L'ictus cerebrale è una malattia cerebrovascolare determinata da un’improvvisa chiusura dei vasi del sistema nervoso centrale con conseguente danno alle cellule cerebrali dovuto alla mancanza dell'ossigeno e dei nutrimenti portati dal sangue (ischemia) o dalla rottura dei vasi del sistema nervoso centrale con conseguente danno alle cellule cerebrali causato dalla compressione dovuta al sangue uscito dal vaso (emorragia cerebrale). (leggi)
Le cause dell’ictus sono riconducibili alla chiusura di un’arteria cerebrale che impedisce il passaggio del sangue (ischemia cerebrale) o all’improvvisa rottura di un’arteria cerebrale, causata di solito da elevati valori di pressione arteriosa (emorragia cerebrale). (leggi)
A volte i sintomi compaiono solo per alcuni minuti poi scompaiono completamente. Si parla in questi casi di attacchi ischemici transitori (TIA). (leggi)
L'esame clinico generale (eseguito con l’analisi dei sintomi, della storia familiare e dei fattori di rischio) e la valutazione neurologica (con scale neurologiche come la NIHSS, la quale esamina gli effetti postumi dell’infarto cerebrale acuto, tra cui il livello di coscienza, il linguaggio, la vista, i movimenti extraoculari, l’atassia, la forza muscolare) sono cruciali per la scelta e i tempi di indagini da mettere in atto. (leggi)
Il trattamento dell'ictus ischemico in fase acuta prevede l'utilizzo di farmaci in grado di eliminare e ridurre la formazione di trombi o di tecniche chirurgiche per liberare l'arteria cerebrale ostruita. (leggi)
La prevenzione dell’ictus si focalizza sul controllo dell’arteriosclerosi e della pressione sanguigna. (leggi)
Se ritieni di avere i sintomi dell’ictus, o se qualcuno dei tuoi familiari ha avuto un ictus, parlane con il tuo medico di fiducia. (leggi)
Le medicine non convenzionali tendono ad avere un approccio olistico nei confronti della malattia, tendono cioè a considerare “il malato“ nella sua complessità di individuo, al di là del singolo organo malato. (leggi)
Le informazioni contenute nella ricerca Pharmamedix dedicata all’ictus sono state analizzate dalla redazione scientifica con riferimento alle fonti seguenti. (leggi)
Che cos'è l'Ictus?
L'ictus cerebrale è una malattia cerebrovascolare determinata da un’improvvisa chiusura dei vasi del sistema nervoso centrale con conseguente danno alle cellule cerebrali dovuto alla mancanza dell'ossigeno e dei nutrimenti portati dal sangue (ischemia) o dalla rottura dei vasi del sistema nervoso centrale con conseguente danno alle cellule cerebrali causato dalla compressione dovuta al sangue uscito dal vaso (emorragia cerebrale). Se la circolazione non è prontamente ripristinata le cellule nervose impoverite di ossigeno nel territorio vascolare interessato dall'ictus sono funzionalmente disturbate e muoiono facendo perdere le funzioni cerebrali controllate da quell’area.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l’ictus “sindrome caratterizzata dall’improvviso e rapido sviluppo di sintomi e segni riferibili a deficit focale delle funzioni cerebrali senza altra causa apparente se non quella vascolare; la perdita della funzionalità cerebrale può essere globale (pazienti in coma profondo). I sintomi durano più di 24 ore o determinano il decesso” (Bull World Health Organ., 1976).
Ictus è un termine latino che significa “colpo” (in inglese “stroke”). La caratteristica principale dell'ictus è la sua comparsa improvvisa, solitamente senza dolore.
E' possibile riconoscere due forme di ictus: l’ictus ischemico e l’ictus emorragico.
L’ictus ischemico si verifica quando una placca aterosclerotica o un coagulo di sangue formatosi sopra la placca aterosclerotica (in questi casi l’ictus è definito trombotico) o proveniente dal cuore o da un altro distretto vascolare (in questo caso l’ictus è definito trombo-embolico) ostruisce le arterie cerebrali.
L’ictus emorragico si manifesta a causa della rottura di un’arteria del cervello che porta ad un’emorragia intracerebrale non traumatica (13% di tutti gli ictus) o alla presenza di sangue nello spazio sub-aracnoideo (l’aracnoide è una membrana protettiva del cervello; questa forma rappresenta circa il 3% di tutti gli ictus).
Un attacco ischemico transitorio (TIA, transient ischemic attack) invece è provocato da un coagulo temporaneo che ostruisce un'arteria. I sintomi correlati solitamente spariscono del tutto entro 24 ore (nella maggior parte dei casi il TIA dura pochi minuti, dai 5 ai 30 minuti) senza lasciare danni cerebrali. Dato che questi segni di ictus spesso precedono un vero e proprio ictus vanno attentamente riconosciuti e presi in considerazione.
Dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, l’ictus cerebrale rappresenta la terza causa di morte in Italia, causando il 10-12% di tutti i decessi per anno e rappresentando la prima causa di invalidità. Delle circa 190.000 persone che ogni anno in Italia sono colpite da ictus, i nuovi casi sono circa 152.000 mentre 38.000 (20%) sono le recidive, cioè ictus che si ripetono dopo il primo episodio. La morte subentra entro un mese nel 10-20% delle persone colpite da ictus cerebrale per la prima volta e entro il primo anno in un altro 10%. Solo il 25% dei pazienti sopravvissuti ad un ictus guarisce completamente, il 75% sopravvive con disabilità che nella metà dei casi determina la perdita dell’autosufficienza. L’incidenza è proporzionale all’età della popolazione: è più frequente dopo i 55 anni e la sua prevalenza successivamente raddoppia ad ogni decade; il 75% degli ictus si verifica nelle persone con più di 65 anni. La prevalenza di ictus nelle persone di età 65-84 anni è del 6,5% (negli uomini 7,4%, nelle donne 5,9%) (Ministero della salute, 2011). Nell’Unione Europea (UE) ogni anno si verifica circa un milione di ictus e circa il 25% degli uomini e il 20% delle donne è a rischio di subire un ictus se arrivano all’età di 85 anni (Cordis Europa, 2007). Il numero totale di decessi per ictus nei 48 Paesi europei è attualmente stimato a 1.239.000 l’anno (European cardiovascular disease statistics, 2008).
L’ictus si manifesta con sintomi che generalmente interessano un solo lato del corpo: debolezza improvvisa, paralisi, disturbo della sensibilità. Un sintomo tipico è anche la difficoltà nel parlare o la difficoltà di comprensione del linguaggio. Altri sintomi riconoscibili possono essere la perdita improvvisa della vista (spesso da un solo occhio), vertigini violente con incapacità di deambulazione, severi mal di testa.
Il trattamento dell'ictus ischemico in fase acuta prevede l'utilizzo di farmaci in grado di eliminare e ridurre la formazione di trombi o di tecniche chirurgiche per liberare l'arteria cerebrale ostruita.
Il trattamento dell'ictus emorragico prevede il controllo del sanguinamento e la riduzione della pressione intracranica con un eventuale intervento chirurgico per bloccare le emorragie.
Specifici interventi riabilitativi quali la fisioterapia, la logopedia e la terapia occupazionale sono necessari, dopo la fase delle terapie di emergenza, per recuperare le funzioni cerebrali danneggiate dall'ictus. Vengono messi in atto anche interventi clinici a seconda del tipo di ictus subito e delle eventuali altre patologie in corso (terapia antipertensiva, ipolipemizzante, antiaggregante, anticoagulante e il trattamento delle comorbidità, come il diabete, la bronchite cronica, la malattia renale cronica ecc.).
E’ necessario tenere sotto controllo i fattori di rischio quali l’ipertensione arteriosa, il fumo e l’assunzione eccessiva di alcolici (che vanno evitati), l’obesità e i disturbi del metabolismo glucidico (che vanno tenuti sotto controllo), lo svolgimento di regolare attività fisica (consigliata).
L'identificazione della pressione sanguigna e della fibrillazione atriale come fattori primari di rischio nell'insorgenza dell’ictus sono stati dimostrati dal Framingham Heart Study, il più lungo studio di coorte con l’obiettivo di individuare fattori comuni che contribuissero alle malattie cardiovascolari (Romero, Wolf, 2013; Wolf, 2012). Le pubblicazioni iniziali dello studio nel 1965 hanno identificato la pressione sanguigna come primo fattore di rischio per l'ictus, l'infarto e le emorragie. La pressione sistolica è risultata avere un ruolo importante nell’insorgenza di ictus tanto quanto la pressione diastolica (Kannel et al.,1965). Con l’aumentare dell’età la pressione sanguigna sistolica continua ad aumentare mentre la componente diastolica ha un picco tra i 50 e i 60 anni e poi diminuisce, portando a ipertensione sistolica isolata (≥160 mm Hg) in persone con più di 65 anni. L’ipertensione sistolica isolata non risulta essere innocua come si era pensato in passato ma rappresenta un importante valore predittivo di malattie cardiovascolari quali appunto l’ictus (Lewington et al.,2002). Una serie di studi clinici dimostrano il sostanziale beneficio della riduzione della pressione sanguigna sistolica sull’incidenza di ictus anche per i soggetti di età superiore a 80 anni (Beckett et al., 2008).
La fibrillazione atriale, la forma più comune di aritmia legata alla frequenza del ritmo cardiaco, è un importante fattore di rischio e rende la persona colpita 5 volte più a rischio di ictus rispetto alla popolazione generale: il cuore non si contrae con la forza con la quale dovrebbe portando ad un probabile ristagno di sangue con conseguente formazione di coaguli (Fuster et al., 2011).
Complessivamente, si stima che la fibrillazione atriale sia responsabile per circa il 15% di tutti gli ictus e per il 20% di tutti gli ictus ischemici (Organizzazione mondiale della sanità, 2005). Con l’invecchiamento della popolazione, il peso a livello globale dell’ictus correlato alla fibrillazione atriale continuerà ad aumentare.
Negli ictus correlati alla fibrillazione atriale viene occlusa un’arteria intracranica di dimensioni maggiori rispetto ad altri ictus causando danni maggiori in quanto viene coinvolta una zona più ampia di tessuto nervoso. Di conseguenza agli ictus correlati alla fibrillazione atriale sono stati associati alti costi di ospedalizzazione e livelli più elevati di morbidità (Steger et al., 2004).
Linee guida internazionali, europee e nazionali definiscono il percorso terapeutico più idoneo per la profilassi dell’ictus correlato alla fibrillazione atriale. Esistono diversi metodi per classificare il rischio di ictus. Lo schema più semplice di valutazione del rischio è l’indicatore CHADS2 nel quale vengono assegnati due punti per anamnesi di ictus o TIA e un punto ciascuno a età superiore ai 75 anni, anamnesi di ipertensione, diabete o recente scompenso cardiaco. Le raccomandazioni terapeutiche si basano sul punteggio CHADS2 ottenuto da ciascun paziente.
Per limitare la possibile formazione o espansione di coaguli che aumenterebbero il rischio di ictus correlati alla fibrillazione atriale, l’European Society of Cardiology (ESC) consiglia di avviare una terapia anticoagulante con basse dosi di farmaco. La terapia anticoagulante standard per la profilassi dell’ictus nei pazienti con fibrillazione atriale ad alto rischio di ictus è rappresentata dalla somministrazione di warfarin. L’effetto terapeutico del warfarin si è però dimostrato piuttosto imprevedibile (richiedendo uno stretto monitoraggio) in quanto può cambiare a causa di diversi fattori, quali alimentazione e assunzione di altri farmaci. Recentemente sono stati introdotti sul mercato nuovi anticoagulanti orali, dabigatran, rivaroxaban e apixaban, con un’azione simile a quella del warfarin ma associati ad minor incidenza di eventi emorragici correlati (Di Pasquale 2013). Un’alternativa terapeutica, per i pazienti con FA non valvolare che sono controindicati alla terapia con anticoagulanti orali è rappresentata dagli approcci non farmacologici, come la chiusura dell’auricola atriale sinistra (LAA), zona nella parte sinistra del cuore nella quale in più del 90% dei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare si sviluppano i coauguli che provocano l’ictus (Randall et al., 2010).
Uno studio clinico randomizzato sulla terapia ormonale sostitutiva postmenopausa all’interno del progetto Women’s Health Initiative (progetto statunitense a lungo termine incentrato sulle strategie per prevenire le malattie cardiache, il tumore al seno, il cancro del colon e le fratture osteoporotiche nelle donne in post menopausa) ha riportato un rischio di ictus elevato del 30-40% per le donne che assumono estrogeni associati al progesterone o solo estrogeni (Wassertheil-Smoller et al., 2003; Hendrix et al., 2006).
Nell’ambito del Nurses’ Health Study, uno dei più lunghi studi prospettici sui fattori che influenzano la salute della donna, è stata condotta un’analisi osservazionale, seguendo nel tempo oltre 100.000 donne allo scopo di indagare il rischio di ictus associato alla terapia sostitutiva ormonale in post menopausa. Il campione era costituito da donne di età compresa tra i 30 e i 55 anni seguite dal 1976 al 2004.
Dall'analisi emerge che esiste una forte tendenza all'aumento del rischio di ictus con l'aumento della dose di estrogeni coniugati (p-trend<0,0001). In particolare si è rilevata una percentuale simile di ictus per le donne che assumono 0,3 mg di estrogeni rispetto a donne che non hanno mai assunto la terapia ormonale sostitutiva (RR=0,93, 95% CI 0,62 – 1,40) mentre è stato riscontrato un aumento statisticamente significativo per le donne che assumono dosi di 0,625mg (RR=1,54, 95% CI 1,31 – 1,81) e 1,25 mg (RR=1,62, 95% CI 1,23 – 2,14). Dall'analisi è anche emerso che un rischio inferiore nelle donne più giovani che assumono la terapia ormonale sostitutiva da meno di 5 anni rispetto alle donne di età maggiore (Grodstein et al., 2008).