Il termine COVID-19 è stato coniato per indicare la pandemia causata dal virus SARS-CoV-2. COVID-19 sta per “CoronaVIrus Disease 2019”: nella sigla è inglobato il tipo di patogeno e l'anno in cui la pandemia ha avuto inizio. (leggi)
La malattia COVID-19 è causata dal coronavirus Sars-CoV-2. (leggi)
Il virus SARS-CoV-2 causa un'infezione che può decorrere senza sintomi clinici (infezione asintomatica), con pochi sintomi (infezione paucisintomatica), fino ad una forma di malattia più grave caratterizzata da polmonite e insufficienza respiratoria, e, in alcuni casi, porta ad uno stato di infiammazione diffusa con compromissione multiorgano e morte. (leggi)
Gli esami disponibili per diagnosticare COVID-19 sono tre:test molecolare (PCR), test rapido antigenico, test sierologico. (leggi)
Nel momento in cui scriviamo (settembre 2021) non ci sono farmaci specifici per la terapia del COVID-19. Le autorità sanitarie hanno messo a punto dei protocolli per il trattamento domiciliare e ospedaliero del paziente basandosi sulle migliori evidenze scientifiche disponibili. (leggi)
La prevenzione della malattia COVID-19 si basa sulla somministrazione di vaccini specifici, sull’adozione di misure igienico-sanitarie e di distanziamento (ma sarebbe meglio dire contenimento) sociale. (leggi)
Se ritieni di avere i sintomi da COVID-19, o se a qualcuno dei tuoi familiari è stata diagnosticata l’infezione da SARS-CoV-2, parlane con il tuo medico di fiducia. (leggi)
Le medicine non convenzionali tendono ad avere un approccio olistico nei confronti della malattia, tendono cioè a considerare “il malato“ nella sua complessità di individuo, al di là del singolo organo malato. (leggi)
Le informazioni contenute nella ricerca Pharmamedix dedicata a COVID-19 sono state analizzate dalla redazione scientifica con riferimento alle fonti seguenti. (leggi)
Che cos'รจ Covid-19?
Il termine COVID-19 è stato coniato per indicare la pandemia causata dal virus SARS-CoV-2. COVID-19 sta per “CoronaVIrus Disease 2019”: nella sigla è inglobato il tipo di patogeno e l'anno in cui la pandemia ha avuto inizio.
SARS-CoV-2 è un nuovo tipo di coronavirus (CoV), in parte simile (condivide l'80% del genoma) al virus che provoca la SARS, cioè la sindrome respiratoria acuta grave, da qui il nome sindrome respiratoria acuta grave coronavirus-2 (SARS-CoV-2).
L'origine di SARS-CoV-2 non è nota. La teoria più accreditata individua nel riarrangiamento tra coronavirus di animali diversi (pipistrello e un animale non identificato) il punto di svolta per la comparsa del nuovo ceppo di coronavirus. Adattamenti successivi avrebbero poi portato il nuovo virus ad acquisire la capacità di infettare l’uomo e di essere trasmesso da uomo a uomo. Secondo una ricerca molto recente, un’altra possibilità vede la coesistenza fin dagli inizi della pandemia di due varianti ben distinte del virus , ognuna delle quali avrebbe poi fatto il salto di specie in due anmali intermedi differenti. Un'altra ipotesi ancora fa risalire l'origine di SARS-Cov-2 ad un coronavirus modificato in laboratorio.
I coronavirus (CoV) sono una famiglia di virus a RNA a singolo filamento che causano nell’uomo infezioni respiratorie, dal semplice raffreddore (10-20% dei casi di raffreddore comune) a sindromi respiratorie gravi, anche fatali, come SARS (Sindrome respiratoria acuta grave, Severe acute respiratory syndrome), MERS (sindrome respiratoria mediorientale, Middle est respiratory syndrome) e, appunto, COVID-19.
L'infezione da SARS-CoV-2 può causare quadri clinici molto diversi tra loro: nella maggior parte dei pazienti l'infezione decorre senza sintomi o con pochi sintomi simil influenzali - febbre, stanchezza, tosse, raffreddore, dolore alle ossa e/o alle articolazioni - perdita dell’ofatto e/o del gusto. Circa un paziente su cinque manifesta insufficienza respiratoria che in una percentuale piccola di pazienti, circa il 5%, evolve a polmonite grave, fino a sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS, acute respiratory distress syndrome) che può avere esito fatale. I ricercatori hanno scoperto che l'ARDS è causata da uno stato di intensa infiammazione dovuta alla capacità di SARS-Cov-2 di interferire in modo significativo con il nostro sistema immunitario, determinando uno stato di iperattività infiammatoria continua. L'attivazione non controllata del sistema immunitario indotta dal virus provoca danni al sistema cardiovascolare e insufficienza d'organo.
Come già SARS e MERS, anche COVID-19 è una malattia potenzialmente letale: nel rapporto rilasciato in Italia dall'ISTAT e dall'Istituto Superiore di Sanità a luglio 2020, che ha analizzato i dati relativi al 15,6% dei decessi notificati fino al 25 maggio 2020, circa un terzo delle morti è dipeso dalla sola infezione COVID-19 (Rapporto ISTA-ISS, 2020).
Come si trasmette Sars-CoV-2
La trasmissione del virus SARS-CoV-2 avviene prevalentemente attraverso la saliva (droplets, goccioline con diametro > 5 micron) quando si respira, parla, tossisce o starnutisce. Altra possibile via di trasmissione è quella per contatto con superfici od oggetti contaminati da goccioline di saliva infette, toccando poi con la mano naso, occhi o bocca. In condizioni sperimentali, l’RNA virale è stato rilevato nell'aerosol fino a 3 ore, su plastica e acciaio fino a 72 ore (3 giorni), su rame fino a 4 ore e su carta fino a 24 ore, con un decadimento esponenziale del titolo virale nel tempo, dipendentemente anche dalle condizioni di umidità e temperatura (Kampf et al., 2020; van Doremalen et al., 2020; Istituto Superiore Sanità – ISS, 2020). I ricercatori hanno rilevato il virus SARS-CoV-2 sulla parte esterna delle mascherine chirurgiche fino a 7 giorni dopo il contatto e alcuni tipi di coronavirus umani sui guanti in lattice fino a 3 ore (Sizun et al. 2000). Comunque, la presenza di RNA virale sui diversi tipi di materiale non significa automaticamente che il virus sia presente in forma infettante.
La trasmissione di patogeni con le goccioline di saliva che si emettono con la tosse e gli starnuti è considerata “di contatto” quando le goccioline hanno dimensioni uguali o superiori ai 5 micron di diametro (droplets) perché queste gocce viaggiano per distanze brevi, al massimo un metro, si depositano sulle mucose della bocca o del naso, ma non vengono inalate. I patogeni trasmessi con questa modalità sono ad esempio il virus dell’influenza e i coronavirus. Le mascherine chirurgiche riducono il rischio di contagio perché bloccano l'escrezione della maggior parte delle droplets da parte degli individui infetti (indossare la mascherina chirurgica serve essenzialmente per proteggere gli altri). Si parla di trasmissione aerea o per via aerogena di un’infezione, quando le goccioline di saliva o muco emesse hanno dimensioni inferiori ai 5 micron. In questo caso le goccioline sono sufficientemente piccole per depositarsi sui granelli di polvere e “viaggiare” per distanze superiori al metro. Infezioni trasmesse per via aerea sono il morbillo e la tubercolosi (Marino, 2014; Tortora et al., 2008). I ricercatori hanno documentato la trasmissione aerea per il virus SARS-CoV-2 in caso di particolari procedure che generano aerosol (intubazione, trecheotomia, ventilazione forzata), mentre non hanno trovato tracce di virus nell'aria nelle immediate vicinanze di pazienti con COVID-19 e carica virale elevata o casi accertati di trasmissione virale sui voli a lunga percorrenza in passeggeri seduti vicino a persone con COVID-19 (Istituto Superiore Sanità – ISS, 2020).
Raramente, la trasmissione dei coronavirus può avvenire per via fecale (Epicentro, 2020). Durante la prima ondata di pandemia, i ricercatori hanno individuato l'RNA del virus SARS-CoV-2 nelle feci e nelle urine dei pazienti con COVID-19 fino a due settimane dopo la risoluzione dei sintomi, per cui, con le dovute cautele, perché le evidenze scientifiche in merito sono comunque limitate, la Commissione sanitaria nazionale cinese ha ritenuto opportuno inserire l'aerosol prodotto da feci e urine tra le modalità di trasmissione virale (Wang et al., 2020). Rispetto alla feci, le urine sembrano avere un rischio minimo di positività per SARS-Cov-2. In uno studio che ha analizzato diversi campioni biologici, la positività più alta per l'RNA virale è stata osservata per il liquido di lavaggio broncoalveolare, seguito dal tampone rettale, quindi dall'espettorato; molto più bassa la positività per tampone orofaringeo e sangue; positività assente (RNA non rilevabile) nei campioni di urina (Bwire et al., 2021). In sintesi quindi, la probabilità che l'infezione da SARS-CoV-2 sia trasmessa per contatto con feci o urine è considerata molto bassa a causa della bassa concentrazione di RNA virale presente (il rischio potrebbe essere maggiore nelle strutture cliniche e nelle case di cura per la manipolazione secondaria delle persone e delle escrezioni fecali e urinarie) (Jones et al., 2020).
Il periodo di incubazione medio per COVID-19 è di 1-14 giorni. Il contagio del virus può avvenire a partire da 1-2 giorni prima della comparsa dei sintomi, ma il periodo più critico è quello sintomatico. Non è noto se il paziente asintomatico sia in grado di trasmetter l'infezione, per questo è necessario il periodo di quarantena, associato all'uso della mascherina e del lavaggio delle mani, per ridurre il contatto con gli altri ed evitare il rischio di trasmettere l'infezione.
Cenni di epidemiologia su COVID-19
L'infezione da SARS-CoV-2 è comparsa in Cina alla fine di dicembre 2019 nella citta di Wuhan. Inizialmente il virus era stato chiamato 2019-CoV, poi, in seguito alla decodificazione del genoma e alla sua parentela con il coronavirus della SARS, ha cambiato il nome in quello attuale (Ministero della Salute, 2020).
L’epicentro dell’infezione sembra essere stato un mercato cittadino di frutti di mare e animali vivi, ma le indagini successive hanno suggerito una presenza latente dell'infezione già nei 2-3 mesi precedenti. L’epidemia si è diffusa rapidamente dalla città di Wuhan all'intera regione cinese di Hubei e alle provincie confinanti per poi travalicare i confini nazionali e trasformarsi in pandemia (11 marzo 2020). La Cina ha reagito all'epidemia istituendo un regime di distanziamento fisico delle persone (lockdown) rigoroso che ha permesso di arrivare a circa metà marzo 2020 a non avere quasi più contagi. Nei due mesi e mezzo di epidemia, in Cina, i dati ufficiali riportano 82.356 casi con 3.306 morti (dati OMS al 29 marzo 2020). Nei mesi successivi sono stati segnalati ripetuti focolai che le autorità hanno arginato con l'adozione di lockdown mirati e un'intensa attività di tracciamento dei contatti (contact tracing).
Nel resto del mondo , il nuovo coronavirus si è diffuso a macchia d'olio, con tempistiche differenti e, almeno inizialmente, con numeri molto diversi in termini di contagi e morti nei vari paesi. A fine marzo 2020, la situazione mondiale era la seguente: 202 paesi colpiti, 638.146 casi confermati e 30.039 morti. L'Europa è stata inizialmente la zone più colpita subito dopo la Cina, con l'Italia tristemente sul podio (92.472 casi confermati e 10.023 decessi), seguita da Spagna (72.248 contagiati e 5.690 deceduti), Germania (52.547 contagiati e 389 morti) e Francia (37.145 contagiati e 2.311 deceduti). A fine marzo, nel resto del mondo i paesi con il numero più alti di contagio erano l'Iran (38.309 contagi e 2.640 morti) e gli USA (103.321 contagi e 1.668 morti) (World Health Organization – WHO, 2020c). A fine maggio, gli USA sono diventati il paese con il numero di contagi e morti più alto, seguiti da Russia e Brasile in rapida ascesa. In Europa, dopo i mesi estivi del 2020, caratterizzati da una riduzione dei casi positivi al virus, si è assisitito ad una ripresa dell'epidemia (seconda ondata) che in diversi paesi, tra cui l'Italia, ha determinato un numero di morti superiore a quello osservato nei mesi di marzo-aprile (prima ondata pandemica). Ad aprile 2021, ad un anno dalla proclamazione dello stato di pandemia, con l'epidemia ancora in atto, le differenze tra le varie regioni del mondo erano ancora significative, in parte per le politiche di contenimento adottate a livello nazionale e in parte per le differenti strategie vaccinali adottate dopo l’introduzione dei vaccini anti COVID-19 (in Italia la campagna vaccinale è iniziata a fine dicembre 2020). In Italia i contagi giornalieri si attestavano sui 18-20mila casi con circa 500 morti nelle 24 ore, un numero ancora molto alto, rispetto ad esempio ad altri paesi europei come Germania, Francia, Spagna che presentavano caratterisitiche di popolazione e tassi di vaccinazione simili all’Italia (morti al giorno per milione di abitanti, media prima settimana di aprile 2021: 6,78 italia (9,11 Lombardia) vs 1,46 Germania vs 1,85 Spagna vs 4,06 Francia; tasso di popolazione vaccinata: 12,85% Italia; 11,98% Germania; 12,6% Spagna; 13,64% Francia (Our World in Data, 2021; Statistiche coronavirus in Europa, 2021).
A livello globale, la diffusione e la persistenza dell'infezione del virus SARS-Cov-2 ha consentito lo sviluppo di “varianti”, ceppi virali mutati rispetto al virus originario (wild). Il problema della varianti è frequente con i virus a RNA per l'elevato tasso di replicazione e per la mancanza di un sistema di controllo efficiente del processo di duplicazione del genoma. Le varianti circolanti prevalenti sono la B.1.1.7 (chiamata variante inglese o alfa), la B.1.351 (variante del Sud Africa), la P.1 (variante brasiliana) e a partire da giugno 2021, la B.1.617 (variante indiana o delta), che nel giro di poco tempo è diventata la variante prevalente in Italia. Sulla base dei dati disponibili, non sembra che le varianti provochino una malattia più grave, ma sembrano associate ad una maggiore trasmissibilità che si traduce in un aumento dell'incidenza della malattia con conseguente aumento dei ricoveri e, probabilmente, dei morti (Davies et al., 2021).
In generale, la velocità con cui un’infezione si diffonde può essere una misura della sua virulenza. Il parametro che esprime il numero di persone infettabili da una singola persona infetta è “Ro” (che si dice “erreconzero”). Quando Ro è superiore a 1, è necessario adottare misure di contenimento sociale, o meglio di distanziamento fisico, come ad esempio lockdown o quarantena, per limitare la diffusione dell’infezione. Il valore di Ro non è fisso, ma varia durante il corso di un’epidemia sulla base dell’efficacia delle misure di controllo adottate (adottate le misure di contenimento “Ro” diventa “Rt”). All'inizio dell'epidemia di COVID-19 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva assegnato al nuovo coronavirus, un valore per il parametro “Ro” di 1,4-2,5. Questo valore era simile a quello assegnato al coronavirus della SARS durante l’epidemia del 2002-2003 e al virus dell’influenza H1N1 responsabile della pandemia nel 2009, superiore a quella assegnata al coronavirus della MERS durante l’epidemia del 2012 (Callaway, Cyranoski, 2020).