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Fibrosi cistica

Farmaci e terapie

Quali farmaci per la Fibrosi cistica?

La terapia della fibrosi cistica è sintomatica, volta a prevenire o curare le infezioni respiratorie, l’insufficienza pancreatica, a mantenere un adeguato stato nutrizionale del paziente.

Attualmente non sono disponibili interventi in grado di correggere il difetto genetico all’origine della malattia, ma dal 2012 è disponibile un farmaco, ivacaftor (specialità medicinale Kalydeco), modulatore della proteina CTFR, in grado cioè di migliorare la funzionalità della proteina espressa dal gene difettoso. Ivacaftor rappresenta pertanto il primo farmaco specifico per il trattamento della fibrosi cistica.

La terapia orale a base di ivacaftor potenzia la proteina CTFR (Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator), che funziona come canale cellulare transmembrana, aumentandone il tempo di apertura e facilitando il flusso di ioni cloruro e di acqua attraverso la membrana cellulare. In questo modo si ottiene una fluidificazione delle secrezioni mucose e una più facile eliminazione del muco a livello respiratorio. Ivacaftor è approvato negli Usa e in Europa nei pazienti con fibrosi cistica, con più di 6 anni, che presentano le mutazioni G551D, G1244E, G1349D, G178R, G551S, S1251N, S1255P, S549N o S549R (mutazioni di classe III o “gating”) del gene CTFR responsabile della malattia. Recentemente uno studio clinico condotto in bambini in età prescolare ha messo in evidenza efficacia e tollerabilità del farmaco anche in questo sottogruppo di pazienti (Davies et al., 2016; Yammine et al., 2016). L’estensione all’uso di ivacaftor ai bambini di età compresa fra 2 e 5 anni è stata approvata dall’Agenzia europea dei medicinali, l’EMA. E’ stata richista ed approvata, sempre dall’EMA, anche l’estensione delle indicazioni per i pazienti che portano la mutazione R117H del gene CTFR. In Canada il farmaco è indicato anche per i pazienti con mutazione G970R.

Nei pazienti trattati con ivacaftor si può verificare un aumento consistente degli enzimi epatici (alanina aminotrasferasi e aspartato aminotransferasi), che devono pertanto essere periodicamente valutati. Se i livelli delle transaminasi superano il valore di 5 volte il limite massimo superiore, il farmaco deve essere interrotto. Altro aspetto da tenere in considerazione è quello relativo alle interazioni farmaco-farmaco. La concentrazione del farmaco infatti può aumentare in modo clinicamente significativo quando somministrato con farmaci potenti/moderati inibitori dell’enzima citocromiale CYP3A4 e, viceversa, diminuire quando somministrato con farmaci potenti induttori dello stesso enzima (antiepilettici quali fenitoina, carbamazepina, fenobarbital; antibiotici quali rifampicina e rifabutina). La co-somministrazione di ivacaftor con potenti induttori del CYP3A4 è controindicata. Gli effetti collaterali più frequenti di ivacaftor comprendono mal di testa (cefalea), infezioni delle alte vie respiratorie, dolore addominale, diarrea, eruzioni della pelle e vertigini.

Ivacaftor non è risultato efficace quando presenti due copie della mutazione F508del del gene CTFR (Cystic Fibrosis Transmembrane Regulator) (pazienti omozigoti per F508del) (Food and Drug Administration - FDA, 2012; European Medicines Agency - EMA, 2012). Per questa mutazione è stata approvata la combinazione di ivacaftor con lumacaftor (specialità medicinale Orkambi) (European Medicines Agency - EMA, 2015). Orkambi è stato autorizzato negli adulti e nei ragazzi con almeno 12 anni che presentano due copie (una eredita dal padre e una dalla madre) della mutazione F508del del gene che codifica per la proteina CTFR. La mutazione F508del rappresenta il 50% delle mutazioni osservate in Italia Spagna e Grecia e circa l’80-90% di quelle in Olanda Danimarca e Regno Unito: nel Nord America e nel Nord Europa i pazienti omozigoti per F508del (con due copie della mutazione) rappresentano circa il 50% dei pazienti con fibrosi cistica. Nei trial clinici con la combinazione ivacaftor/lumacaftor il recupero della funzione respiratoria, valutato come FEV1 (Volume espiratorio forzato in 1 secondo), si è attestato in media tra il 4,3% e il 6,7% (nei pazienti con mutazione G551D trattati con ivacaftor il miglioramento della FEV1 è risultata pari al 10-12%),  e le esacerbazioni infettive respiratorie si sono ridotte del 30-39% (Claire et al., 2015; Ramsey et al., 2011; Davies et al., 2013; McKone et al., 2014). Oltre all’associazione ivacaftor/lumacaftor sono state approvate (la prima anche in Europa, la seconda negli USA) altre due combinazioni a dose fissa per ivacaftor: ivacaftor/tezacaftor/elexacaftor (per i pazienti con almeno 12 anni e una copia della mutazione F508del nel gene CFTR) e ivacaftor/tezacaftor (in associazione a ivacaftor, per i pazienti con almeno 12 anni con una o due copie della mutazione F508del oppure una mutazione a funzione residua del gene CFTR).

Poiché il danno polmonare rappresenta la causa principale di complicanze e morte per i pazienti con fibrosi cistica, un aspetto fondamentale della terapia è focalizzato sul mantenimento di uno stato di salute buono delle vie respiratorie. I trattamenti farmacologici comprendono l’uso di antibiotici per ridurre le infezioni batteriche, ricorrenti nei malati di fibrosi cistica, e di vaccini per ridurre il rischio di contrarre infezioni virali (ad esmpio influenza, pertosse, morbillo) che potrebbero favorire lo sviluppo di infezioni batteriche polmonari. Tra le infezioni batteriche più frequenti ricordiamo quelle sostenute da Pseudomonas aeruginosa e quelle da Staffilococco aureus. Nonstante l’uso di antibiotici è molto difficile ottenere una eradicazione completa di questi germi patogeni. La presenza cronica della Pseudomonas causa, negli anni, danni polmonari irreversibili.

Tra i farmaci utili a fluidificare le secrezioni mucose a livello respiratorio (mucolitici), l’unico principio attivo raccomandato nei pazienti con fibrosi cistica è dornase alfa. Dornase alfa è la forma fosforilata e glicosilata dell’enzima desossiribonucleasi umana 1 ottenuto con la tecnica del DNA ricombinante. Si tratta di un enzima in grado di indurre frammentazione del DNA extracellulare. Le secrezioni mucose dei malati di fibrosi cistica contengono elevate quantità di DNA extracellulare derivato da processi di degenerazione dei leucociti presenti in notevole quantità in risposta allo stimolo infettivo. L’elevata concentrazione di DNA extracellulare rende il muco molto viscoso ed elastico. L’esperienza clinica ha evidenziato effetti positivi di dornase alfa sulla funzionalità polmonare e sulle esacerbazioni polmonari (Jones, Wallis, 2010; Konstan et al., 2011). Non ci sono prove invece per l’utilizzo di un altro mucolitico, l’acetilcisteina (Nash et al., 2009; Tam et al., 2013).

Nei pazienti con fibrosi cistica non sono invece raccomandati i farmaci antitosse, perché la tosse rappresenta un aiuto importante per liberare, meccanicamente, le vie respiratorie dal muco denso e sovrabbondante.

L’infiammazione delle vie aeree è una componente importante della malattia polmonare da fibrosi cistica. Si tratta di un’infiammazione prevalentemente neutrofila e pertanto con un certo grado di resistenza agli antinfiammatori steroidei (Smyth et al., 2014). L’uso prolungato di steroidi orali (dose equivalente a prednisone 1-2 mg/kg) a giorni alterni è stato associato ad un rallentamento della progressione della malattia polmonare (Cheng et al., 2015). Anche l’ibuprofene a dosi elevate ha evidenziato una riduzione del declino della funzionalità polmonare in pazienti trattati per 4 anni (Lands, Stanojevic, 2007). A causa delle complicanze associate alla terapia steroidea comunque, l’uso cronico di questi farmaci non è raccomandato come terapia di routine (Smyth et al., 2014).

Il pancreas costituisce uno degli organi bersaglio della fibrosi cistica e circa l’85-90% dei pazienti presenta insufficienza pancreatica. Per garantire quindi un adeguato assorbimento delle sostanze nutritive, il malato di fibrosi cistica deve ricorrere alla supplementazione di enzimi pancreatici, che vanno somministrati al momento dei pasti, comprese merende e spuntini. In Italia, i farmaci a base di enzimi pancreatici comprendono le specialità medicinali Creon e Pancrex.

Poiché chi è affetto da fibrosi cistica perde una quantità eccessiva di sali (NaCl) con il sudore, in particolari occasioni può essere indicata una integrazione di sale da aggiungere all’alimentazione.

I pazienti con fibrosi cistica possono evidenziare osteoporosi (24%) e osteopenia (38%) (Paccou et al., 2010). In questi casi può essere indicata una terapia con bifosfonati per mantenere o migliorare la mineralizzazione delle ossa (Smyth et al., 2014).

Per liberare le vie respiratorie dal muco e favorire la funzionalità respiratoria è raccomandata (linee guida statunitensi e inglesi)  la fisioterapia toracica, da eseguire regolarmente, e attività sportive che stimolino la respirazione profonda e il movimento dei muscoli del torace e delle braccia come il nuoto, la corsa, la pallavolo o il calcio (Association of Chartered Physiotherapists in Cystic Fibrosis. 2011; Flume et al., 2009; Smyth et al., 2014).

Nei pazienti con fibrosi cistica con danno polmonare in stadio avanzato è indicato il trapianto polmonare. Questo intervento è raccomandato nei pazienti che presentano grave ostruzione delle vie aeree (valore di FEV1 minore o uguale al 30% del predittivo; FEV1 o volume espiratorio forzato in un secondo è il parametro che indica il grado di apertura delle grandi vie aeree); in ossigenoterapia per scarsa ossigenazione del sangue (ipossiemia); con ipercapnia (eccesso di anidride carbonica nel sangue, valori superiori a 45 mmHg); con infezioni batteriche ricorrenti che non rispondo o rispondono poco a terapia antibiotica parenterale. Uno studio canadese che ha valutato il tasso di sopravvivenza dopo trapianto polmonare in pazienti con fibrosi cistica ha riportato  una sopravvivenza ad un anno pari all’87,8%, a 5 anni pari al 66,7% e a 10 anni pari al 50,2% (Stephenson et al., 2015).

In sintesi gli interventi raccomandati per il trattamento della fibrosi cistica comprendono l’uso di (Smyth et al., 2014):