Quali farmaci per l'Infarto miocardico?
L’infarto miocardico acuto deve essere spesso trattato in condizioni di emergenza, con un ricovero ospedaliero.
La scelta del trattamento viene compiuta sulla base dei dati raccolti in fase di diagnosi, perché è correlata al tipo di infarto, alla causa e all’estensione dell’area cardiaca coinvolta.
Per gli infarti di tipo NSTEMI (senza sopraslivellamento del segmento ST), in cui il flusso sanguigno è reso faticoso dall’occlusione parziale di un vaso, l’obiettivo del trattamento è rivolto a promuovere lo scioglimento del trombo, a impedire la formazione di nuovi coaguli e a ridurre la stenosi (costrizione) dei vasi. Invece per gli infarti STEMI (con tratto ST sopraslivellato) bisogna intervenire tempestivamente per ripristinare il flusso nell’arteria completamente occlusa.
Lo scopo del trattamento è di ridurre le dimensioni dell’area colpita da infarto, diminuire il dolore al torace e prevenire le complicanze, come aritmia e insufficienza cardiaca, a cui si potrebbe andare incontro.
Terapia di riperfusione
La riperfusione cardiaca (riattivazione della circolazione sanguigna nell’area isolata dal flusso) può essere condotta con una terapia fibrinolitica, che promuove la dissoluzione del trombo, oppure attraverso gli interventi chirurgici di riperfusione percutanea o bypass aorto-coronarico. La scelta viene condotta con l’obiettivo di ridurre il più possibile il periodo di ischemia.
La terapia fibrinolitica è raccomandata per i pazienti con infarto del miocardio di tipo STEMI, con elevazione del tratto ST maggiore di 0,1 mV e che presentano i sintomi da meno di 12 ore. Tra gli agenti fibrinolitici rientrano: streptochinasi, alteplasi, reteplasi e tenecteplasi; essi agiscono promuovendo l’attivazione del plasminogeno in plasmina, che attraverso l’azione proteasica riesce a dissolvere i trombi. Questa terapia è controindicata nei pazienti a rischio di sanguinamento (Kumar, Cannon, 2009a).
La riperfusione percutanea è l’opzione terapeutica migliore quando può essere condotta nei primi 90 minuti dopo il primo contatto con il medico. Consiste nel dilatare il vaso ristretto attraverso l’inserimento di un catetere, che viene gonfiato all’interno. È definita “primaria” quando è condotta senza precedente o concomitante somministrazione di agenti fibrinolitici, “di salvataggio” (rescue PCI) quando viene svolta dopo che la terapia con agenti fibrinolitici non ha ottenuto l’effetto di riapertura del vaso. La riperfusione primaria è efficace e sicura nel ripristinare la conduttività dei vasi, senza rischio di emorragie, proprio invece degli agenti fibrinolitici (Van de Werf et al., 2003).
L’efficacia sia della terapia fibrinolitica che della perfusione percutanea diminuisce con il passare del tempo, ma maggiore è il ritardo dell’arrivo in ospedale del paziente rispetto al momento di insorgenza dei sintomi più è preferibile effettuare la perfusione percutanea.
Meno frequentemente si sceglie di procedere con l’operazione di impianto di un bypass aortico. È un’operazione a cuore aperto, attraverso la quale un vaso sano del corpo viene trapiantato al posto dell’arteria in cui il flusso è bloccato, in modo da aprire una nuova via di ossigenazione del cuore (National Institutes of Health – NIH, 2012).
Terapia anti-ischemica
La terapia anti-ischemica è condotta farmacologicamente ed è finalizzata a ridurre il consumo di ossigeno da parte del cuore attraverso la diminuzione di frequenza cardiaca, pressione e contrattilità. I farmaci anti-ischemici hanno azione vasodilatatoria: l’incremento dei flussi ematici nelle arterie vicine permette di riossigenare la zona in ischemia.
La terapia anti-ischemica di prima linea consiste nella somministrazione di nitroglicerina. La nitroglicerina è un agente vasodilatatore, che riduce il dolore dovuto all’infarto del miocardio. Si somministra sotto la lingua oppure per inalazione spray, alla dose di 0,3-0,6 mg e, se i sintomi persistono, è possibile somministrarla endovena. È molto efficace per ristabilire l’equilibrio tra la richiesta e l’apporto di ossigeno e nutrienti al cuore, ma l’utilizzo sostenuto è da evitare perché può portare a tolleranza (Ferreira, Mochly-Rosen, 2012).
Se il dolore non diminuisce dopo l’assunzione di nitroglicerina c’è la possibilità di somministrare la morfina per via endovenosa, ad una dose compresa tra 1 e 5 mg. La morfina è un analgesico molto potente e può avere un effetto benefico per il flusso ematico nel trattamento dell’infarto miocardico NSTEMI. L’uso degli antinfiammatori non steroidei è sconsigliato, a causa dei rischi cardiovascolari associati (Kumar, Cannon, 2009).
Gli agenti beta-bloccanti, come atenololo, sono agenti inibitori dei recettori beta-adrenergici del miocardio, che vengono in genere stimolati dal sistema nervoso simpatico per aumentare la contrattilità cardiaca. La loro inibizione porta alla riduzione della frequenza cardiaca e, quindi, alla diminuzione della richiesta di ossigeno. La terapia con beta-bloccanti, somministrati per via orale o endovenosa, deve essere iniziata entro 24 ore dall’inizio dei sintomi, in modo da mantenere il paziente a una frequenza cardiaca compresa tra 50 e 60 battiti al minuto. In seguito la terapia con beta-bloccanti può aiutare a mantenere basso il rischio di reinfarto (Frishman, 2003).
I bloccanti del canale del calcio, come verapamil o diltiazem, sono consigliati per i pazienti con infarto del miocardio STEMI che non hanno ricevuto un beneficio dalla terapia coi beta-bloccanti o per i quali la terapia coi beta-bloccanti è controindicata, oppure per i pazienti che, in seguito a infarto del miocardio, presentano sintomi ricorrenti. Come i beta-bloccanti questi farmaci esercitano la loro azione diminuendo la contrattilità del miocardio (Babich, Kalin, 1989).
È stata osservata una riduzione significativa della mortalità con la terapia con ACE-inibitori (inibitori dell’enzima convertitore dell’angiotensina), iniziata entro 24 ore dall’evento di infarto. L’angiotensina, infatti, è un ormone che viene convertita in angiotensina II, che ha effetto vasocostrittore e modula la pressione arteriosa, alzandola. Gli ACE-inibitori, quindi, come enalapril, ramipril e lisinopril, agiscono mantenendo bassa la pressione cardiaca (Young, 1995).
Infine altre terapie anti-ischemiche possono essere la somministrazione di ranolazina, inibitore del potenziale d’azione, per il trattamento degli infarti NSTEMI, oppure la somministrazione di magnesio per i pazienti che sono carenti (Hale, Kloner, 2014; Li et al., 2007).
Terapia anti-coagulante
La terapia anti-coagulante, o antitrombotica, è la terapia principale per gli infarti del miocardio di tipo NSTEMI ed è importante per mantenere il flusso ripristinato nell’arteria responsabile dell’infarto di tipo STEMI.
L’acido acetilsalicilico somministrato a basse dosi (intorno a 162 mg) inibisce l’aggregazione piastrinica, impedendo la formazione di coaguli di sangue. È utilizzato nel trattamento in seguito ad un infarto miocardico acuto e, somministrato a lungo termine, è utile per la prevenzione secondaria di reinfarto (Hennekens et al., 1997).
Altri agenti inibitori dell’aggregazione piastrinica che hanno mostrato una buona efficacia sono clopidogrel, prasugrel, ticagrelor, abciximab, eptifibatide e tirofiban.
L’eparina e le eparine e basso peso molecolare, come l’enoxaparina, interferiscono con la cascata di coagulazione e rappresentano la terapia anticoagulante di eccellenza per il trattamento dell’infarto del miocardio STEMI. Inoltre sono disponibili inibitori della trombina, inibitori del fattore Xa, come fondaparinux, o gli anticoagulanti orali come il warfarin. In particolare le linee guida raccomandano la terapia anticoagulante dopo il congedo dall’ospedale in seguito all’attacco di infarto del miocardio.
Terapia ipocolesterolemizzante
Se non ci sono controindicazioni tutti i pazienti con infarto miocardico NSTEMI dovrebbero in seguito all’attacco iniziare una terapia con statine, per abbassare i livelli di colesterolo LDL ed impedire la formazione delle placche aterosclerotiche.
Oltre alla terapia farmacologica, le linee guida NICE raccomandano di indirizzare i pazienti verso la riabilitazione cardiaca e di educarli ad uno stile di vita più sano, con cambiamenti nella dieta e nell’attività fisica (Linee guida NICE, 2013).
Si consiglia di seguire una dieta di tipo mediterraneo e di consumare circa 7 g di acidi grassi omega-3 alla settimana, contenuti in 2-4 porizioni di pesce; inoltre è importante, in seguito alla riabilitazione cardiaca, svolgere esercizio fisico per 20-30 minuti ogni giorno.
I farmaci approvati in Italia e maggiormente utilizzati per il trattamento dell’infarto miocardico e delle condizioni ad esso correlate comprendono (in corsivo sono riportate le specialità medicinali):
ACE-inibitori
Antiaggreganti
Antianginosi
Anticoagulanti
Anticoagulanti orali
Beta-bloccanti
Calcio-antagonisti
Fibrinolitici
Statine