia prostatica (IPB) gli inibitori della 5alfa-reduttasi agiscono interrompendo la relazione causa-effetto che coinvolge androgeni e tessuto prostatico (soppressione androgenica). Gli inibitori della 5alfa-reduttasi non modificano i livelli di testosterone circolante. Mentre la finasteride è attiva solo sulla isoforma 2 della 5alfa-reduttasi, (forma principale nel tessuto prostatico), la dutasteride è attiva su entrambe le isoforme enzimatiche, 1 e 2. Questo comporta una riduzione maggiore del DHT sierico da parte della dutasteride rispetto alla finasteride; a livello di tessuto prostatico, l’inibizione della sintesi di DHT indotta dai due farmaci risulta sovrapponibile (J. Androl., 1991; Clark et al., 2004). Il meccanismo d’azione degli inibitori della 5alfa-reduttasi richiede del tempo per manifestare effetti clinici: la riduzione del volume prostatico diventa apprezzabile dopo alcuni mesi di terapia (18% dopo 3 mesi e 27% dopo 6 mesi di trattamento con finasteride).
Gli inibitori della 5alfa-reduttasi (finasteride, dutasteride), agendo sulla componente meccanica, sono in grado di bloccare la progressione dell’ipertrofia prostatica. La loro efficacia è risultata significativa in caso di prostata di elevata dimensione (>/= 30 ml) (Kaplan et al., 2011); nei pazienti con volumi prostatici compresi fra 25 e 30 ml il trattamento prolungato con finasteride ha determinato una riduzione delle dimensioni della ghiandola di circa il 25 % (Kaplan et al., 2008). Nei pazienti con rischio di progressione della IPB elevata, pazienti cioè con volume prostatico > 40 ml e/o PSA > 1,4 ng/ml, la finasteride è risultata efficace nel ridurre il rischio di ritenzione acuta d’urina e di intervento chirurgico in più del 50% dei pazienti (McConnel et al., 1998). Analoghi risultati sono stati osservati anche con dutasteride in pazienti con IPB sintomatica (riduzione dell’incidenza di ritenzione acuta d’urina pari al 54% e del ricorso all’intervento chirurgico del 43%) (Debruyne et al., 2004).
In Inghilterra uno studio osservazionale ha valutato l’incidenza di ritenzione acuta d’urina e di intervento chirurgico per IPB in pazienti trattati in ambulatorio per sintomi delle basse vie renali secondari a IPB. Il database riguardava circa 4500 pazienti con IPB. Al termine dello studio è emerso che l’incidenza degli eventi clinici presi in considerazione era più alta nel gruppo in terapia con alfa-litici rispetto a quello trattato con gli inibitori della 5alfa-reduttasi a tutti gli intervalli di tempo considerati nello studio (Boyle, 2004).
Rispetto agli alfa-litici (alfuzosin, doxazosin, tamsulosin, terazosin), gli inibitori della 5 alfa-reduttasi (finasteride, dutasteride) presentano un’azione terapeutica più lenta e lo svantaggio di indurre riduzione della libido, con conseguente impotenza, e ginecomastia. Nei pazienti con ipertrofia prostatica (IPB) inoltre finasteride e dutasteride riducono di circa il 50% il valore di PSA plasmatico, raggiungendo un valore stabile dopo circa 3-6 mesi di terapia, con il rischio di mascherare un eventuale tumore prostatico. In alcuni pazienti l’iperplasia prostatica coesiste con il carcinoma prostatico ed è proprio la prima che permette di scoprire il secondo. Ricordiamo a questo proposito che IPB e tumore originano in due sedi diverse della ghiandola e la prima non evolve nel secondo.
Data la prevalenza del cancro prostatico nella popolazione con ipertrofia prostatica, alcune linee guida suggeriscono nei pazienti trattati con finasteride o dutasteride di (Istituto Superiore di Sanità, Basi Scientifiche per Linee Guida, 2004):
• valutare il PSA prima di iniziare la terapia farmacologica
• eseguire il dosaggio di PSA dopo i primi 6 mesi
• eseguire i dosaggi successivi di PSA ogni 6 mesi se il PSA è diminuito del 50% al primo dosaggio semestrale rispetto al basale; supporre la co-presenza di carcinoma prostatico se il PSA al primo dosaggio semestrale non è diminuito del 50% rispetto al basale
Finasteride e dutasteride non interagiscono con i recettori degli androgeni e degli estrogeni, non modificano sostanzialmente i livelli ematici di testosterone ed estradiolo (il rapporto fra questi due ormoni rimane inalterato), non influenzano la concentrazione plasmatica di cortisolo, prolattina e ormone tireotropo.
Gli inibitori della 5alfa-reduttasi sono spesso associati agli alfa-litici per avere un’azione terapeutica completa nell'ipertrofia prostatica (IPB): blocco dei recettori alfa adrenergici e soppressione androgenica. Nello studio MTOPS (Medical Therapy of Prostatic Symptoms), la terapia di combinazione è risultata più efficace rispetto a finasteride o doxazosin nel migliorare il punteggio IPSS e nel ridurre il rischio di progressione dell'ipertrofia prostatica; la terapia di combinazione e la monoterapia con finasteride sono risultate più efficaci del doxazosin nel ridurre il rischio di ritenzione acuta d’urina e di intervento chirurgico (McConnel et al., 2003). Analoghi risultati sono stati osservati per l’associazione dutasteride più tamsulosin (Roehrborn et al., 2008). La terapia combinata alfa-litici più inibitori della 5alfa-reduttasi è indicata nei pazienti ad alto rischio di progressione (volume prostatico > 40 ml o PSA > 4 ng/ml) (Associazione Urologi Italiani, 2006).
La mepartricina è un antibiotico macrolide ottenuto dallo Streptomices aureofaciens. Esplica un’azione antiestrogenica non ormonale: si lega agli estrogeni a livello intestinale riducendone la loro disponibilità per il metabolismo prostatico. Anche gli estrogeni infatti, come il testosterone, influenzano la ghiandola prostatica. In associazione agli alfa-litici, si ha un miglioramento degli effetti clinici della terapia nei pazienti con ipertrofia prostatica (IPB) perchè si riesce ad agire sia sulla sintomatologia disurica (alfa-litici) sia sulle cause che portano all’ingrossamento della prostata (mepartricina) senza un aggravio degli effetti collaterali. La mepartricina infatti non viene assorbita a livello sistemico, rimane nel lume intestinale dove lega gli estrogeni e ne aumenta l’escrezione fecale.
A differenza della finasteride e della dutasteride, la mepartricina non influenza la concentrazione plasmatica del PSA e non ha ripercussioni sulla funzione sessuale maschile.
Sulla base dei dati clinici disponibili, l’impiego della mepartricina come opzione terapeutica nei pazienti con ipertrofia prostatica e sintomi delle basse vie urinarie non trova unanime consenso (Associazione Urologi Italiani, 2006).
I farmaci impiegati nel trattamento dell’ipertrofia prostatica sono (le specialità medicinali sono riportate in corsivo):
• Alfa-bloccanti
• alfuzosin (Alfuzosina, Mittoval, Xatral)
• doxazosin (Benur)
• tamsulosin (Antunes, Botam, Lura, Omnic, Pradif, Probena, Tamlic, tamsulosin, tamsulosina, Uromen)
• terazosin (Extersin, Prostatil, Terafluss, Teraprost, Terazosina, Unoprost, Urodie, Uroflus)
• Inibitori della 5alfa-reduttasi
• finasteride (Finasteride, Finastid, Genaprost, Proscar, Prostide)
• dutasteride (Avodart, Duagen)
Accanto alla terapia farmacologica, nei casi che lo richiedono – disturbi minzionali gravi associati a scarso miglioramento dopo terapia farmacologica – si può intervenire chirurgicamente con l’asportazione della parte ingrossata, vale a dire la parte centrale, più interna, della ghiandola prostatica (prostatectomia). La prostatectomia può essere eseguita per via endoscopica o per via chirurgica tradizionale.
La terapia chirurgica per l’ipertrofia prostatica comprende:
• Resezione prostatica transuretrale (TURP)
• Adenomectomia a cielo aperto
• Interventi di mini-chirurgia detti MIST
L'’intervento endoscopico più frequente nei pazienti con ipertrofia prostatica (IPB) è la resezione transuretrale della prostata (TURP, Transurethral resection of the prostate). E’ indicato in caso di un volume prostatico < 50 ml associato a sintomatologia medio/grave; comporta una riduzione del punteggio IPSS del 70% e una miglioramento significativo della qualità di vita. L’esportazione del tessuto prostatico avviene attraverso l’uretra con uno strumento che consente di “tagliare“ sottili lamine di tessuto. La procedura può avvenire in anestesia loco-regionale o totale ed ha una durata di 20-60 minuti. Dopo l’intervento si inserisce un catetere nella vescica in modo da poter lavare l’organo in continuo. Il catetere viene tolto dopo circa 3 giorni e la dismissione avviene dopo 4-5 giorni dall’intervento.
Le complicazioni che possono manifestarsi dopo TURP comprendono emorragia (trasfusioni:0,4-7,1% dei pazienti), TUR sindrome (Transurethral resection syndrome, dovuta al riassorbimento del liquido di lavaggio) (2% dei pazienti), stenosi dell’uretra (3,7% dei pazienti) e del collo della vescica (3,7% dei pazienti) (Choi et al., 2008). Per risolvere la stenosi in genere è necessario intervenire chirurgicamente una seconda volta.
La conseguenza più frequente dopo un intervento di TURP è la comparsa di eiaculazione retrograda (75% dei pazienti), che consiste nel passaggio di parte del liquido seminale nella vescica durante l’eiaculazione. Si osserva inoltre disfunzione erettile de novo (6,3% dei pazienti) e incontinenza urinaria (1,7% dei pazienti) (Choi et al., 2008).
Nei pazienti con IPB l’intervento chirurgico tradizionale, adenomectomia a cielo aperto, si esegue quando la prostata è di dimensioni notevoli (>75 g), in pazienti con calcoli o diverticoli a carico della vescica. L’intervento richiede l’incisione addominale sovrapubica. Comporta notevole perdita di sangue con conseguente emotrasfusione.
Gli interventi di mini-chirurgia, detti anche MIST (Minimally Invasive Surgical Therapies), per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna comprendono (Berardinelli et al., 2009):
• Incisione cervico-prostatica transuretrale (TUIP)
• Procedure di resezione della prostata basate sull’impiego del laser
• Vaporizzazione prostatica transuretrale (TUVAP)
• Termoterapia transuretrale con micro-onde (TUMT)
• Ablazione transuretrale con ago (TUNA)
• Ablazione con ultrasuoni focalizzati ad alta intensità (HIFU)
• Ablazione transuretrale con etanolo (TEAP, Transurethral Ethanol Ablation of Prostate)
• Termoterapia transuretrale con acqua (WIT)
L’incisione cervico-prostatica transuretrale (TUIP, Transurethral Incision of the Prostate) è un intervento chirurgico con risultati clinici a breve termine (78-83% dei pazienti) sovrapponibili alla TURP, con minore rischio di complicanze, ma un tasso di reintervento più elevato (14% dopo 5 anni). E’ indicato per pazienti con volume prostatico compreso fra 20-30 ml, in assenza di sviluppo del lobo medio della ghiandola, e una sintomatologia sufficientemente importante da impattare sulla qualità di vita. Si tratta di praticare un’incisione della prostata che interessi tutto lo spessore della ghiandola (raramente si praticano due incisioni), senza asportare tessuto iperplasico, in anestesia locale o totale. Durata media dell’intervento: 20 minuti. Degenza ospedaliera in assenza di complicanze di 1-3 giorni. Nei pazienti con IPB sottoposti a TUIP, l’incidenza di eiaculazione retrograda è del 6-55%.
L’incisione cervico-prostatica può essere eseguita anche con il laser (TULIP, Transurethral Laser Incision of the Prostate) anzichè per via elettrica. L’impiego del laser permette di ridurre notevolmente le perdite di sangue e i giorni di degenza.
Le procedure di resezione della prostata che impiegano il laser sono classificate in base al tipo di laser:
• Prostatectomia transuretrale con fibra a contatto della prostata (CLAP, Contact laser ablation of the prostate).
• Ablazione (HoLAP) oppure enucleoresezione (HoLEP) oppure resezione (HoLRP) della prostata per via transuretrale con laser ad Olmio.
• Prostatectomia transuretrale con laser inserito all’interno della prostata (ILCP, Interstizial Laser coagulation of the prostate).
• Vaporizzazione prostatica fotoselettiva (PVP, Photoselective laser vaporization of the prostate). Questa tecnica che utilizza un laser a luce verde ed è indicata anche come Laser KTP (potassio-titanil-fosfato), determina vaporizzazione del tessuto da rimuovere senza sanguinamenti perchè l’emoglobina eritrocitaria assorbendo direttamente il calore provoca fotocoagulazione. Questa tecnica è risultata efficace per volumi prostatici compresi fra 24 e 76 ml (Hai, Malek, 2003).
• Ablazione della prostata con visual laser (laser Nd:YAG) (VLAP, visually guided laser ablation of the prostate). Questa tecnica è riservata a volumi prostatici piccoli o moderatamente piccoli.
Il trattamento laser dell’ipertrofia prostatica richiede la profilassi antibiotica indipendentemente dal tipo di procedura e la profilassi antitrombotica per il laser a Olmio. La durata del trattamento varia a seconda della procedura (40-12 minuti) così come anche la degenza ospedaliera che varia da un minimo di 1-4 giorni per la VLAP ad un massimo di 5-14 giorni per la ILCP. Circa il 50-60% dei pazienti presenta un miglioramento della sintomatologia. Il miglioramento dei parametri clinici obiettivi (forza del getto, riduzione del volume post-minzionale e dell’ostruzione) è significativo ma inferiore a quello osservato con la TURP con l’esclusione del laser ad Olmio, i cui risultati sembrerebbero sovrapponibili a quelli della TURP.
Dagli studi di confronto TURP-HoLAP in pazienti con IPB è emersa un’efficacia sovrapponibile in termine di punteggio relativo all’indice internazionale dei sintomi prostatici IPSS e di variazione del flusso urinario con un’incidenza di complicanze inferiori con la tecnica laser. L’ablazione con il laser ad Olmio (HoLAP) dà buoni risultati soprattutto quando la prostata è di piccole dimensioni perchè trattandosi di una luce assorbita dall’acqua (lunghezza d’onda di 2100 nm) è necessario mantenere la fibra a stretto contatto con il tessuto prostatico. Per ovviare a questo inconveniente è stata modificata la tecnica di vaporizzazione utilizzando la formazione pulsante di bolle di vapore che ha permesso di ottenere risultati soddisfacenti, sovrapponibili a quelli della TURP e della adenomectomia a cielo aperto anche in caso di dimensioni maggiori della prostata (Montorsi et al., 2004; Kuntz et al., 2004; Matlaga et al., 2006).
La vaporizzazione prostatica transuretrale (TUVAP) è anche indicata con le sigle TURVAP (Transurethral vapor resection of the prostate), TUEVP o TUEVAP (Transurethral electrovaporization of the prostate), TUEP (transurethral evaporation) e TUVP o TVP (transurethral vaporization of the prostate). La TUVAP utilizza corrente elettrica ad alta energia per distruggere la parte di tessuto prostatico coinvolta nell’ostruzione dell’uretra. E’ una tecnica chirurgica poco diffusa. Mancano soprattutto dati clinici di confronto con le altre metodiche chirurgiche che valutino gli esiti sul lungo periodo, pertanto la TUVAP non è raccomandata per il trattamento dei pazienti con ipertrofia prostatica e sintomatologie delle basse vie urinarie (Associazione Urologi Italiani, 2006).
La termoterapia transuretrale con micro-onde (TUMT, Transurethral Microwave Thermal Therapy) consiste nell’aumentare la temperatura intraprostatica fino ad un massimo di 44,6 gradi senza danni per l’uretra. L’aumento di temperatura induce necrosi del tessuto prostatico. La TUMT è controindicata nei pazienti con ipertrofia prostatica (IPB) e con volume prostatico < 30 ml per il rischio di fistole rettali e danni al pene e all’uretra (JAMA, 2002). Complicanze frequenti sono rappresentate da cateterizzazione post trattamento (18-23%) e LUTS da riempimento (92-100%). La TUMT è associata a disturbi dell’eiaculazione in circa il 22-28% dei pazienti e a disfunzione erettile in meno del 3% dei pazienti.
L’ablazione transuretrale con ago (TUNA, Transurethral Needle Ablation) comporta la distruzione del tessuto prostatico adenomatoso attraverso onde radio ad alta frequenza. Questa tecnica è poco invasiva e consente di intervenire in caso di pazienti con ipertrofia prostatica ad alto rischio operatorio. L’esito clinico dopo TUNA andrebbe rivalutato dopo 6 mesi quindi con cadenza annuale. La complicanza più frequente con questa metodica è rappresentata dalla macroematuria (30-80% dei pazienti); sono state segnalata con frequenza decisamente minore infezioni urinarie (7%), stenosi uretrali (<1%) e disfunzione erettile (< 2%). Le segnalazioni di eiaculazione retrograda sono sporadiche con TUNA.
L’ablazione con ultrasuoni focalizzati ad alta intensità (HIFU, High-intensity Focused Ultrasound) si basa sull’impiego di ultrasuoni e alta temperatura per distruggere il tessuto prostatico adenomatoso. Questa tecnica è ancora gravata da un elevato tasso d’insuccesso (tecnica non raccomandata come trattamento di routine dalle linee Guida dell’Associazione Urologi Italiani e Americani) (Associazione Urologi Italiani, 2006; American Urological Association, 2006).
La termoterapia transuretrale con acqua (WIT, water-induced thermotherapy) prevede l’inserimento di un catetere provvisto di due palloncini, uno da posizionare in vescica, e l’altro nella prostata. Nel palloncino inserito nella prostata viene immessa acqua a 62 °C che provoca necrosi del tessuto prostatico. La WIT induce miglioramento dei sintomi associati a IPB riducendo in maniera significativa il rischio di perdite di sangue, incontinenza e impotenza (mancano dati di confronto con la TURP) (Breda, Isgro, 2002; Muscheter et al., 2000).
Gli interventi di mini-chirurgia per il trattamento dell'ipertrofia prostatica (IPB) sono stati messi a punto per tentare di risolvere, almeno parzialmente, alcune delle complicanze che si verificano con la TURP: emorragia, sindrome TUR, ricorso all’anestesia totale, degenza ospedaliera prolungata. Dall’analisi degli studi clinici che hanno confrontato le diverse metodiche con la TURP, che costituisce il metodo di riferimento (“gold standard“), sono emerse le seguenti osservazioni:
• rispetto alla TURP, gli interventi di mini-chirurgia presentano una migliore emostasi, degenze più brevi per i pazienti con ipertrofia prostatica ma risultati terapeutici meno definitivi e un’incidenza di re-intervento maggiore in particolare per l’ablazione transuretrale con ago e la termoterapia transuretrale con micro-onde (Berardinelli et al., 2009);
• per quanto riguarda l’impatto delle tecniche MIST sulla funzione sessuale maschile, la TUMT e la TUNA hanno evidenziato esiti simili alla TURP per quanto riguarda la disfunzione erettile (15% dei pazienti dopo laser-terapia, TUMT e TUNA) e un’incidenza significativamente minore per disfunzioni dell’eiaculazione. Per la TEAP non ci sono dati clinici disponibili (Frieben et al., 2010);
• confronto TURP-TUMT, negli studi clinici la TUMT ha evidenziato efficacia simile a TURP nel miglioramento dei sintomi e nel grado di soddisfazione dei pazienti trattati per IPB. La TUMT è associata ad una minor incidenza di eiaculazione retrograda, ematuria, richiesta di trasfusione e sindrome da resezione transuretrale rispetto alla TURP, ma una percentuale maggiore di pazienti va incontro a disuria, ritenzione urinaria e reintervento (Hoffman et al., 2007; Norby et al., 2002);
• confronto TURP-TUNA, a breve termine i risultati dopo intervento TUNA sono sovrapponibili a quelli osservati con TURP nei pazienti con IPB; dopo un anno la TUNA è risultata significativamente meno efficace (miglioramento del punteggio IPSS < 50%: 78% vs 91% rispettivamente pazienti trattati con TUNA e TURP). Sul lungo periodo, gli effetti positivi sul flusso urinario e sui parametri di urodinamica associati alla TUNA sono risultati inferiori a quelli osservati con TURP (miglioramento > 50% del flusso urinario: 62% vs 82%) (Steele, Sleep, 1997; Bruskewitz et al., 1998). Nei pazienti con ipertrofia prostatica trattati con TUNA, i benefici clinici ottenuti con l’intervento, sebbene tendano ad attenuarsi dopo 5 anni, permangono comunque significativi rispetto al basale (Hill et al., 2004; Boyle et al., 2004a);
• confronto TURP-laser KTP, gli studi clinici hanno dato esiti contrastanti che richiedono trial con follow up di maggior durata per una migliore comprensione dei rispettivi benefici/svantaggi;
• l’ablazione con etanolo è una tecnica relativamente poco usata con pochi studi preliminari; il suo impiego è stato associato a gravi complicanze (Berardinelli et al., 2009);
• l’ablazione con ultrasuoni focalizzati ad alta intensità è ad uno stadio ancora sperimentale (Berardinelli et al., 2009).