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Ipertensione

Farmaci e terapie

Quali farmaci per l'Ipertensione?

Il trattamento dell’ipertensione si articola su due direttive distinte, cambiamento dello stile di vita e terapia farmacologica, il cui obiettivo è quello di abbassare i valori della pressione arteriosa ad un valore target, definito per il singolo paziente sulla base del suo profilo di rischio cardiovascolare.

Le linee guida internazionali utilizzate come riferimento per la terapia dell’ipertensione arteriosa sono le linee guida europee ESH/ESC 2018 e 2013 integrate con le linee guida canadesi (CHEP, Canadian Hypertension Education Program 2018), americane JNC VIII (Eighth Report of the Join National Committeee on Prevention, Detection, Evaluetion and Treatment of High Blood Pressure 2014) e VA/DoD (Department of Veterans Administration/Department of Defense, 2014) e quelle inglesi (NICE, National Institute for Health and Clinical Excellence, 2016) (Nerenberg et al., 2018; William et al., 2018; NICE, 2016; James et al., 2014; VA/DoD Clinical Practice Guideline, 2014).

Tutte le linee guida internazionali considerate fanno riferimento ad un corretto stile di vita come un approccio indispensabile per mantenere sotto controllo i valori di pressione arteriosa, indipendentemente se il paziente è o non è in terapia farmacologica. Un adeguato stile di vita è infatti raccomandato in pazienti con pressione arteriosa ottimale (< 120/80 mmHg) e in pazienti con pressione normale-alta in particolare se presenti altri fattori di rischio cardiovascolare, oltre che nei pazienti con ipertensione. Diversi studi clinici infatti hanno evidenziato come peso, riduzione dell’apporto di sodio con gli alimenti, alcol, fumo e sedentarietà possono influenzare i valori di pressione arteriosa o il rischio cardiovascolare (Dickinson et al., 2006). Nei pazienti con valori di pressione normale-alta l’adozione di un adeguato stile di vita consente di mantenere sotto controllo la pressione arteriosa e di ridurre il numero di farmaci antipertensivi eventualmente già in uso. Nei pazienti ipertesi, comunque, un corretto stile di vita non è risultato in grado di prevenire le complicanze cardiovascolari; pertanto l’adozione di misure volte a mantenere un corretto peso corporeo, un’adeguata attività fisica, a ridurre introito di sale, alcol e fumo non sostituisce in alcun modo la cura farmacologica ritenuta necessaria.

Target pressorio
Le linee guida europee (ESH/ESC 2018) e canadesi (CHEP 2018) raccomandano come obiettivi pressori da raggiungere valori inferiori a 140 mmHg per la pressione sistolica e valori inferiori a 90 mmHg per la pressione diastolica in tutti i pazienti. Le linee guida NICE 2016 condividono i target pressori sopra riportati per i pazienti con età < 80 anni, ma indicano come target pressorio valori < 150/90 mmHg per i pazienti con età =/> 80 anni. Le linee guida JNC 2014 indicano il target pressorio < 140/90 mmHg per i pazienti con età < 60 anni e il target pressorio < 150/90 mmHg per i pazienti con età =/> 60 anni. Le linee guida VA/DoD 2014 indicano il target pressorio < 150/90 mmHg per tutti i pazienti non diabetici, indipendentemente dall’età e il target < 150/85 mmHg, o se possibile < 140/85 mmHg, per i pazienti diabetici.

Le linee guida ESH/ESC (2018), in particolare, confermano la riduzione della sistolica a valori inferiori a 140/90 mmHg come il requisito minimo essenziale in tutti i pazienti, compresi quelli anziani (età =/>65 anni) e molto anziani (età > 80 anni). Inoltre, se il trattamento farmacologico è ben tollerato, il valore target potrebbe essere ulteriormente ridotto a 130/80 mmHg nella maggior parte dei pazienti e a valori di sistolica di 120-129 mmHg nei pazienti con meno di 65 anni. Un discorso a parte è necessario per i pazienti diabetici e con insufficienza renale cronica. Nei primi, riduzioni della pressione arteriosa sistolica a valori inferiori a 130 mmHg si associano ad una riduzione del rischio di ictus, ma non di altri eventi cardiovascolari maggiori. Nei secondi, le evidenze scientifiche suggeriscono come target di pressione sistolica, valori compresi tra 130 e 139 mmHg (William et al., 2018).

Quando iniziare la terapia antipertensiva
I valori di pressione arteriosa a cui iniziare la terapia farmacologica possono essere diversi a seconda delle linee guida di riferimento; in generale prevale l’atteggiamento che porta ad iniziare il trattamento farmacologico anche in presenza di valori pressori di poco superiori alla norma se sono presenti fattori di rischio cardiovascolare (diabete, pregressi eventi cardiovascolari). Il trattamento antipertensivo precoce in pazienti con ipertensione lieve è risultato ridurre il rischio cardiovascolare (sotto il 3-6% a 5 anni) a differenza di quanto osservato nei pazienti ad alto rischio (anziani ipertesi, pazienti ipertesi con diabete o con precedenti malattie cardiovascolari) i quali anche dopo trattamento con terapia adeguata tendono a mantenere un rischio comunque elevato (12-14% a 5 anni) (Zanchetti, 2009).

Le linee guida europee (ESH/ESC 2018) risultano meno “conservative” rispetto alle precedenti del 2013 perché abbassano “l’asticella” per l’inizio della terapia farmacologica includendo categorie prima non previste (ipertesi di grado 1 a basso rischio compresi quelli anziani). Le linee guida raccomandano infatti di iniziare la terapia farmacologica antipertensiva in caso di (William et al., 2018):
1) pazienti con pressione arteriosa pari a 140-159/90-99 mmHg (ipertensione di grado 1) a rischio cardiovascolare basso o moderato, in assenza di danno d’organo, se i cambiamenti dello stile di vita non hanno avuto benefici sulla pressione
2) pazienti con ipertensione di grado 1 a rischio cardiovscolare elevato (presenza di danno d’organo, diabete, malattia cardiovascolare, malattia coronarica), contestualmente al cambiamento dello stile di vita
3) pazienti con ipertensione di grado 2 o 3 indipendentemente dal valore di rischio cardiovascolare, contestualmente al cambiamento dello stile di vita
4) pazienti anziani (età: 65-80 anni) con ipertensione sistolica di grado 1 (140-159 mmHg), contestualmente al cambiamento dello stile di vita

Inoltre, sempre secondo le nuove linee guida ESH/ESC 2018, il trattamento farmacologico antipertensivo dovrebbe essere preso in considerazione (William et al., 2018):
1) nei pazienti con pressione normale alta (130-139/85-89 mmHg) e con rischio cardiovascolare alto soprattutto se dovuto a malattia coronarica

Considerando le altre linee guida, la terapia farmacologica deve essere iniziata (raccomandazione) quando (NICE, 2016; James et al., 2014; VA/DoD Clinical Practice Guideline, 2014):

Le linee guida americane VA/DoD 2014 suggeriscono la terapia farmacologica quando:

Farmaci antipertensivi
La scelta del farmaco antipertensivo deve essere effettuata in base alla presenza di fattori di rischio, danno d’organo e malattie cardiovascolari concomitanti (ad esempio i farmaci beta-bloccanti, non sono raccomandati nei pazienti affetti da sindrome metabolica oppure con rischio elevato di sviluppare diabete). Sulla base dei dati di letteratura non c’è una classe di farmaci che possa considerarsi “superiore” alle altre: le meta-analisi di più ampie dimensioni non hanno evidenziato differenze significative fra le varie classi di farmaci antipertensivi (Law et al., 2009; Tumbull et al., 2003 e 2005).

Le principali classi di farmaci antipertensivi sono 5 ed ognuna di queste classi è indicata sia nella terapia antipertensiva iniziale che in quella di mantenimento, sia in monoterapia che in associazione:

I farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina, ACE-inibtori e ARB sono i farmaci di scelta per il trattamento dell’ipertensione arteriosa nella maggior parte dei pazienti da associare o meno ai calcio-antagonsiti diidropiridinici e/o ai diuretici, preferibilmente simil-tiazidici (clortalidone, indapamide) (ESH/ESC 2018, NICE 2016, JNC VIII 2014). I diuretici (tiazidici e/o simil-tiazidici) rappresentano i farmaci considerati di “prima linea” con cui iniziare il trattamento antipertensivo secondo le linee guida americane VA/DoD 2014 e canadesi CHEP 2018. Non ci sono evidenza scientifiche che sostengano la superiorità di un diuretico rispetto ad un altro per i diuretici simil-tiazidici, clortalidone e indapamide. Tra i diuretici, lo spironolattone ha evidenziato benefici clinici in caso di insufficienza cardiaca e nel trattamento dell’aldosteronismo primario non diagnosticato. Come alternativa allo spironolattone può essere usato l’eplerenone.

I diuretici simil-tiazidici o tiazidici e i calcio-antagonisti sono indicati come farmaci di scelta nella popolazione di pelle nera, che rispondono meno bene agli ACE-inibitori e che sono particolarmente sensibili agli effetti del sale (NaCl).

I beta-bloccanti sono indicati in casi particolari (non sono farmaci di prima linea): controindicazione/intolleranza agli ACE-inibitori/ARB, pazienti con tono simpatico aumentato, gravidanza. I beta-bloccanti cardio selettivi (beta1-bloccanti) sono indicati in presenza di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), asma, diabete, malattia vascolare periferica (JNC VIII 2014). Inoltre, nei pazienti in monoterapia con beta-bloccanti che richiedono un secondo farmaco, aggiungere un calcio-antagonista più che un diuretico simil-tiazidico per ridurre il rischio di diabete (NICE 2016).

Oltre ai farmaci antipertensivi appartenenti alle classi dei diuretici, beta-bloccanti, calcio-antagonisti, ACE-inibitori e ARB, altri farmaci hanno evidenziato attività antipertensiva quali gli alfa-1 bloccanti, gli agonisti del recettore adrenergico alfa2, gli agonisti del recettore imidazolico I2 e gli antagonisti dell’aldosterone. L’efficacia antipertensiva di questi farmaci è stata valutata in trial clinici in associazione ai tradizionali farmaci antipertensivi. Sulla base dei dati di letteratura, questi farmaci sono utilizzati in genere in terapia combinata in alcune particolari tipologie di pazienti (ad esempio gli alfa1 antagonisti potrebbero essere impiegati nei pazienti con ipertrofia prostatica benigna).

Negli ultimi anni è stata individuata una nuova classe di farmaci antipertensivi: gli inibitori diretti della renina. Di questa classe è stato approvato aliskiren. Aliskiren è risultato efficace come farmaco antipertensivo in monoterapia e in associazione a diuretici tiazidici, calcio-antagonisti, ACE-inibitori e sartani (O’Brien et al., 2004; Villamil et al., 2007). Aliskiren è risultato efficace nel ridurre il danno d’organo subclinico quando associato ad un sartano (ARB, antagonista recettoriale dell’angiotensina) (riduzione della proteinuria in pazienti con ipertensione e diabete e riduzione del peptide natriuretico cerebrale BNP, marker di scompenso cardiaco, maggiore con la terapia combinata rispetto al solo sartano) (Parving et al., 2008; Seed et al., 2007).

I fattori che intervengono nella scelta dei farmaci antipertensivi comprendono:

Le singole classi di farmaci antipertensivi, in base al profilo farmacologico, presentano indicazioni/controindicazioni d’uso che riportiamo nella tabella seguente (William et al., 2018; Eur. Heart J., 2007):

Classe di farmaci Condizioni che favoriscono l’uso Condizioni che controindicano l’uso
Diuretici tiazidici Ipertensione sistolica isolata (anziani)
Scompenso cardiaco
Ipertensione razza nera
Gotta
Sindrome metabolica
Intolleranza glucidica
Gravidanza
Diuretici (antialdosteronici) Scompenso cardiaco
Esiti di infarto del miocardico
Insufficienza renale
Iperkaliemia
Diuretici dell’ansa Insufficienza renale terminale
Scompenso cardiaco
 
Beta-bloccanti Angina pectoris
Infarto miocardico pregresso
Scompenso cardiaco
Tachiaritmie
Glaucoma
Gravidanza
Asma
Blocco SA o AV 2 o 3 grado
Bradicardia (frequenza < 60 battiti/min)
Vasculopatia periferica
Sindrome metabolica
Intolleranza glucidica
Pazienti fisicamente allenati
Calcio-antagonisti (diidropiridinici) Ipertensione sistolica isolata (anziani)
Angina pectoris
Ipertrofia ventricolare sinistra
Aterosclerosi carotidea/coronarica
Gravidanza
Ipertensione razza nera
Tachiaritmie
Scompenso cardiaco
Edema severo preesistente alle gambe
Calcio-antagonisti
(verapamil/diltiazem)
Angina pectoris
Aterosclerosi carotidea
Tachicardia sopraventricolare
Blocco SA o AV 2 o 3 grado
Scompenso cardiaco (frazione di eiezione < 40%)
Bradicardia (frequenza < 60 battiti/min)
Costipazione
ACE-inibitori Scompenso cardiaco
Disfunzione ventricolare sinistra
Infarto miocardico pregresso
Nefropatia diabetica
Nefropatia non diabetica
Ipertrofia ventricolare sinistra
Aterosclerosi carotidea
Proteinuria/Microalbuminuria
Fibrillazione atriale
Sindrome metabolica
Gravidanza, donne in età fertile senza contraccezione affidabile
Edema angioneurotico
Iperkaliemia
Stenosi bilaterale delle arterie renali
Sartani
(antagonisti recettore angiotensina)
Scompenso cardiaco
Infarto miocardico pregresso
Nefropatia diabetica
Proteinuria/Microalbuminuria
Ipertrofia ventricolare sinistra
Fibrillazione atriale
Sindrome metabolica
Tosse da ACE-inibitori
Gravidanza, donne in età fertile senza contraccezione affidabile
Iperkaliemia
Stenosi bilaterale delle arterie renali


Le ultime linee guida europee (ESH/ESC 2018) raccomandano di iniziare la terapia farmacologica partendo dalla combinazione di due farmaci, un approccio che rappresenta un cambiamento rispetto alle linee guida precedenti (ESH/ESC 2013) in cui si proponeva di iniziare con un solo farmaco e solo successivamente passare alla terapia combinata. Iniziare infatti con la terapia combinata consente di raggiungere più velocemente i valori target di pressione con una buona tollerabilità dei farmaci e di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari. La monoterapia iniziale rimane indicata per i pazienti anziani fragili (rischio di ipotensione più elevato) e quelli con pressione arteriosa normale-alta ed elevato rischio cardiovascolare (in questo gruppo di pazienti sono sufficienti piccole variazioni della pressione per raggiungere il valore target) (William et al., 2018).

Le altre linee guida considerate raccomandano la monoterapia o l’associazione di due farmaci, come approccio iniziale, dipendentemente dall’età (NICE 2016) o dal quadro clinico del paziente (JNC VIII 2016, VA/DoD 2014, CHEP 2018).

Nei pazienti che iniziano la terapia antipertensiva con due farmaci, le linee guida europee propongono di utilizzare le formulazioni che combinano i due principi attivi nella stessa compressa, per migliorare l’aderenza del paziente al trattamento (attualmente i pazienti con ipertensione trattati si attestano sul 40%, una percentuale piccola se si pensa che con i farmaci disponibili la pressione potrebbe essere controllata nel 90-95% dei pazienti).

Sulla base dei dati di letteratura, la combinazione di due farmaci antipertensivi risulta efficace nel controllare la pressione arteriosa in circa i due terzi dei pazienti. L’aggiunta di un terzo farmaco (in genere un inibitore del sistema renina-angiotensina, o calcio-antagonista o diuretico) estende la porzione di pazienti “controllati” all’80% (la triplice terapia non è raccomandata come terapia iniziale). I pazienti che non riescono a raggiungere i valori pressori target neppure con la triplice terapia, e per i quali sono ragionevolmente escluse una diversa causa di ipertensione o la mancata aderenza, sono definiti “resistenti”. Per questa categoria di pazienti le linee guida raccomandano l’aggiunta di un diuretico, lo spironolattone a basso dosaggio (25-50 mg/die) o, in alternativa, per intolleranza allo spironolattone, eplerenone, amiloride (10-20 mg/die), tiazidi a dosaggio elevato o farmaci simili, diuretico dell’ansa in pazienti con insufficienza renale (velocità di filtrazione, eGFR, < 45 ml/min/m2), betabloccante (bisoprololo), alfa-bloccante (doxazosin), clonidina, o raramente, minoxidil (William et al., 2018).

Sulla base delle evidenze scientifiche, nella maggior parte dei pazienti, anche in presenza di altre patologie (danno d’organo, diabete, arteriopatia periferica, malattia cerebrovascolare) le linee guida europee raccomandano la somministrazione di un ACE inibitore (o in alternativa di un antagonista del recettore dell’angiotensina) più un calcio antagonista oppure un diuretico tiazidico o simil-tiazidico. Nei pazienti che richiedono una combinazione di tre farmaci (15-20% dei pazienti ipertesi), l’associazione preferibile è risultata essere diuretico più calcio-antagonista più bloccante del sistema renina-angiotensina (William et al., 2018; Mancia et al., 2010). I beta bloccanti sono indicati in specifiche situazioni (angina, infarto miocardico pregresso, insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta, o quando è necessario un controllo del ritmo cardiaco).

La sola combinazione che non è raccomandata sulla base degli esiti clinici dei trial è quella tra farmaci che agiscono entrambi come bloccanti del sistema renina-angiotensina per il rischio di malattia remale terminale e ictus (Mann et al., 2008; Ontarget Investigators, 2008; Parving et al., 2012).

Di seguito sono brevemente illustrate categorie particolari di pazienti. Le linee guida di riferimento utilizzate sono quelle europee ESH/ESC 2018.

Ipertensione e malattia coronarica
L’ipertensione è un fattore di rischio importante per malattia coronarica. Nei pazienti che hanno avuto un infarto al cuore, la terapia antipertensiva è finalizzata ad abbassare i valori di pressione massima, indicativamente, sotto il limite di < 130/80 mmHg, ma valori < 120/70 mmHg non sono raccomandati; nei pazienti più anzini (età =/> 65 anni) il target di pressione sistolica è compreso tra 130 e 140 mmHg (linee guida ESH/ESC 2018). E’ stato infatti osservato che riduzioni più drastiche della pressione arteriosa sistolica sono associate ad un aumento del rischio di eventi cardiovascolari (effetto detto della “curva J”). Nella maggior parte degli studi clinici l’aumento degli eventi cardiovascolari è stato osservato per valori di pressione sistolica inferiori a 120 mmHg, anche se in acuni casi tale effetto è stato osservato per valori di poco inferiori a 130 mmHg (Messerli et al., 2006; Sleight et al., 2009; Bangalore et al., 2009 e 2010; Vidal-Petiot et al., 2016). Per quanto riguarda la scelta dei farmaci antipertensivi, nei pazienti ipertesi con infarto miocardico recente sono risultati particolarmente indicati i beta bloccanti, seguiti dagli ACE-inibitori; in caso di angina, beta bloccanti e calcio antagonisti (William et al., 2018; Mancia et al., 2013).

Ipertensione e insufficienza cardiaca
L’ipertensione è il principale fattore di rischio per lo sviluppo di insufficienza cardiaca; ne consegue che il controllo dei valori pressori ha come beneficio maggiore la prevenzione dell’insufficienza cardiaca, anche nei pazienti molto anziani (Beckett et al., 2008). Nei pazienti con insufficienza cardiaca, le linee guida internazionali raccomandano l’uso di diuretici, beta bloccanti, ACE-inibitori e ARB; i calcio antagonisti hanno evidenziato, apparentemente, un’efficacia inferiore nei trial clinici di confronto in cui erano sostituiti dai diuretici (Blood Pressure Lowering Treatment Trialists’ Collaboration, 2003). Nei pazienti con insufficienza cardiaca che sviluppano disfunzione ventricolare sinistra sono risultati efficaci anche i farmaci anti-mineralcorticoidi per gli effetti sul sistema renina-angiotensina e sul sistema simpatico. Nei pazienti con ipertrofia ventricolare sinistra, la regressione dell’ipertrofia è risultata correlare con la riduzione dei valori pressori (Okin et al., 2003). In classe di pazienti gli ARB, gli ACE inibitori e i calcio antagonisti sono risultati preferibili rispetto ai beta-bloccanti negli studi di confronto (Fagard et al., 2009).
Nei pazienti con ipertensione e insufficienza cardiaca la terapia antipertensiva dovrebbe essere presa in considerazione per valori di pressione =/> 140/90 mmHg e nei pazienti con ipertrofia ventricolare sinistra la pressione sistolica dovrebbe essere mantenuta tra 120 e 130 mmHg (William et al., 2018).

Ipertensione e fibrillazione atriale
L’ipertensione predispone a sviluppare la fibrillazione atriale, che è a sua volta un fattore di rischio per ictus e insufficienza cardiaca. Il rischio di fibrillazione atriale aumenta anche nei pazienti con pressione arteriosa normale-alta (Grundvold et al., 2012; Conen et al., 2009). Nei pazienti ipertesi con fibrillazione atriale che evidenziano elevata frequenza ventricolare sono indicati come farmaci antipertensivi i beta bloccanti o i calcio antagonisti non diidropiridinici (diltiazem, verapamil). Questi ultimi sono da evitare se il paziente presenta ridotta funzione ventricolare sinistra (rischio di aggravare l’insufficienza cardiaca). I beta bloccanti possono essere associati a digossina per migliorare il controllo sul ritmo cardiaco. Nei pazienti con ipertensione e fibrillazione atriale in terapia anticoagulante (riduce il rischio di ictus da fibrillazione atriale) i valori di pressione devono essere mantenuti al di sotto del valore di 140/90 mmHg (possibilmente < 130 mmHg) perché l’ipertensione aumenta il rischio di emorragia intracranica quando si usano gli anticoagulanti orali (Manolis et al., 2013). Nei pazienti con ipertensione a rischio di fibrillazione atriale (di nuova insorgenza o ricorrente), le evidenze scientifiche suggeriscono l’uso preferenziale di ACE inibitori e sartani e, nei pazienti che evidenziano anche insufficienza cardiaca, di beta-bloccanti e antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi (William et al., 2018; Mancia et al., 2013).

Ipertensione e malattia cerebrovascolare
Nei pazienti con malattia cerebrovascolare, le linee guida (CHEP 2018, JNC VIII 2014, VA/DoD 2014) raccomandano l’uso dei diuretici tiazidici e degli ACE-inibitori oppure non indicano preferenze (linee guida ESH/ESC 2018). Sulla base di studi clinici e metanalisi, sia gli ACE-inibitori in associazione ai diuretici che i diuretici o i calcio antagonisti hanno evidenziato benefici nella prevenzione dell’ictus (PATS Collaborating Group, 1995; PROGRESS Collaborative Group, 2001; Blood Pressure Lowering Trialists’ Collaboration, 2003; Verdecchia et al., 2005; Law et al., 2009). Inoltre non c’è accordo fra le linee guida internazionali in merito al target pressorio da raggiungere nei pazienti con ictus pregresso o TIA (attacco ischemico transitorio) e in merito al valore soglia di pressione arteriosa a cui iniziare il trattamento farmacologico. Le linee guida ESH/ESC 2018 raccomandano di trattare i pazienti con storia di TIA o ictus anche quando la pressione arteriosa sistolica è compresa fra 140 e 159 mmHg e di riportare i valori pressori al di sotto del limite di 130 mmHg.

Nei pazienti con emorragia intracranica acuta, un aumento della pressione arteriosa è frequente, ma sulla base delle indicazioni degli studi clinici, un trattamento antipertensivo immediato (entro poche ore dall’evento) non è raccomandato. Tale intervento, sebbene riduca l’estensione dell’ematoma e migliori la ripresa della funzionalità corporea, non evidenzia benefici su disabilità e mortalità a tre mesi. Un abbassamento della pressione arteriosa sistolica (< 180 mmHg) potrebbe essere indicato nei pazienti in cui la pressione aumenta oltre i 220 mmHg (Linee Guida ESH/ESC 2018) (William et al., 2018).

Nei pazienti con ictus ischemico acuto, un trttamento antipertensivo immediato di routine non è raccomandato a meno che il paziente non sia candidato a trombolisi (in questo caso la pressione arteriosa dovrebbe essere mantenuta a valori inferiori a 180/105 mmHg per almeno 24 ore dopo la trombolisi) o non evidenzia valori di massima =/> 220 mmhg o di minima =/> 120 mmHg (nel qual caso potrebbe essere opportuno ridurre i valori pressori di un 15% fino a 24 ore dopo l’ictus) (linee Guida ESH/ESC 2018 e CHEP 2018) (William et al., 2018; Norenberg et al., 2018).

Ipertensione e diabete mellito
Nei pazienti con diabete mellito e ipertensione, le linee guida ESH/ESC 2018 indicano anche per questa categoria di pazienti un target pressorio < 140/80 mmHg, puntando se possibile a valori di 130 o < 130 mmHg, ma non inferiori a 120/70 mmHg (prevenzione ictus) (Mancia et al., 2013). Le altre linee guida considerate raccomandano valori di pressione < 130/80 mmHg (linee guida CHEP 2018); valori < 150/85 mmHg (se possibile < 140/85 mmHg) (linee guida VA/DoD 2014); valori < 140/90 mmHg (linee guida CHEP e JNC VIII 2014). Alcune linee guida considerano equivalenti le 5 classi di farmaci antipertensivi, mentre altre considerano come farmaci di prima scelta ACE-inibitori e sartani oppure diuretici tiazidici e ACE-inibitori.

Le ultime linee guida europee (2018) raccomandano di iniziare la terapia antipertensiva nei pazienti diabetici con valori di pressione =/> 140 mmHg, con un farmaco attivo sul sistema della renina associato a un calcio antagonista (oppure un diuretico tiazidico o similare). I farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina (ACE-inibitori e sartani) infatti sono risultati più efficaci, rispetto alle altre classi di farmaci, nel ridurre l’albuminuria e la progressione della nefropatia diabetica (Thomopoulos et al, 2017; Schmieder et al., 2007). L’associazione di un ACE inibitore con un antagonista del recettore dell’angiotensina non è raccomandata perché gravata da un eccesso di effetti avversi renali.

Ipertensione e malattia renale cronica
L’ipertensione è uno dei principali fattore di rischio per la malattia renale cronica. I pazienti con malattia renale cronica spesso presentano ipertensione resistente, ipertensione mascherata (“masked hypertension”), rialzi pressori notturni, associate a una ridotta velocità di filtrazione glomerulare, a presenza di albumina nelle urine e a danno d’organo. L’abbassamento della pressione arteriosa si associa ad una dimunzione del rischio di insufficienza renale e di progressione verso lo stadio finale di malattia in pazienti con ambuminuria e, sulla base di dati recenti, a ridotta mortalità per tutte le cause (Malhotra et al., 2017; Lv et al., 2013).

Nei pazienti con malattia renale cronica la classe di farmaci antipertensivi raccomandata è quella degli ACE-inibitori o ARB (linee guida CHEP 2018, ESH/ESC 2018, JNC VIII, NICE 2016, VA/DoD 2014). A seconda delle linee guida, la classe degli ARB o sartani è considerata equivalente (linee guida ESH/ESC 2018, JNC VIII 2014, VA/DoD 2014) oppure da utilizzare in caso di intolleranza agli ACE-inibitori (linee guida CHEP 2018). Anche in questo caso le linee guida europee suggeriscono come terapia iniziale la combinazione di un farmaco attivo sul sistema della renina più un calcio antagonista o un diuretico. Nei pazienti con velocità di filtrazione glomerulare < 30 ml/min/1,73m2, i diuretici tiazidici dovrebbero essere sostituiti con diuretici dell’ansa.

Alcune linee guida indicano come valore di pressione arteriosa da raggiungere, valori inferiori a 130/80 mmHg (ESH/ESC 2018), altre valori inferiori a 140/90 mmHg (linee guida CHEP 2018, JNC VIII 2014) o a 150/90 mmHg (VA/DoD 2014). Comunque secondo le evidenze disponibili, è ragionevole indicare come valore target di pressione valori < 140/90 mmHg, possibilmente verso 130/80 mmHg, (ESH/ESC 2018).

Ipertensione e ostruzione cronica polmonare
L’ipertensione rappresenta una delle più frequenti comorbidità nei pazienti con BPCO (broncopneumopatia cronica ostruttiva). La terapia della BPCO con farmaci anticolinergici e beta 2 agonisti a lunga durata d’azione può influire negativamente sul sistema cardiovascolare perché può portare ad un rialzo della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. La presenza inoltre di BPCO influenza la scelta dei farmaci antipertensivi. I beta bloccanti infatti possono influenzare negativamente la funzionalità polmonare di base, interferire con il trattamento dei beta agonisti e rendere più difficile distinguere l’asma dalla BPCO. Nella necessitò di utilizzare un beta bloccante, preferire un beta 1 bloccante cardioselettivo (Coiro et al., 2017).

Anche i diuretici possono avere risvolti negativi per il trattamento dell’ipertensione in pazienti con BPCO perché possono favorire la perdita di potassio (effetto che si somma a quello dei glucocorticoidi e dei beta 2 agonisti), peggiorare la ritenzione di CO2 (in pazienti ipoventilati sussiste il rischio di ipossia metabolica da alcalosi), aumentare l’ematocrito e alterare la secrezione di muco nei bronchi. In generale, quindi, l’uso dei diuretici nei pazienti ipertesi con BPCO richiede estrema cautela.

In sintesi i farmaci antipertensivi da utilizzare comprendono farmaci attivi sul sistema della renina (ACE-inibitori, ARB) e calcio antagonisti. Eventualmente, in caso di controllo dei valori di pressione non ottimale, possono essere presi in considerazione diuretici tiazidici o simil-tiazidici e bloccanti beta1 selettivi (ESH/ESC 2018).

Ipertensione e gravidanza
L’ipertensione in gravidanza ha un’incidenza del 5-10% ed è causa di mortalità e morbidità per la madre e per il bambino. L’ipertensione può causare infatti, nella madre, distacco della placenta, ictus, insufficienza multiorgano e coagulazione disseminata intravascolare. Il feto è a rischio di ritardo di crescita intrauterina (25% dei casi di pre-eclampsia), prematurità (27% dei casi di pre-eclampsia), morte intrauterina (4% dei casi di pre-eclampsia).

In gravidanza l’ipertensione comprende diverse situazioni: l’ipertensione pre-esistente (precedente alla gravidanza o manifestatasi entro le prime 20 settimane), l’ipertensione gestazionale (manifestatasi dopo la ventesima settimana), la combinazione delle prime due con proteinuria, la pre-eclampsia (ipertensione gestazionale più proteinuria, con valori di proteine nelle urine >0,3 g/24h oppure rapporto proteine:creatinina urinarie =/> 30 mg/mmol) e l’ipertensione non classificabile (valutazione della pressione per la prima volta dopo le prime 20 settimane con conseguente incertezza se l’ipertensione fosse già pre-esistente).

Nelle donne in gravidanza con ipertensione lieve (pressione arteriosa: 140-159/90-109 mmHg), candidate ad un trattamento farmacologico o che devono continuare il trattamento, le linee guida europee 2018 raccomandano la metildopa, il labetalolo o i calcio antagonisti come farmaci di prima scelta. I farmaci attivi sul sistema della renina, ACE inibitori e antagonisti del recettore dell’angiotensina, sono controindicati per tossicità materna e fetale. I beta bloccanti possono indurre bradicardia fetale, pertanto se devono essere usati vanno selezionati con attenzione e va escluso l’atenololo. I diuretici sono generalmente da evitare perché nelle donne che sviluppano pre-eclampsia il volume plasmatico è ridotto.

Nelle donne con ipertensione elevata (pressione arteriosa =/> 160/110 mmHg), rimangono farmaci di scelta la metildopa, il labetalolo e i calcio antagonisti. In casi selezionati può essere somministrata idralazina endovena (ipertensione resistente; l’idralazina endovena ha evidenziato una maggior incidenza di effetti collaterali fetali rispetto agli altri farmaci) oppure l’urapidil sempre per endovena. Da considerare che valori di pressione =/> 170/110 mmHg sono considerati un’emergenza medica per una donna in gravidanza e richiedono un ricovero ospedaliero immediato.

In caso di crisi ipertensive, eclampsia o grave pre-eclampsia, è necessario procedere al ricovero e ridurre prontamente i valori pressori, quindi, raggiunta la stabilizzazione della donna, procedere con il parto. Nelle donne con ipertensione gestazionale o pre-eclampsia lieve, è indicato procedere al parto alla 37esima settimana di gravidanza. Per prevenire l’eclampsia e come trattamento delle convulsioni è indicato il solfato di magnesio per endovena. Per prevenire complicazioni ipertensive nella madre, la pressione va ridotta a valori inferiori a 160/105 mmHg. La pre-eclampsia severa può essere trattata con labetalolo o nicardipina per endovena, con concomitante controllo della frequenza cardiaca fetale (la dose cumulativa di labetalolo non deve superare gli 800 mg nelle 24 ore per ridurre il rischio di bradicardia fetale). Il nitroprussiato sodico per endovena è controindicato in gravidanza per il rischio di avvelenamento fetale da cianuro. Se la donna pre-eclamptica presenta anche edema polmonare, il farmaco di scelta è la nitrogicerina.

Non ci sono dati definitivi che suggeriscano un valore target ottimale di pressione arteriosa nelle donne in gravidanza in terapia farmacologica per ipertensione. Per ragioni pratiche (la scelta di un valore target permette di calibrare la terapia) si pone come target pressorio una pressione < 140/90 mmHg (linee guida europee ESH/ESC 2018).

L’ipertensione post-partum è comune nella prima settimana. Non ci sono preclusioni per la scelta del farmaco ad eccezione della metildopa, per il rischio di depressione post partum, e con l’unica avvertenza di “compatibilità” con l’allattamento al seno (ESH/ESC 2018).

Le donne che hanno sviluppato ipertensione gestazionale o pre-eclampsia presentano un rischio maggiore di ipertensione, ictus e malattia cardiaca negli anni a venire. Pertanto si raccomanda un controllo annuale della pressione e di eventuali altri parametri metabolici.

Elenco specialità medicinali
Farmaci antipertensivi appartenenti alle principali classi terapeutiche:
Diuretici tiazidici

Diuretici solfonamidici

Diuretici risparmiatori di potassio (antagonisti dell’aldosterone)

Diuretici risparmiatori di potassio

Beta-bloccanti non selettivi

Beta-bloccanti selettivi

Beta-bloccanti attivi anche sul recettore alfa

Calcio-antagonisti diidropiridinici

Calcio-antagonisi non diidropiridinici

ACE-inibitori

Sartani (antagonisti dell’angiotensina II)

Inibitori diretti della renina

Farmaci antipertensivi appartenenti ad altre classi terapeutiche:
Antiadrenergici ad azione centrale

Antiadrenergici ad azione periferica

Farmaci attivi sulla muscolatura arteriolare