Quali sono i sintomi della Dengue?
I sintomi della dengue comprendono:
La maggior parte delle persone che contraggono il virus della dengue sono asintomatiche. Nell’80% circa delle persone sintomatiche, i sintomi della dengue sono generici, simil a quelli di una sindrome influenzale, compaiono 4-10 giorni dopo l’infezione e si risolvono in 1-2 settimane.
Sintomi prodromici, che precedono cioè l’insorgenza dei sintomi caratteristici della malattia, comprendono brividi, chiazze eritematose sulla pelle e rossore al viso; nei bambini compaiono febbre e rash maculopapulare. Il rash cutaneo in genere si manifesta verso il terzo giorno e si risolve in 2-3 giorni.
Febbre da Dengue
Nei pazienti con dengue sintomatica, la febbre, che può arrivare anche ai 41°C, si manifesta qualche giorno dall’infezione e persiste per circa 5-7 giorni, diminuendo con la viremia. In alcuni pazienti, più spesso nei bambini, la febbre scende per un giorno per poi risalire. Questo andamento è più frequente in caso di febbre emorragica. Dopo 1-2 giorni dalla scomparsa della febbre può manifestarsi un secondo rash cutaneo, della durata di 1-5 giorni, morbilliforme, diffuso sui palmi e sulle piante dei piedi, in alcuni casi associato a desquamazione.
Il quadro clinico caratteristico della febbre da dengue comprende trombocitopenia, leucopenia e aumento delle transaminasi epatiche. Trombocitopenia e leucopenia probabilmente sono causate dalla distruzione delle cellule del midollo osseo dovuta alla replicazione vrale. Questo effetto potrebbe essere alla base anche del dolore osseo caratteristico della malattia, da cui il nome di “febbre spacca-ossa” (“breakbone fever”). L’incremento degli enzimi epatici raggiunge l’apice nella seconda settimana di infezione, ma raramente si associa a ittero o insufficienza epatica acuta. Circa un terzo dei pazienti con febbre da dengue manifesta lievi sintomi di emorragia che includono petecchie (piccole macchioline sulla pelle), sanguinamento gengivale e positività alla prova del laccio o test di fragilità capillare (la positività a questo test in assenza di conferma sierologica comunque non è sufficiente per la diagnosi di dengue) (Grande et al., 2016).
In circa il 20% dei casi di dengue sintomatica oltre a febbre, dolore articolare e muscolare, possono comparire dolore dietro agli occhi rash cutaeno, nausea e cefalea severa (Wilder-Smith et al., 2019).
Dengue emorragica/Sindrome da shock dengue
Nel 5% dei casi di infezione sintomatica (1 persona su 20) si sviluppa dengue emorragica (DHF, Dengue Hemorragic Fever) o sindrome da shock dengue (DSS, Dengue Shock Syndrome), le forme più gravi della malattia. I sintomi compaiono 24-48 ore dopo la scomparsa della febbre, che dura per circa 2-7 giorni, spesso con un andamento sali-scendi, e comprendono dolore addominale importante, vomito persistente (almeno 3 episodi nelle 24 ore), emorragia da naso, gengive, occhi e/o orecchie, vomito di sangue o sangue nelle feci, stanchezza, irrequietezza o irritabilità, sete intensa, pallore cutaneo e cute fredda. Si possono inoltre presentare complicazioni a livello neurologico, respiratorio, epatico e cardiaco. L’elevata permeabilità dei capillari infatti causa una forte perdita di sangue (shock ipovolemico) e insufficenza multiorgano. I bambini sono più a rischio degli adulti di andare incontro a sindrome da shock per dengue perché meno capaci di compesare le perdite di sangue per l’aumentata permeabilità capillare. Il 90% dei pazienti che manifestano febbre emorragica da dengue hanno un’età inferiore ai 15 anni.
Nei pazienti con dengue emorragica si osservano trombocitopenia, aumento dell’ematocrito (>20% rispetto al basale), ipoproteinemia (segno di emoconcentrazione che precede lo shock), prolungamento del tempo di coagulazione del sangue, una riduzione dei livelli di fibrinogeno e un aumento dei prodotti di scissione della fibrina, questi ultimi indicativi di coagulazione intravascolare disseminata. Più del 50% dei pazienti risulta positivo al test del laccio (fragilità capillare). L’aumento delle transaminasi si associa a epatomegalia nei pazienti con epatite acuta. In questi pazienti più del 90% delle cellule epatiche (epatociti e cellule di Kupffer) presenta infezione virale con una risposta minima alle citochine (fattore di necrosi tumorale alfa e interleucihina-2) (de Macedo et al., 2006). I pazienti possono inoltre andare incontro a effusione pleurica e/o peritoneale progressiva, acidosi metabolica, insufficienza circolatoria.
L’aspetto più critico della febbre emorragica è rappresentato dalla perdita di sangue per aumentata permeabilità capillare che porta ad emoconcentrazione, versamento pleurico e ascite. La sindrome da shock dengue può essere considerata lo stadio finale delle dengue emorragica, quando la diffusione dell’infezione arriva a compromettere la funzionalità cardiovascolare, a cui segue la morte 8-24 ore dopo.
La mortalità dipende dalla possibilità di poter intervenire in modo adeguato sul paziente, quando questo risulta difficile il tasso di mortalità può salire da meno dell’1% fino al 15% (Palanichamy Kala et al., 2023).
Potenziali biomarcatori per dengue severa
Parte degli studi attivi sulla dengue sono orientati ad identificare dei biomarcatori che possano fungere da segnali per una possibile progressione della malattia. Tra questi sono state segnalate alcune citochine (interleuchina7, 8 e 10), il fattore di necrosi tumorale (TNF) alfa, il fattore di crescita trasformante (TGF) beta e l’interferone gamma, i livelli di eparan solfato nelle urine nei bambini (un aumento di questi livelli rappresenta un fattore di rischio per sindrome da shock per dengue) e di pentraxina 3 (biomarcatore proteico di infiammazione vasale i cui livelli aumentano nella dengue severa). Nei pazienti con dengue grave sono risultati aumentare anche la concentrazione plasmatica del fattore di crescita vascolare (VEGF) e della molecola di adesione cellulare vascolare (VCAM)-1, biomarcatore di un’aumentata attivazione delle cellule endoteliali (Clyde et al., 2006).
Immunità
L’immunità che deriva dall’infezione è permanente, dura tutta la vita, ma è specifica per la variante virale che ha causato la dengue. Questo significa che l’immunità permanente verso un sierotipo non si estende agli altri. I sierotipi del virus della dengue noti sono quattro (DEVN1, DENV2, DENV3 e DENV4), una quinta variante (DENV5) sembra essere stata identificata nel 2015 (Mustafa et al., 2015).
Gli anticorpi che si formano dopo la prima infezione di dengue in parte proteggono anche verso una successiva infezione sostenuta da un sierotipo virale diverso (cross-protezione o immunità eterotipica) ma per un periodo limitato di qualche mese, e per circa 2 anni verso la malattia grave (World Health Organization – WHO, 2009). Dopo 2 anni, una seconda infezione di dengue aumenta il rischio di malattia grave per il fenomeno del “potenziamento anticorpo-dipendente (ADE, Antibody Dependent Enhancement). In caso di terza o quarta infezione, invece, la malattia tende a decorrere asintomatica o con pochi, lievi sintomi (Guzman et al., 2016). I neonati e le donne in gravidanza presentano un rischio maggiore di sviluppare una forma grave di dengue (Murray et al., 2013).
Il potenziamento anticorpo-dipendente coinvolge gli anticorpi eterotopici, cioè gli anticorpi che interagiscono con antigeni diversi da quelli che hanno stimolato la loro produzione. Gli anticorpi eterotopici non sono neutralizzanti verso i sierotipi virali che non li hanno prodotti, ma agiscono da fattore scatenante la replicazione virale. Gli anticorpi eterotopici infatti interagiscono con le nuove particelle virali e ne favoriscono la loro inclusione nei monociti e nei macrofagi del sistema immunitario. In queste cellule il virus della dengue si replica, con conseguente rilascio di particelle virali, citochine proinfiammatorie e proteina virale NS1 solubile. Quest’ultima aumenta la permeabilità capillare, fattore di rischio emorragico. La proteina solubile NS1 è rilevabile già il primo giorno dell’infezione di dengue e la sua concentrazione nel sangue correla con il picco di viremia e la gravità della malattia per infezione secondaria. Il potenziamento anticorpo-dipendente che si osserva con gli anticorpi eterotipici in caso di infezione secondaria, è stato confermato in vitro, in vivo e durante alcuni focolai epidemici di dengue (Bhatt et al., 2021).
Il potenziamento anticorpo-dipendente potrebbe spiegare anche l’aumento di casi gravi di malattia segnalati nel periodo di follow up a lungo termine degli studi clinici relativi al vaccino Dengvaxia nei bambini di 2-5 anni, vaccinati e mai infettati dal virus (Halstead et al., 2016). Dengvaxia è indicato infatti a partire dai 6 anni di età e fino ai 45 anni per persone già infettate dal virus.
Nei pazienti con dengue severa è stata riscontrata anche una eccessiva risposta immunitaria adattativa (il peggioramento dei sintomi si manifesta dopo la scomparsa della febbre). Una delle citochine proinfiammatorie che vengono rilasciate durante l’infezione, l’interleuchina 10, la cui concentrazione aumenta nei pazienti con dengue grave , si associa ad un cambiamento del tipo di linfocita T helper coinvolto nella risposta immunitaria, perché si passa da una prevalenza di linfocita T helper 1 a quella di linfocita T helper 2. L’aumento di interleuchina 10 inoltre correla con l’inibizione delle cellule Natural Killer, la trombocitopenia, l’incremento degli enzimi epatici AST (aspartato aminotransferasi o glutammato-ossalacetato transaminasi) e ALT (alanina aminotransferasi o glutammato-piruvato transaminasi) e biomarcatori di danno d’organo (fegato, cuore, muscolo) (Bhatt et al., 2021).
Secondo modelli matematici, il rischio di dengue grave risulterebbe maggiore per le persone infettate con il sierotipo 1 del virus della dengue (prima infezione) e poi con il sierotipo 2 oppure 4 (seconda infezione), per quelle infettate prima con il sierotipo 2 e poi con il 3 e quelle infettate con il sierotipo 4 e poi con il sierotipo 3 (Aguas et al., 2019).