L’anoressia nervosa o più comunemente anoressia, rientra fra i disturbi del comportamento alimentare (DCA), che interessano in Italia circa 3 milioni di persone. (leggi)
L’anoressia è una malattia complessa, di lunga durata e dagli esiti spesso gravi, la cui causa è probabilmente multifattoriale. (leggi)
Il cibo e il corpo sono al centro dei pensieri dell'anoressica che conta le calorie, parla costantemente di cibo, controlla incessantemente il suo peso. (leggi)
Il test EAT-26 (Eating Attitude Test) è il più famoso e accreditato test di screening per valutare il rischio di sviluppare un disturbo del comportamento alimentare (DCA). (leggi)
La terapia dell'anoressia nervosa richiede nella maggior parte dei casi trattamenti prolungati nel tempo e, spesso, lunghi ricoveri ospedalieri. (leggi)
L’anoressia nervosa è un disturbo dell’alimentazione le cui cause non sono note. (leggi)
Se ritieni di avere i sintomi dell’anoressia, o se a qualcuno dei tuoi familiari è stata diagnosticata l’anoressia, parlane con il tuo medico di fiducia. (leggi)
Le medicine non convenzionali tendono ad avere un approccio olistico nei confronti della malattia, tendono cioè a considerare “il malato“ nella sua complessità di individuo, al di là del singolo organo malato. (leggi)
Le informazioni contenute nella ricerca Pharmamedix dedicata all’anoressia sono state analizzate dalla redazione scientifica con riferimento alle fonti seguenti. (leggi)
Che cos'è l'Anoressia?
L’anoressia nervosa o più comunemente anoressia, rientra fra i disturbi del comportamento alimentare (DCA), che interessano in Italia circa 3 milioni di persone.
L’anoressia nervosa è una malattia tipicamente femminile, anche se negli ultimi quattro-cinque anni i casi di anoressia nella popolazione maschile sono andati via via aumentando. L’elemento che contraddistingue l’anoressia è la paura ossessiva di ingrassare che porta al rifiuto del cibo. Atteggiamento inteso come risposta ai tentativi di omologazione del proprio corpo ai modelli proposti dalla società.
L’anoressia nervosa è considerata infatti una delle malattie del XXI secolo, espressione di una società ricca, dove il valore della magrezza è messo in cima alla lista della scala axiologica (l’axiologia o assiologia è lo studio filosofico dei valori interpretativi della realtà). L’anoressia è una sindrome legata al benessere come dimostra la sua assenza nei paesi più poveri dell’Africa, Asia e America Latina.
Il termine “anoressia” deriva dal greco è significa “mancanza o assenza di appetito”, che può giungere fino al disgusto per il cibo. Questa condizione di inappetenza è di solito conseguente a malattie varie; può essere passeggera in lievi forme febbrili e nelle infezioni acute come il tifo, o persistente in malattie del tubo digerente (gastriti, tumori dello stomaco) o croniche tossinfettive come la tubercolosi. L’anoressia come inappetenza è un sintomo clinico riconducibile a cause organiche.
Nella psichiatria si definisce “anoressia mentale” una forma di nevrosi caratterizzata dal rifiuto del cibo, accompagnato o seguito da altri disturbi somatici e psichici; può essere determinata da vari motivi, coscienti e inconsci (gelosia, rifiuto della femminilità, fobie, situazioni conflittuali, ecc.).
L’anoressia nervosa può originare da un disturbo psicopatologico in cui il soggetto ha una errata valutazione della rappresentazione del proprio “schema corporeo” (dismorfofobia). Le persone affette da dismorfofobia non sono soddisfatte del loro aspetto e vedono il corpo distorto e peggiore di quello che è in realtà.
L’anoressia può essere anche la conseguenza della sitofobia (dal greco “grano” e “fobia”), dovuta cioè al rifiuto patologico del cibo che si osserva per esempio in caso di psicosi schizofreniche e negli stati di depressione grave.
Il meccanismo che scatena la comparsa del fenomeno anoressico è un disturbo percettivo della propria immagine corporea, con il conseguente rifiuto di mantenere il proprio peso al di sopra del minimo normale. Una persona si percepisce diversa, “peggiore” rispetto a come appare e questo in genere è associato ad livello di autostima molto basso. La paura di ingrassare, condotte alimentari restrittive come il digiuno totale o parziale, il vomito autoindotto o l’uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi, l’iperattività fisica sono gli elementi comuni osservati in chi soffre di disturbi del comportamento alimentare (DCA). L'anoressia nervosa è spesso cronica e coinvolge nella sua evoluzione funzioni psicologiche, neuroendocrine, ormonali e metaboliche.
Il primo medico a studiare la patologia anoressica fu il genovese Simone Porta che nel 1500 descrisse il primo caso di anoressia nervosa. In epoca medioevale, i digiuni ascetici erano considerati una forma di virtù, legati essenzialmente a motivazioni religiose, come la mortificazione del corpo, quasi un traguardo spirituale da raggiungere. Alcune donne di quell'epoca storica, anche grazie ai loro digiuni, furono santificate (Santa Caterina da Siena e Beata Angela di Foligno). Si parlò a quell'epoca di “sant’anoressia” (Bell, 1998). L'anoressia e le altre manifestazioni corporee diventano nel Medioevo l'unica possibilità per la donna di affermare il proprio potere nella società attraverso un ruolo mistico-religioso. Il destino di una donna era quello di sposarsi con il designato della famiglia, oppure di entrare in un convento di clausura. La rinuncia al proprio corpo permette allora alla donna di vivere le sensazioni e i desideri come manifestazione di fede ed espressione religiosa. La "sant’anoressica" fa riferimento al potere mistico, attraverso la possibilità di convincere della sua santità i confessori spirituali cui era affidata e a cui non cedeva, come non aveva ceduto alla famiglia, quando le era richiesto di guarire riprendendo a nutrirsi. L'anoressia, insieme alla flagellazione e ad altre sofferenze corporali analoghe, diventa il mezzo per avviare alla santità la donna il cui corpo era simbolo di lussuria, debolezza e irrazionalità.
La prima pubblicazione medica sull’anoressia appare nel 1689 ad opera del medico britannico Richard Morton. Charles Lasègue nel 1800 coniò il termine di “anoressia isterica”, ponendo l'attenzione sull'origine non organica della patologia e sottolineando il ruolo importante della famiglia che circonda l'ammalata (Gull, Lasègue, 1998). Nel corso dell'anno 1903 lo psicologo francese Pierre Marie Félix Janet definì la malattia “psicoastenia” imputando la causa ad un rifiuto da parte della donna della sua sessualità. Nel 1914, il fisiologo Morris Simmonds correlò la comparsa dell’anoressia al cattivo funzionamento dell’ipofisi o ghiandola pituitaria, suggerendo interventi di tipo ormonale ed endocrinologico per la soluzione della malattia. La prima volta che Freud ne parlò fu in occasione di alcuni studi sull’isteria. Lo psicologo definì l'anoressia un sintomo isterico che si organizza come un rifiuto dell’alimentazione, espressione di un rifiuto della sessualità. La perdita di appetito è intesa come perdita della libido e mancato sviluppo della propria identità sessuale. Freud definì l'anoressia come “melanconia”.
I dati del Ministero della Salute identificano come età di esordio dell’anoressia il periodo compreso fra i 12 e i 25 anni, con la fase più critica fra i 15 e i 19 anni. Ogni 100 ragazze in età di rischio, 8-10 soffrono di un disturbo alimentare. Anoressia e bulimia anche se restano disturbi a prevalenza femminile e adolescenziale stanno aumentando in modo esponenziale e preoccupante nei bambini in età pediatrica, soprattutto tra i 10 e i 14 anni, negli adulti sopra i 40 anni, nonché nella popolazione di sesso maschile. L'anoressia nervosa colpisce lo 0,28% delle adolescenti nei paesi occidentali mentre in Italia la diffusione dell'anoressia si aggira attorno allo 0,3% principalmente nel nord del paese.
Circa il 90-95% dei casi di anoressia nervosa si sviluppa nel sesso femminile. Nel sesso maschile è maggiormente espresso il desiderio non tanto di apparire magri quanto muscolosi (dismorfia muscolare). Negli uomini, l'anoressia porta una diminuzione del desiderio sessuale; la malattia, si manifesta indipendentemente dall'orientamento sessuale del soggetto (l'80% degli anoressici maschi sarebbero eterosessuali) (Burns, Crisp, 1984).
Chi soffre di anoressia non si considera malato e quindi non vuole essere curata perché ha un’errata percezione del sé e della propria massa grassa in rapporto al peso. Questo comporta un lasso di tempo a volte piuttosto lungo fra le manifestazioni della malattia e la diagnosi vera e propria. Altra criticità è rappresentata dalla difficoltà oggettiva a trovare i centri più adatti alla presa in carico del paziente. Quindi non solo tempi troppo lunghi per la diagnosi ma anche per il trattamento, con ricadute negative sulla possibilità di guarigione (tanto più rapida infatti è la presa in carico del paziente rispetto all’esordio dell’anoressia, tanto maggiore è il successo terapeutico e la probabilità di guarigione).