Quali farmaci per la Cataratta?
La terapia della cataratta è chirurgica e comporta la sostituzione del cristallino con una lenta artificiale.
L’intervento è accompagnato, prima, durante, e dopo, dall’impiego di farmaci che servono per ridurre il rischio di complicanze (es. infezioni) e/o favorire la procedura chirurgica (es. farmaci che dilatano la pupilla).
Intervento chirurgico
Il cristallino ha uno spessore di circa 4 mm e un diametro di circa 10 mm; è contenuto all’interno di un involucro trasparente, la capsula.
L’intervento chirurgico attualmente più utilizzato è la focoemulsificazione (FACO) che consiste nella frantumazione del cristallino con gli ultrasuoni, seguita dall’aspirazione dei frammenti, quindi dalla sostituzione con una lente artificiale di potere diottrico stabilito in precedenza (IOL, Intra Ocular Lens), posta dentro o davanti alla capsula. In alcuni casi la frantumazione del cristallino non è possibile e la lente naturale deve essere estratta intera (estrazione extracapsulare del cristallino o ECCE). In caso di ECCE, la lente artificiale è posta davanti alla capsula o all’iride. In altri casi è necessario rimuovere sia cristallino che capsula (estrazione intracapsulare della cataratta o ICCE). In questo caso la lente artificiale può essere posta davanti all’iride, all’interno dell’iride o congiunta alla sclera. Se possibile la capsula va lasciata in loco perché rappresenta il supporto naturale del cristallino artificiale. La capsula inoltre mantiene separata la parte anteriore dell’occhio, da quella posteriore.
Il chirurgo durante l’intervento di cataratta ha uno spazio di manovra di 3 mm. In questo spazio è presente anche l’iride: in condizioni di midriasi (dilatazione della pupilla) non ottimale, lo spazio disponibile per l’intervento si riduce. Dato lo spazio minimo a disposizione, l’intervento di cataratta viene eseguito con l’uso di un microscopio operatorio che permette ingrandimenti da 10 a 25 volte.
La lente artificiale che sostituisce il cristallino è in materiale biocompatibile (polimetacrilato, acrilico, silicone) e può correggere la visione da lontano o da vicino (lente monofocale), entrambi i difetti visivi (lente multifocale) oppure l’astigmatismo. Poiché la cataratta non è un intervento finalizzato alla correzione dei difetti della vista (miopia, ipermetropia, astigmatismo), tali difetti, in parte, possono permanere anche dopo l’intervento per i limiti intrinseci legati alla lente artificiale o a causa di problemi di cicatrizzazione.
L’intervento avviene in anestesia locale o topica, generalmente in regime ambulatoriale. Anche quando la cataratta interessa entrambi gli occhi, l’intervento chirurgico viene eseguito sui due occhi in tempi diversi. L’intervento eseguito su entrambi gli occhi contemporaneamente rappresenta un’eccezione e dipende dal quadro clinico del paziente. Così come il ricorso all’anestesia totale (ad esempio se il paziente è un bambino, in caso di cataratta congenita) o il ricovero ordinario (più giorni di degenza in ospedale) o diurno (una notte in ospedale).
Benchè si tratti dell’intervento più eseguito al mondo, l’operazione chirurgica è complessa, dal punto di vista tecnico, di gestione del paziente prima e dopo l’intervento e della perizia del chirurgo. Le complicanze più gravi infatti possono provocare la perdità della vista o la perdita anatomica dell’occhio. Comunque, con il progredire della tecnica, che ha portato ad effettuare incisioni più piccole e precise e quindi meno traumatiche, le complicanze intraoperatorie si attestano sullo 0,01% (Società Oftalmologica Italiana – SOI, 2016).
Le complicanze che più frequentemente possono insorgere durante l’intervento di cataratta sono (Progetto Asco, 2006):
a) rottura della capsula che alloggia il cristallino nella sua parte posteriore (porzione estremamente sottile) con o senza coinvolgimento del vitreo
b) emorragia intraoculare (lieve, rischio dell’1%; grave, rischio dello 0,01%)
c) danneggiamento della lente artificiale o spostamento della stessa rispetto alla posizione corretta
Le complicanze più gravi associate all’intervento della cataratta sono l’endoftalmite e l’edema maculare cistoide (Società Oftalmologica Italiana – SOI, 2016; Coppola, 2016).
L’endoftalmite è un’infiammazione che coinvolge le strutture interne dell’occhio. È provocata nella maggior parte dei casi da un’infezione, raramente riconosce cause non infettive. Se non trattata, l’endoftalmite può portare a perdita della vista e dell’occhio. L’occhio infatti non è sterile: la congiuntiva, la membrana che ricopre la parte anteriore dell’occhio e la rima palpebrale possiedono una flora batterica variegata. Le infezioni oculari postchirurgiche in genere si manifestano entro sei settimane dall’intervento.
L’edema maculare cistoide consiste nella raccolta di liquido sieroso tra gli strati della macula. L’alterazione tissutale che così viene a formarsi riduce la capacità visiva.
Terapia farmacologica
L’uso di antibiotici prima dell’intervento di cataratta serve a ridurre la carica batterica della congiuntiva e della rima palpebrale. In questo caso l’antibiotico è somministrato sotto forma di collirio. Per questa via di somministrazione, l’antibiotico risulta efficace sulla parte esterna dell’occhio (abbattimento del 75-90% della popolazione batterica), ma non raggiunge concentrazioni terapeuticamente efficaci nella parte più interna dell’occhio. In riferimento a questo aspetto, lo studio condotto dalla European Society of Cataract & Refractive Surgeons, sul rischio di endoftalmite associata a cataratta non ha evidenziato una riduzione dell’infezione in seguito all’uso di antibiotici in fase preoperatoria (Baselga et al., 2014).
Sull’uso di una profilassi antibiotica preoperatoria, le linee guida sono discordanti: la Francia vieta la profilassi preoperatoria topica, l’Inghilterra evidenzia l’inutilità della profilassi per via sistemica, l’Italia lascia la facoltà al medico di prescrivere una terapia locale con collirio antibiotico per i due giorni che precedono l’intervento di cataratta, le linee guida americane lasciano la possibilità di scegliere tra una profilassi antibiotica topica preoperatoria e l’uso di cefuroxima intracamerale (o intracamerulare) il giorno prima o il giorno stesso dell’intervento (Coppola, 2016).
Gli antibiotici utilizzati in fase preoperatoria, da somministrare 24-72 ore prima dell’intervento, comprendono aminoglicosidi (netilmicina e tobramicina), cloramfenicolo, macrolidi (azitromicina). Di questi, la tobramicina e la netilmicina per via topica (collirio) non raggiungono la camera anteriore dell’occhio a differenza del cloramfenicolo (sospensione o gel oftalmico). Immediatamente prima dell’intervento può essere somministrato iodiopovidone al 5% in soluzione acquosa (batteriostatico) che deve essere rimosso (lavaggio congiuntivale e asciugatura della rima palpebrale) prima dell’intervento stesso (Società Oftalmologica Italiana – SOI, 2013). Lo iodopovidone non deve penetrare all’interno dell’occhio perché tossico per le cellule endoteliali della cornea (Barry et al., 2013). Come alternativa allo iodopovidone può essere impegata la clorexidina allo 0,05%. L’aggiunta di colliri antibiotici supplementari in fase preoperatoria, nei giorni precedenti o il giorno stesso dell’intervento, non è risultata influenzare il rischio di endoftalmite (Barry et al., 2013).
Per ottenere concentrazioni di antibiotico efficaci (effetto batteriostatico e battericida) all’interno dell’occhio, l’antibiotico deve essere somministrato direttamente all’interno della camera anteriore dell’occhio (iniezione intracamerale o intracamerulare). Questa via di somministrazione consente di veicolare direttamente l’antibiotico nell’umor acqueo e di ottenere pertanto concentrazioni di farmaco elevate, non raggiungibili con la somministrazione topica (collirio) o l’iniezione subcongiuntivale. L’antibiotico raccomandato per l’intervento di cataratta è la cefuroxima (in assenza di controindicazione alle cefalosporine), da somministrare per via intracamerale a fine intervento (Linee guida dell’Unione Europea, Linee guida francesi, linee guida della Società Oftalmologica Italiana – SOI) (Coppola, 2016). La cefuroxima intracamerale è stata infatti associata ad una riduzione significativa di endoftalmite (incidenza precedente l’impiego di cefuroxima: 0,3-1,2%; incidenza successiva all’impiego di cefuroxima: 0,014-0,08%) (Beselga et al., 2014; Endophthalmitis Study Group, 2007). In caso di ipersensibilità alle cefalosporine, le linee guida francesi raccomandano levofloxacina per via orale da somministrare il giorno prima e il giorno stesso dell’intervento di cataratta (il beneficio clinico della terapia con fluorochinoloni non è supportato da evidenze scientifiche; le linee guida francesi raccomandano il farmaco in via precauzionale) (Coppola, 2016; Agence Francaise de securité sanitaire des produits de santé – AFSSAPS, 2016). Altre linee guida (canadesi e inglesi) raccomandano l’uso di cefuroxima intracamerale sole se l’incidenza di endoftalmite del centro ospedaliero o ambulatoriale in cui è eseguito l’intervento supera l’incidenza nazionale. Le linee guida americane pur riconoscendo l’efficacia della cefuroxima nel ridurre il rischio di endoftalmite, lasciano libertà d’azione al chirurgo (Coppola, 2016). In caso di rottura della capsula in cui è alloggiato il cristallino, e che separa la parte anteriore dell’occhio da quella posteriore (corpo vitreo e retina), sempre le linee guida francesi raccomandano la levofloxacina (iniezione intraoperatoria venosa) perché non sono disponibili studi di tossicità relativi alla somministrazione di cefuroxima intravitreale (Coppola, 2016).
In pazienti selezionati, possono essere utilizzati, per via intracamerale e in alternativa alla cefuroxima, gli antibiotici vancomicina e gentamicina. La prima è efficace verso i ceppi Gram-positivi resistenti, tra cui i ceppi MRSA (ceppi di Staphylococcus aureus resistenti alla meticillina). La seconda è efficace verso numerosi ceppi Gram-negativi, in particolare Pseudomonas aeruginosa, e alcuni stafilococchi, ma non verso gli streptococchi e il Propionibacterium acnes (Barry et al., 2013).
Le linee guida europee lasciano al chirurgo la facoltà di decidere se attuare una profilassi antibiotica postoperatoria così come le linee guida italiane e americane. Le linee guida inglesi non affrontano questo aspetto, mentre quelle francesi raccomandano la somministrazione di un antibiotico efficace verso i batteri gram positivi (cloramfenicolo) fino alla sigillatura delle incisioni operatorie (terapia antibiotica locale per 7 giorni; oltre, la terapia antibiotica diventa inutile e rischiosa per la selezione di ceppi batterici resistenti al farmaco) (Coppola, 2016). Sulla base dei dati di letteratura, la somministrazione di antibiotici topici postoperatori supplementari non modifica l’incidenza di endoftalmite rispetto alla somministrazione intracamerale di antibiotici a fine intervento (Barry et al., 2013).
In sintesi, gli eventi avversi associati all’intervento di cataratta comprendono (Società Oftalmologica Italiana – SOI, 2016):
prima dell’intervento
a) arrossamento dell’occhio per ipersensibilità ai farmaci da somministrare prima dell’intervento
durante l’intervento
a) eventi avversi legati all’anestesia somministrata tramite iniezione:
b) emorragia intraoperatoria (se grave, rischio di perdita dell’occhio)
c) rottura della capsula che contiene il cristallino con conseguente:
d) ustione della ferita chirurgica causata da un riscaldamento eccessivo della sonda ad ultrasuoni usata durante l’intervento con conseguente necessità di suturare la ferita e induzione di un astigmatismo postoperatorio
dopo l’intervento
a) infiammazione della parte anteriore dell’occhio in risposta alle sostanze utilizzate durante l’intervento
b) infezione interna dell’occhio (endoftalmite) (l’impossibilità di sterilizzare l’occhio rappresenta un potenziale rischio di infezione interna; l’endoftalmite si associa ad una percentuale elevata di perdita della funzione visiva)
c) edema maculare cistoide
d) distacco di retina (l’incidenza è maggiore negli occhi che hanno subito l’intervento di cataratta rispetto a quelli non sottoposti a questo intervento. Fattori di rischio per il distacco di retina sono: età giovane, grave miopia, trauma oculare, intervento complesso di cataratta, diabete, sesso maschile)
e) reazione della macula alla luce del microscopio utilizzato durante l’intervento con conseguente riduzione della capacità visiva
f) alterazione dell’endotelio della cornea (rischio di trapianto di cornea)
g) calcolo non ottimale del potere ottico della lente artificiale (rischio di un secondo intervento per sostituire la lente artificiale o per correggere il difetto visivo)
h) presenza di “mosche volanti” per difetti preesistenti del vitreo
i) abbassamento della palpebra superiore
l) aumento della pressione interna dell’occhio
m) riapertura della ferita chirurgica
Alcune condizioni preesistenti del paziente possono rendere più complesso l’intervento di cataratta. Questi fattori di rischio comprendono (Società Oftalmologica Italiana – SOI, 2016):
a) malattie sistemiche