Quali sono le cause dell'Infarto miocardico?
L’infarto miocardico è un disordine complesso, in cui le cellule del cuore, private di apporto di ossigeno e nutrienti, vanno incontro a morte. Tra le cause dell’infarto miocardico si elencano:
L’infarto del miocardio può essere distinto, in base all’origine, in (Thygesen et al., 2012):
1) Infarto spontaneo (tipo I). Ha origine in seguito alla rottura di una placca aterosclerotica, una lesione o un evento di dissecazione che porta alla formazione di un trombo in una o più arterie coronariche.
2) Infarto dovuto a uno squilibrio ischemico (tipo II). Ha origine a causa di un disequilibrio tra la richiesta e la disponibilità di ossigeno, dovuto a: disfunzione endoteliale, spasmo coronarico, aritmia, anemia, insufficienza respiratoria, alterazioni nella pressione sanguigna.
3) Morte cardiaca dovuta a infarto (tipo III). Gli infarti del miocardio di tipo III conducono alla morte cardiaca prima che si riesca ad individuare la necrosi cardiaca e ad accertare la causa dell’infarto.
4) Infarto associato a processi di rivascolarizzazione (tipi IV e V). Rientrano in questa classificazione gli infarti che hanno origine in seguito a interventi quali la rivascolarizzazione percutanea (tipo IV) o il bypass coronarico (tipo V).
L’infarto del miocardio è dovuto all’ostruzione completa o parziale di una delle arterie coronariche, deputate al sostentamento del muscolo cardiaco.
L’ostruzione può essere dovuta alla formazione di coaguli in seguito alla rottura di placche aterosclerotiche depositate sulle pareti dei vasi, oppure al restringimento di un’arteria coronarica a causa di uno spasmo costrittivo o dello scollamento tra il foglietto interno ed esterno della parete del vaso (dissecazione), che porta quello interno a sporgere nel lume del vaso.
Le placche aterosclerotiche si formano nel corso di un lungo processo. Le particelle LDL (lipoproteine a bassa densità) sono complessi proteici che contengono e trasportano molto colesterolo e tendono ad accumularsi sulla parete interne delle arterie, dove subiscono una reazione di ossidazione. Esse inducono le cellule dell’endotelio vascolare a esprimere molecole di adesione e molecole che attraggono monociti e macrofagi, stimolando il processo infiammatorio. Le cellule dell’immunità adattativa riconoscono le LDL modificate (dall’ossidazione) e si attivano contro di esse, contribuendo al processo di formazione delle lesioni aterosclerotiche. I macrofagi, fagocitando le lipoproteine ossidate, si riempiono di lipidi e divengono “cellule schiumose”. Con il passare del tempo l’apoptosi e la necrosi delle cellule schiumose rendono la placca sempre più fibrosa e poco elastica, appunto “sclerotica”.
La rottura della placca è la causa più frequente di trombosi: il rilascio degli elementi interni (lipidi, cellule, materiale necrotico) nel flusso sanguigno porta alla formazione di un coagulo che ostruisce l’arteria, dovuto anche al richiamo di piastrine nel punto di rottura. I coaguli possono essere “bianchi”, ricchi di piastrine, oppure “rossi”, ricchi di fibrina: questi ultimi si ritrovano, generalmente, solo negli infarti di tipo STEMI, contraddistinti da tratto ST sopraslivellato nell’elettrocardiogramma (Bentzon et al., 2014; Badimon, Vilahur, 2014).
Gli spasmi coronarici, invece, sono un’altra possibile causa di infarto. Uno spasmo consiste nel restringimento del diametro del vaso, in conseguenza del quale il muscolo cardiaco non riceve abbastanza sangue.
Diverse sono le possibili cause di uno spasmo. Lo stress emotivo potrebbe essere responsabile di una risposta inappropriata da parte del sistema nervoso parasimpatico, che porta alla costrizione coronarica.
In volontari sani sottoposti a stress emotivo è stato osservato un ridotto flusso arterioso, dovuto alla costrizione dei vasi per azione dell’endotelina 1, rilasciata in seguito a stress fisiologico elevato. Inoltre in situazioni di stress sono state messe in evidenza anomalie nell’attivazione piastrinica, probabilmente dovute alla risposta del sistema nervoso simpatico, con livelli aumentati di noradrenalina. Gli aggregati piastrinici potrebbero causare uno spasmo attraverso il rilascio di vasocostrittori, quali i trombossani A2 (Hellstrom, 1979; Zupancic, 2009).
La condizione caratterizzata dalla formazione e destabilizzazione delle placche aterosclerotiche e dalla conseguente trombosi è detta anche “sindrome coronarica acuta” e diversi sono gli elementi che, favorendo il processo di formazione delle placche aterosclerotiche, possono portare all’infarto miocardico. Elementi chiave in questo processo sono l’endotelio, che è un importante regolatore del processo infiammatorio, e l’attivazione piastrinica. Traumi, infezioni, ipertensione, diabete, fumo, stress o predisposizione genetica sono tutti fattori che possono portare a disfunzione endoteliale e promuovere la sindrome coronarica acuta.
Nonostante nel sangue dei fumatori i livelli di antigene tPA (antigene polipeptidico tissutale) circolanti siano più elevati rispetto a quelli dei non-fumatori, l’endotelio dei vasi dei fumatori risulta meno capace di rilasciare tPA, che è essenziale per la fibrinolisi, il processo che controbilancia i coaguli di sangue, sciogliendoli. In questo modo il fumo di sigaretta promuove la coagulabilità del sangue, rendendo più probabili gli eventi trombotici che possono portare a infarto del miocardio (Newby et al., 1999).
Inoltre è stato osservato che il fumo riduce la presenza di HDL (lipoproteine ad alta densità), in favore di quelle LDL, più ricche in colesterolo. Il fumo, infatti, diminuisce i livelli di apoA1 (apolipoproteina A1), che si associa al colesterolo per formare le HDL, e impedisce l’azione degli enzimi, quali LCAT (lecitina-colesterolo acetiltransferasi) o CETP (proteina di trasferimento degli esteri del colesterolo), che favoriscono la conversione delle LDL in HDL (He et al., 2013).
Nel sangue dei pazienti diabetici le particelle HDL ed LDL possono essere legate a molecole di glucosio, presente in sovrabbondanza, con un processo definito glicosilazione. La glicosilazione aumenta l’emivita delle particelle LDL e diminuisce quella delle HDL, che risultano quindi ridotte. Inoltre, poiché l’insulina regola anche l’attività delle lipasi, che mediano il processo di stoccaggio dei trigliceridi nelle cellule adipose, spesso i pazienti diabetici risultano avere anche elevati livelli di trigliceridi circolanti, che promuovono il processo di aterosclerosi (Dokken, 2008).
L’ipertensione è la condizione di pressione sanguigna elevata. È una condizione pericolosa perché sottopone il cuore a uno sforzo superiore alla norma e può condurre all’aumento delle dimensioni dei cardiomiociti (cellule del cuore), cambiamenti nella composizione della matrice extracellulare, che diviene sempre più fibrosa, fino ad arrivare all’ipertrofia cardiaca (aumento delle dimensioni del cuore).
L’ipertrofia cardiaca è spesso associata a infarto del miocardio e, anche se le cause non sono del tutto chiare, è stato osservato che la rottura delle placche aterosclerotiche è più frequente in pazienti con ipertrofia cardiaca (Drazner, 2011). Tuttavia non è raro che l’ipertrofia cardiaca conduca a infarto del miocardio in assenza di aterosclerosi coronarica; probabilmente ciò dipende dall’occlusione delle arteriole interne al muscolo cardiaco, il cui lume dipende dalla pressione esercitata dalle pareti cardiache, che in questa condizione sono più grosse e dure (Maron et al., 1979).
È stato osservato che i pazienti affetti da malattie autoimmuni, quali artrite reumatoide e lupus eritrematoso sistemico, sono soggetti ad un aumentato rischio di infarto cardiaco. Ciò è dovuto al fatto che la condizione di infiammazione cronica promuove il processo aterosclerotico e la presenza di citochine proinfiammatorie altera l’endotelio, rendendo più attiva la sua funzione coagulante. Inoltre nei pazienti con artrite reumatoide si osserva un aumento dei lipidi e delle particelle LDL circolanti, insulino-resistenza e alti livelli di omocisteina, che sono connessi con i processi aterotrombotici (Kaplan, 2010).
L’infarto del miocardio è un disordine che può risultare anche dall’interazione tra profilo genetico e fattori ambientali. Esistono, infatti, dei polimorfismi (varianti genetiche) che predispongono all’infarto. È stato osservato che i polimorfismi associati all’infarto riguardono una moltitudine di geni, implicati in diversi processi: metabolismo lipidico negli adipociti (es. recettore beta 3 adrenergico) o nel tessuto muscolare (es. proteina disaccoppiante mtocondriale), processo di coagulazione (es. glicoproteina 1b, tromboplastina), funzionalità cardiaca (es. proteina di ancoraggio della chinasi A). Inoltre, essendo il processo aterosclerotico un processo mediato dall’infiammazione, tutti i genotipi che favoriscono l’infiammazione contribuiscono all’aumento del rischio di infarto (Yoshida et al., 2007; Incalcaterra et al., 2010).
L’utilizzo di cocaina può causare l’infarto del miocardio in diversi modi. La cocaina impedisce il re-uptake dei neurotrasmettitori noradrenalina e dopamina, che quindi stimolano maggiormente i recettori post-sinaptici e inducono l’aumento della frequenza cardiaca, della pressione e, alterando i flussi ionici del calcio (Ca2+) delle cellule, della contrattilità cadiaca. Inoltre la cocaina ha un effetto vasocostrittore, favorendo il rilascio di endotelina, e stimola l’aggregazione piastrinica (Mittleman et al., 1999).