Come si diagnostica l'Infarto Miocardico?
L’infarto del miocardio deve essere diagnosticato in breve tempo, in condizione di emergenza. Gli esami disponibili per diagnosticare un infarto miocardico sono:
Per i pazienti che giungono in ospedale con sospetto infarto del miocardio in corso si raccomanda di eseguire subito un elettrocardiogramma, per valutare le eventuali anomalie nelle curve registrate, come deviazioni del tratto ST o inversioni delle onde T. Se possibile è meglio eseguire un ECG a 12 derivazioni (punti di registrazione). Si raccomanda di eseguire e interpretare l’elettrocardiogrmma nei primi dieci minuti dopo l’insorgenza dei sintomi di infarto. Se non emergono irregolarità nell’ECG, ma il paziente continua a mostrare i sintomi, il paziente deve essere mantenuto sotto monitoraggio ECG continuo, o comunque l’esame deve essere ripetuto ogni 15-30 minuti.
L’analisi dei tratti ST e delle onde Q permettono al medico di identificare l’arteria occlusa e di stimare il tempo passato dal momento dell’occlusione e di valutare la prognosi, con il rischio relativo e la strategia terapeutica da adottare. Un sopraslivellamento del tratto ST di almeno 0,1 mV presente in almeno due derivazioni è indice di infarto del miocardio acuto nel 90% dei casi. Tuttavia è importante confrontare l’ECG con altri condotti in precedenza e, comunque, la sola analisi dell’ECG non è sufficiente per la diagosi di infarto, perché le deviazioni del tratto ST si ritrovano anche in altre condizioni (Thygesen et al., 2012). L’ECG è importante per riconoscere se si tratta di un infarto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) oppure no (NSTEMI).
In aggiunta all’elettrocardiogramma i pazienti con sospetto infarto del miocardio vengono sottoposti al prelievo del sangue per l’analisi di eventuali enzimi cardiaci circolanti, marcatori di necrosi. In particolare si misurano i livelli di troponina T e troponina I e della frazione MB della creatinchinasi-MB (CKMB), sebbene il loro incremento nel sangue avvenga almeno sei ore dopo l’inizio dei sintomi; in caso di risultato negativo, infatti, è consigliato ripetere il test 8-12 ore dopo. Questo esame può essere determinante per diagnosticare il danno cardiaco in un paziente che presenta i sintomi da diversi giorni (Kumar, Cannon, 2009).
La radiografia a raggi X della zona toracica viene solitamente eseguita per escludere altre possibili cause di dolore al petto.
Attraverso l’ecocardiografia, o ecocardiogramma, è possibile individuare le disfunzioni nel movimento o l’acinesia delle pareti cardiache, e supportare, quindi, le anomalie osservate nell’ECG. Inoltre questo esame permette di identificare aneurismi (dilatazioni) ventricolari e di valutare l’insufficienza della valvola tricuspide, che si trova tra l’atrio e il ventricolo destro e regola il flusso sanguigno (Horowitz et al., 1982; Drobac et al., 1983).
Altri esami utili per definire meglio l’estensione dell’infarto sono l’angiografia, la Tomografia Computerizzata cardiaca o la risonanza magnetica. L’angiogramma permette di visualizzare, attraverso i raggi X e un mezzo di contrasto, i vasi coronarici. La CT e la risonanza vengono impiegate anch’esse per visualizzare la regione cardiaca.
Queste tecniche di imaging possono essere utili perché l’infarto del miocardio porta a disfunzione cardiaca, morte cellulare e fibrosi, che possono essere misurate attraverso i parametri di perfusione, contrattilità e movimento. Se la funzionalità cardiaca risulta normale, allora probabilmente non si tratta di infarto. Se, invece, i parametri di funzionalità sono alterati, ma i livelli di biomarcatori di necrosi sono normali (a qualche ora dall’insorgenza dei sintomi), allora probabilmente non è un infarto di tipo acuto, ma la disfunzione deve essere ricondotta ad altre miocardiopatie (Thygesen et al., 2012; Widimsky et al., 2006).
Il test da sforzo, che consiste in un ECG condotto mentre il paziente svolge esercizio fisico abbastanza intenso, viene in genere condotto qualche giorno dopo l’attacco di infarto miocardico acuto. Con questo test si valuta la comparsa di dolore al torace e si analizza il tracciato dell’elettrocardiogramma, al fine di avere un quadro migliore della prognosi del paziente e del rischio di reinfarto (Theroux et al., 1979)