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Asma

Diagnosi

Come si diagnostica l'Asma?

Gli esami disponibili per diagnosticare l’asma bronchiale e accertarne la causa sono:
• esame obiettivo e anamnesi famigliare
• spirometria (FEV1 o VEMS, CPT, CVF o FVC)
• radiografia del torace
• saturimetria percutanea
• Test di broncodilatazione in acuto
• Test di provocazione bronchiale con metacolina
• Misurazione del picco di flusso espiratorio (PEF)
• Test di diffusione del monossido di carbonio (DLCO)
• Test dell’ossido nitrico esalato (FENO)
• esame dell’espettorato
• emogasanalisi arteriosa
• test allergologici

Il primo passo per la diagnosi di asma bronchiale è rappresentato dalla visita medica (esame obiettivo). Il medico accerta la presenza dei sintomi asmatici (respiro sibilante, costrizione toracica, tosse) e tramite un anamnesi puntuale della storia del paziente (eventuali fattori di rischio di asma) e della sua famiglia (eventuale predisposizione famigliare ad asma o atopia) pone diagnosi di sospetta asma. In caso di anamnesi positiva infatti, la probabilità di diagnosi di asma aumenta (Fabbri et al., 2003).

Il passo successivo è verificare se esiste ostruzione bronchiale reversibile o di grado variabile e/o iperattività bronchiale e questo viene effettuato con prove di funzionalità respiratoria (spirometria, test di reversibilità e test di provocazione bronchiale).

Oltre alla spirometria sono disponibili altri test che consentono di caratterizzare meglio l'asma quali la misura della resistenza al flusso di aria, il picco di flusso espiratorio (PEF), il test di diffusione del monossido di carbonio (DLCO), la misura dell'ossido nitrico esalato e l'analisi dell'espettorato indotto.

La spirometria consente di verificare il grado di ostruzione bronchiale e quindi di seguire l'andamento della malattia e la risposta alla terapia farmacologica del paziente asmatico. Il test spirometrico consiste nel far fare al paziente atti respiratori normali attraverso un boccaglio, senza poter respirare dal naso, quindi nell'eseguire una inspirazione massimale e subito dopo una espirazione massimale.

Con la spirometria si misurano:
• il volume corrente, VC o TV (quantità di aria che viene inspirata e espirata in un atto respiratorio)
• la ventilazione minuto, VE) (corrispondente al volume corrente moltiplicato per il numero di atti respiratori effettuati in un minuto, quest'ultimo parametro è chiamato Frequenza respiratoria)
• il volume di riserva espiratoria, VRE o ERV (quantità massima di aria espirata dopo una normale inspirazione)
• il volume di riserva inspiratoria, VRI o IRV (quantità massima di aria inspirata dopo una normale espirazione)
• il volume residuo, VR (quantità di aria che rimane nei polmoni dopo una espirazione massimale)
• la capacità vitale, CV o VC (quantità massima di aria che viene inspirata e espirata in un atto respiratorio massimale)
• la capacità vitale forzata, CVF o FVC (quantità di aria massima espirata dopo una inspirazione massimale o quantità massima di aria inspirata dopo un'espirazione massimale)
• il volume espiratorio forzato in 1 secondo, FEV1 o VEMS (quantità di aria espirata durante il primo secondo di una espirazione forzata dopo una inspirazione massimale)
• la capacità polmonare totale, CPT o TLC (quantità massima di aria presente nei polmoni; questo indice si ottiene sommando la capacità vitale con il volume residuo)
• la capacità funzionale residua, CFR o FRC (quantità di aria contenuta nei polmoni al termine di atto respiratorio normale, questo valore si misura con uno strumento chiamato pletismografo)

A seconda dei valori dei volumi di aria mossi in un atto respiratorio normale e in un atto respiratorio forzato (espirazione e inspirazione massimale) è possibile verificare se sussiste ostruzione al passaggio di aria nei polmoni. Misurando inoltre il rapporto fra FEV1 e FVC, cioè tra volume espiratorio forzato in un secondo e capacità vitale forzata , è possibile distinguere se il diminuito passaggio d'aria è causato da un deficit ostruttivo o restrittivo (curva di espirazione forzata). Il deficit polmonare è ostruttivo quando sussiste un ostacolo al passaggio di aria nei polmoni oppure il lume delle vie aeree è ridotto; il deficit polmonare è restrittivo quando i bronchi hanno calibro normale mentre diminuisce la capacità di espansione dei polmoni o la loro superficie ventilatoria.

Il rapporto FEV1/FVC in un adulto con attività respiratoria nella norma oscilla fra il 70% e l'80%. La definizione del valore di riferimento che segnala la presenza di ostruzione bronchiale è stato oggetto di dibattito. L'uso di un valore fisso del rapporto FEV1/FVC (70% ) (come indicato dal Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Disease) presenta il rischio di una sottostima nei giovani adulti e di una sovrastima negli anziani (circa 20%) (Hansen et al., 2007). Per evitare errori di stima è preferibile esprimere il rapporto FEV1/FVC come percentuale del valore predetto (indice di Tiffeneau). Le linee guida GINA raccomandano di esprimere il grado di ostruzione come rapporto FEV1/VC che deve risultare inferiore al quinto percentile del valore normale.

Il valore della FEV1 varia a seconda della razza di appartenenza: il valore massimo è caratteristico della popolazione caucasica, quello minimo della popolazione delle isole dell'Oceania. La popolazione nera presenta dei valori di FEV1 inferiore del 15% circa rispetto a quelli caucasici.

Nei pazienti che non possono eseguire un test spirometrico si utilizza, come alternativa, la misura della resistenza al flusso di aria nei polmoni.

Anche la reversibilità dell’ostruzione al passaggio di aria è un elemento di diagnosi: nell’asma bronchiale infatti la reversibilità è un elemento caratteristico (la reversibilità è o spontanea o indotta farmacologicamente), che manca, ad esempio nella broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO).

La diagnosi differenziale fra asma bronchiale e BPCO è un passaggio importante perchè influenza la successiva scelta della terapia farmacologica. Mentre l’asma, ad esempio, risponde molto bene al trattamento steroideo (farmaci di prima linea), non altrettanti si può asserire per la BPCO.

In alcuni casi, può essere difficile attuare una diagnosi differenziale fra asma e BPCO. Nell’asma indotta dal fumo di sigaretta lo stato di infiammazione delle vie aeree è intermedio fra quello tipico dell’asma e quello della BPCO e pertanto la diagnosi differenziale risulta complessa.

La radiografia del torace viene fatta per escludere patologie diverse dall’asma che però possono presentare sintomi simili.

La saturimetria percutanea è un esame che valuta la quantità di emoglobina legata all’ossigeno (emoglobina saturata, SaO2) senza dover ricorrere ad un prelievo di sangue. Si utilizza uno strumento chiamato saturimetro o pulsiossimetro che viene applicato ad un dito della mano. L’esame può essere condotto in diverse condizioni, ad esempio a riposo oppure sotto sforzo.

Il test di broncodilatazione consiste nel somministrare salbutamolo, beta agonista a breve durata d'azione, per via inalatoria (100 mcg) e nel rifare la spirometria dopo 15 minuti. Un aumento del 12% della FEV1 oppure della FVC associato ad un aumento in valore assoluto superiore a 200 ml è positivo per ostruzione bronchiale reversibile. La broncodilatazione si verifica anche in assenza di ostruzione delle vie aeree. Inoltre tale test non permette una distinzione certa fra asma bronchiale e broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e dà esito negativo (assenza di reversibilità della broncocostrizione) nei pazienti asmatici in trattamento.

Il test di provocazione bronchiale con metacolina è usato per accertare o escludere la reattività bronchiale. Se il test è negativo e gli indici spirometrici sono nella norma, anche in presenza di sintomi riconducibili ad asma bronchiale, può essere esclusa la diagnosi di asma. Un esito positivo del test rafforza la diagnosi di sospetta asma.

La metacolina è un broncocostrittore parasimpatico mimetico ad azione rapida e con un profilo di tollerabilità favorevole. In alternativa alla metacolina possono essere utilizzati carbacolo o istamina. Il primo provoca aumento della salivazione (scialorrea) e della sudorazione; la seconda si accompagna a rush cutanei e cefalea.

Il test di provocazione bronchiale viene effettuato somministrando dosi crescenti di farmaco per via inalatoria. Sia pazienti non asmatici sia quelli asmatici rispondono positivamente alla metacolina, ma la broncocostrizione si verifica a basse dosi per gli asmatici e a dosi più alte per i soggetti normali. L'indice spirometrico preso in considerazione è la FEV1: con il test di provocazione si misura la dose di metacolina che provoca una riduzione del 20% della FEV1 (Provation Dose 20 o PD20). Il test è considerato positivo per valori di PD20 inferiori a 800 mcg cumulativi.

Il test con metacolina è controindicato in caso di marcata ostruzione delle vie aeree, di infarto cardiaco o danno vascolare cerebrale recenti. Inoltre si possono avere risultati poco attendibili in caso di infezioni alle vie aeree nelle 4-6 settimane che precedono il test.

Altro parametro utilizzato nella diagnosi dell’asma bronchiale è il picco di flusso espiratorio (PEF). Il monitoraggio continuo per due settimane di questo parametro può essere indicativo di asma se sono osservabili riduzioni inferiori al 20% in due giorni consecutivi.

Il monitoraggio presso il domicilio del paziente del PEF è utile quando il paziente presenta una scarsa percezione dei sintomi dell’asma. Inoltre fornisce indicazioni significative per valutare la risposta alla terapia e il grado di broncocostrizione.

Il test che misura la diffusione alveolo-capillare del monossido di carbonio (test del DLCO) serve per effettuare la diagnosi differenziale fra asma bronchiale ed enfisema nei pazienti che presentano ostruzione delle vie aeree. L'enfisema è una malattia caratterizzata dalla perdita di funzionalità alveolare, favorita da presenza di bronchite cronica o asma. Nei pazienti con asma il test di diffusione del monossido di carbonio (CO) è normale o risulta aumentato, mentre in caso di enfisema risulta sempre diminuito. Tale valore risulta inferiore anche nei pazienti con BPCO perchè sia in questo malattia che in caso di enfisema si verifica una progressiva distruzione della struttura alveolare con riduzione della superficie effettiva per lo scambio gassoso fra alveolo e capillare. Nell'asma la sovradistensione polmonare si verifica solo durante l'attacco acuto (Terzano, 2006)

Il test di diffusione del CO si effettua facendo inalare al paziente, con respiro singolo, una miscela di elio e CO in cui il monossido di carbonio è presente in concentrazione molto bassa (0,3%). I fattori che possono diminuire il valore di DLCO comprendono l'ispessimento della membrana che divide capillare e alveolo, riduzione della superficie effettiva per lo scambio gassoso, riduzione della captazione di CO da parte degli eritrociti (il monossido di carbonio possiede elevata affinità per l'emoglobina) e alterato rapporto fra ventilazione e perfusione (Miller et al., 2005).

Il test di diffusione del CO è considerato nella norma per valori di 81-140% del predetto; il limite inferiore della norma è fissato a 76-80% del predetto (Taccola, 2006).

Il Test dell'ossido nitrico esalato (FENO) consiste nella misurazione dell'ossido nitrico nell'aria espirata. L'ossido nitrico (NO) infatti è un marker di infiammazione; la sua concentrazione nell'aria espirata permette di valutare il grado di infiammazione delle vie aeree (Baraldi et al., 1999). Si tratta di un test non invasivo che può rappresentare una valida alternativa a tecniche invasive come la broncoscopia con lavaggio broncoalveolare e la biopsia bronchiale soprattutto nel monitoraggio temporale in particolari categorie di pazienti come i bambini.

La misurazione dell'ossido nitrico esalato si basa su una reazione fotochimica fra NO e ozono prodotto dall'analizzatore. Da questa reazione si forma NO2 “energizzata” che tornando al suo stato di energia normale emette fotoni (luce). La quantità di fotoni emessi è proporzionale alla quantità di NO, che viene espressa in “parti per bilione”, ppb. I pazienti asmatici presentano concentrazioni di NO esalato maggiori dei pazienti non asmatici in ragione dello stato di infiammazione bronchiale non presente nei soggetti sani. La concentrazione di NO esalato aumenta in caso di crisi asmatica, diminuisce con la terapia antinfiammatoria e tende a risalire con la riduzione della dose di corticosteroidi inalatori, fornendo indicazioni utili sul controllo dell'asma nei pazienti non trattati con corticosteroidi e in quelli in terapia con bassi dosaggi di corticosteroidi inalatori (Smith et al., 2005). Inoltre l'ossido nitrico esalato, correla con la presenza degli eosinofili nello sputo indotto, con la broncocostrizione indotta da AMP (adenosin monofosfato) e con l'esercizio fisico.

Nei pazienti asmatici con un buon controllo della malattia la concentrazione di NO esalato è inferiore a 25-30 ppb.

La valutazione degli eosinofili nell'espettorato indotto permette di distinguere due forme di asma: eosinofila e neutrofila. Gli eosinofili insieme ai basofili e ai neutrofili costituiscono il gruppo di cellule chiamate granulociti. I granulociti sono un tipo di leucocita (cellula bianca del sangue).

La quantità di eosinofili correla con il grado di infiammazione dei bronchi, è indicativa dell'eventuale perdita di controllo della malattia asmatica e dà indicazioni sul tipo di risposta del paziente alla terapia con corticosteroidi per via inalatoria (un basso valore di eosinofili nel secreto si associa ad uno scarso effetto terapeutico della terapia corticosteroidea e viceversa) (Bacci et al., 2006).

La presenza di neutrofili nell'espettorato indotto è caratteristica nelle riacutizzazioni dell'asma bronchiale, in caso di asma grave, in caso di esposizione ad endotossine o inquinanti ambientali o professionali.

L'emogasanalisi arteriosa (EGA) consiste nella misurazione della pressione parziale dell'anidride carbonica (pCO2) e dell'ossigeno (PO2), la quantità di ossigeno legato all'emoglobina (saturazione di O2, SaO2) i il pH del sangue arterioso. É utilizzata nei pazienti con asma grave o in caso di grave riacutizzazione della malattia.

Poiché l'asma può essere causata da una reazione di ipersensibilità specifica (es. acido acetilsalicilico) è importante accertare la presenza di allergie nel soggetto asmatico. I test allergici possono essere eseguiti tramite prelievo di sangue (dosaggio di IgE specifiche nel siero) o per via cutanea (Prick Test).