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Adalimumab

Humira, Amgevita e altri

Farmacologia - Come agisce Adalimumab?

Adalimumab, noto anche come D2E7, è un anticorpo monoclonale umano IgG1 specifico per il fattore di necrosi tumorale alfa (Tumor Necrosis Factor alpha, TNF-alfa), approvato per il trattamento di artrite reumatoide, artrite idiopatica giovanile poliarticolare, artrite psoriasica, psoriasi, morbo di Crohn, spondilite anchilosante, colite ulcerosa.

Ottenuto con la tecnica del DNA ricombinante, adalimumab è formato da 1330 aminoacidi con un peso pari a circa 144 kilodalton ed è un anticorpo totalmente umano (assenza di DNA murino).

Artrite reumatoide
L’artrite reumatoide è una malattia infiammatoria cronica autoimmune che colpisce le articolazioni. Provoca progressivo ispessimento della membrana sinoviale che erode nel tempo la cartilagine e il tessuto osseo determinando deformazione ossea. La causa della malattia non è nota: sono state ipotizzate cause infettive (virus e batteri) e ambientali. È probabile l’esistenza di una componente ereditaria, sostenuta dalla presenza, nei pazienti colpiti, del marker genetico HLA-DR4.

La terapia convenzionale per il trattamento dell’artrite reumatoide prevede l’impiego di farmaci sintomatici (FANS) e di farmaci “modificanti la malattia” o “di fondo” (DMARDs), quali sali d’oro, penicillamina, azatioprina, idrossiclorochina, salazopirina, metotrexato e ciclosporina. Fra questi ultimi, il farmaco di scelta è rappresentato dal metotrexato, ma anche nel caso in cui si riesca ad ottenere una risposta terapeutica completa, il miglioramento del quadro clinico del paziente non supera il 50%.

L’adalimumab si lega al TNF-alfa e ne ostacola il legame con i recettori di membrana (p55 e p75), impedendo alla citochina di sostenere le azioni proinfiammatorie che ne caratterizzano l’attività.

Dopo somministrazione dell’anticorpo, si verifica una significativa diminuzione della concentrazione di proteina C reattiva (PCR), della velocità di sedimentazione eritrocitaria (ESR) e del livello di interleuchina-6. Diminuiscono anche le concentrazioni di metalloproteinasi (MMP-1 e MMP-3) coinvolte nelle alterazioni cartilaginee caratteristiche dell’artrite reumatoide.

Sebbene il TNF-alfa sia un mediatore importante dell’infiammazione e della risposta immunologica cellulare, la somministrazione dell’anticorpo adalimumab (64 pazienti) non è stata associata a riduzione della risposta immunitaria ritardata (ipersensibilità ritardata) e a diminuzione dei livelli di immunoglobuline, effettori cellulari T e B, cellule natural killer, macrofagi/monociti e neutrofili (Scheda Prodotto Humira, 2012).

La somministrazione di adalimumab in caso di pazienti affetti da artrite reumatoide ha indotto una risposta ACR50 nel 45% e una risposta ACR70 nel 25% dei pazienti dopo tre anni di terapia. I criteri di risposta ACR sono definiti dall’American College of Rheumatology e si basano sul miglioramento delle tumefazioni e del dolore delle articolazioni e sul miglioramento di almeno 3 punti su un totale di 5 (valutazione del medico, valutazione del paziente, punteggio relativo a dolore e disabilità, variazione della concentrazione di proteina C-reattiva rispetto al basale). Una risposta terapeutica ACR20 indica un miglioramento del 20% secondo i criteri ACR e corrisponde al valore soglia di efficacia terapeutica; ACR50 indica un miglioramento del 50%, mentre ACR70 un miglioramento del 70% dei criteri ACR.

In pazienti con artrite reumatoide in fase attiva (271), nonostante l’impiego di 1-4 farmaci di fondo (DMARDS), in grado cioè di ritardare la progressione della malattia e in trattamento con dosi stabili di metotrexato (12,5 e 25 mg oppure 10 mg se intolleranti a metotrexato), la somministrazione di adalimumab (dosi di 20, 40 e 80 mg per via sottocutanea ogni due settimane) ha indotto remissione significativa dei segni e sintomi della patologia nel 27-66% dei pazienti, secondo i criteri di efficacia ACR (Weinblatt et al., 2003, studio clinico ARMADA). In particolare, dopo 24 settimane di trattamento la risposta ACR20 è stata ottenuta, rispettivamente, nel 47,8% - 67,2% – 65,8% dei pazienti trattati con l’anticorpo e metotrexato vs 14,5% dei pazienti trattati con placebo e metotrexato. La risposta terapeutica ACR50 ha coinvolto il 31,9% – 55,2% – 42,5% dei pazienti trattati vs 8,1% dei pazienti del gruppo placebo. La risposta ACR70, che rappresenta la misura clinica più vicina alla remissione della malattia, è stata ottenuta nel 26,9% e nel 19,2% dei pazienti rispettivamente in terapia sottocutanea con 40 e 80 mg di adalimumab vs il 4,8% dei pazienti del gruppo placebo. Dei diversi schemi posologici impiegati, le percentuali più elevate di risposta terapeutica sono state ottenute con la dose di 40 mg per via sottocutanea ogni 2 settimane.

La somministrazione di adalimumab in pazienti con risposta terapeutica non soddisfacente dopo terapia con metotrexato (pazienti arruolati 619) è stata associata ad una diminuzione della progressione della malattia evidenziata radiologicamente. In questo studio i pazienti arruolati presentavano una malattia con una durata media di 11 anni. La risposta ACR20 dopo 24 e 52 settimane di terapia (adalimumab 40 mg ogni due settimane in associazione a metotrexato) è stata pari al 63% e 59% dei pazienti (vs 30% e 24% con placebo più metotrexato); la risposta ACR50 è stata del 39% e 42% (vs 10% con placebo più metotrexato); la risposta ACR70 è oscillata dal 21% al 23% dei pazienti, rispettivamente dopo 24 e 52 settimane di terapia, vs 3% e 5% del gruppo placebo. L’85% dei pazienti che aveva raggiunto una risposta pari al punteggio ACR20, ha mantenuto tale risposta anche per le 52 settimane dello studio in doppio cieco (Keystone et al., 2004). In questo studio la progressione della malattia è risultata rallentare nei pazienti trattati con adalimumab e metotrexato rispetto ai pazienti trattati con il solo metotrexato (p<0,001) (gruppo placebo più metotrexato) sia a 6 sia a 12 mesi. I risultati positivi sono stati osservati anche nel gruppo di pazienti che ha proseguito lo studio nella fase in aperto durata 3 anni in cui tutti i pazienti arruolati sono stati trattati con metotrexato e adalimumab (40 mg ogni 2 settimane). La percentuale di pazienti che non ha evidenziato progressione della malattia dopo i 5 anni è risultata pari al 58% nel gruppo di pazienti trattati fin dall’inizio con adalimumab 40 mg ogni 15 giorni contro il 40% dei pazienti che per i primi due anni erano stati trattati solo con metotrexato. I pazienti in remissione dopo 5 anni (DAS28<2,6; assenza di progressione radiologica della malattia) sono risultati essere il 26,1% vs 11,9% (pazienti trattati con adalimumab 40 mg ogni 15 giorni per 5 anni vs pazienti trattati con placebo per i primi due anni) (Keystone et al., 2011). Anche la valutazione della qualità di vita e della funzionalità fisiche hanno evidenziato un miglioramento statisticamente significativo per adalimumab più metotrexato rispetto alla sola terapia con metotrexato sia dopo 52 settimane sia dopo 5 anni.

Analoghi risultati sono stati ottenuti in pazienti con artrite reumatoide in fase attiva dopo terapia con almeno un farmaco di fondo (DMARDS) (pazienti arruolati: 544) in seguito a monoterapia con adalimumab (20 e 40 mg ogni due settimane o ogni settimana per 26 settimane). Dopo 26 settimane, la risposta ACR20 (endpoint primario) e stata pari a 19,1% vs 35,8% vs 39,3% vs 46,0% vs 53,4% dei pazienti rispettivamente con placebo, adalimumab 20 mg ogni due settimane, 20 mg/sett, 40 mg ogni 2 settimane e 40 mg/sett; la risposta ACR50 (endpoint secondario) è stata rispettivamente di 8,2% vs 18,9% vs 20,5% vs 22,1% vs 35,0% dei pazienti nei cinque gruppi di trattamento; la risposta ACR70 (endpoint secondario) pari a 1,8% vs 8,5% vs 9,8% vs 12,4% vs 18,4%. Non sono state osservate differenze nei diversi gruppi di terapia per incidenza di infezioni opportunistiche e neoplasie. Reazioni al sito di iniezione hanno interessato il 10,9% dei pazienti trattati con l’anticorpi e lo 0,9% dei pazienti trattati con il placebo (van De Putte et al., 2004).

L’adalimumab è stato valutato anche in pazienti adulti affetti da artrite reumatoide precoce, mai trattati con metotrexato. Nello studio PREMIER, i pazienti arruolati (799) sono stati assegnati a ricevere adalimumab 40 mg ogni due settimane più metotrexato ogni settimana oppure adalimumab 40 mg ogni due settimane o metotrexato ogni settimana. La durata dello studio in doppio cieco è stata di 104 settimane; al termine i pazienti potevano proseguire con una seconda fase in aperto della durata di 3 anni. I pazienti trattati con l’associazione farmacologica hanno evidenziato risposte terapeutiche superiori e più rapide rispetto al trattamento in monoterapia con adalimumab o metotrexato dopo 52 e 104 settimane (ACR20: 62,6% vs 54,4% vs 72,8% rispettivamente con metotrexato, adalimumab e l’associazione dei due farmaci alla54esima settimana; 56,0% vs 49,3% vs 69,4% alla 104esima settimana; ACR50: 45,9% vs 41,2% vs 61,6% alla 52esima settimana; 42,8% vs 36,9% vs 59,0% alla 104esima settimana; ACR70: 27,2% vs 25,9% vs 45,5% alla 52esima settimana; 28,4% vs 28,1% vs 46,6% alla 104esima settimana). Dopo un anno di terapia la remissione clinica (DAS28<2,6) è stata raggiunta dal 42,9% dei pazienti trattati con adalimumab più metotrexato rispetto al 20,6% (metotrexato) e al 23,4% (adalimumab). Dopo 2 anni, i pazienti in remissione erano il 49%; il 49% dei pazienti ha evidenziato una risposta clinica ACR70 per almeno 6 mesi continuati (percentuale pari a 2 volte quella osservata nei pazienti trattati con i singoli farmaci) (Breedveld et al., 2006). L’associazione farmacologica è risultata più efficace anche nel ridurre la progressione della malattia in termini di danno articolare. La percentuale di pazienti in cui la variazione dell’Indice Totale di Sharp (Total Sharp Score, TSS) (indice di valutazione del danno articolare) è risultata uguale o inferiore a 0,5 (assenza di progressione della malattia) è risultata pari a 63,8% e 61,2% con adalimumab più metotrexato dopo 52 e 104 settimane, al 37,4% e 33,5% con metotrexato dopo 52 e 104 settimane e al 50,7% e 44,5% con adalimumab dopo 52 e 104 settimane. Dopo 5 anni (2 anni di studio in doppio cieco e 3 in aperto), la percentuale di pazienti in remissione (DAS28<2.6, TSS=/<0,5, Health Assessment Questionnaire=/<0,5) risultava ancora maggiore con adalimumab più metotrexato rispetto agli altri due farmaci (35% vs 13% vs 14%). Dopo 5 anni, il TSS nel gruppo trattato con adalimumab più metotrexato risultava pari a 2,9 contro il valore di 9,7 nel gruppo trattato con metotrexato e 8,7 nel gruppo in terapia con adalimumab (van der Heijde et al., 2010).

Sempre nello studio PREMIER, l’adalimumab è stato associato ad una minor perdita di tessuto osseo periarticolare rispetto al metotrexato, indipendentemente dal grado di risposta clinica, a suggerire un’azione dell’anticorpo sulla cellula osteoclastica sia indiretta (mediata dal TNF-alfa) sia diretta (Hoff et al., 2011). Nello stesso studio l’indice di valutazione della qualità di vita (HRQOL, Health-Related Quality Of Life) e della funzionalità fisica (SF-36. Short-Form 36 Health Survey) ha evidenziato un miglioramento superiore nei pazienti trattati con adalimumab più metotrexato rispetto a quelli trattati con metotrexato o adalimumab (Strand et al., 2012).

L’analisi dei dati di safety per adalimumab, somministrato a pazienti con artrite reumatoide per almeno 12 settimane (studio clinico in aperto) per un totale di 4210 pazienti-anno di esposizione al farmaco ha evidenziato un’incidenza di infezioni opportunistiche severe pari al 3,1% (5,5/100 pazienti-anno, inclusa tubercolosi attiva, 0,5/100 pazienti-anno), un’incidenza di malattia neurologica demielinizzante pari al 0,06% e di lupus eritematoso sistemico (malattia autoimmune) pari allo 0,035% e un’incidenza standardizzata di neoplasia dello 0,71. Tutti i pazienti arruolati nello studio (6610 pazienti) avevano continuato ad assumere, oltre ad adalimumab (40 mg ogni due settimane) anche il farmaco DMARDs con cui erano in cura. Al termine dello studio, la risposta terapeutica (ACR20) è stata raggiunta dal 69% dei pazienti trattati con adalimumab (Burmester et al., 2007).

L’Adalimumab è risultato efficace anche nei pazienti con artrite reumatoide che non hanno risposto a precedenti terapie con altri antagonisti del TNF-alfa. In uno studio osservazionale (REALISE) della durata di 5 anni, l’adalimumab è stato somministrato a pazienti parte dei quali avevano già ricevuto, senza successo, un inibitore del TNF-alfa (infliximab e/o etanercept). L’80% dei pazienti arruolati era di sesso femminile con artrite reumatoide da 10-12 anni e circa i ¾ dei pazienti avevano ricevute cure con farmaci modificanti la malattia (DMARDs). L’adalimumab è stato somministrato per almeno 3 mesi. Quasi tutti i pazienti trattati hanno risposto alla terapia con l’anticorpo. Dopo un anno di trattamento con adalimumab la percentuale di pazienti con malattia a bassa attività (DAS28 =/< 3,2) è passata dall’11,9% (3 mesi) al 31,8% (12 mesi) nel gruppo di pazienti non precedentemente trattati con inibitori del TNF-alfa e dal 10,9% (3 mesi) al 21,9% (12 mesi) nel gruppo di pazienti precedentemente trattati con gli inibitori del TNF-alfa. Dopo 4 anni i pazienti con bassa attività di malattia sono stati pari al 55% nel primo gruppo e al 40% nel secondo gruppo. Sebbene adalimumab sia risultato più efficace nei pazienti con artrite reumatoide mai trattati con inibitori del TNF-alfa, il farmaco è risultato efficace anche nei pazienti precedentemente trattati ma non responsivi ad altri inibitori del TNF-alfa (Burmester et al., 2009; EULAR, 2010).

Artrite idiopatica giovanile poliarticolare
La somministrazione di adalimumab a pazienti di età compresa fra 4 e 17 anni affetti da artrite idiopatica giovanile poliarticolare ha determinato un miglioramento clinico maggiore quando associato a metotrexato rispetto al solo uso dell’anticorpo. I pazienti arruolati nello studio sono stati suddivisi in due gruppi, trattati con metotrexato o mai trattati con metotrexato. Tutti i pazienti sono stati trattati con farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e/o prednisone (dose massima: 10 mg/kg/die) più adalimumab (dose massima 40 mg ogni due settimane) per 16 settimane (fase in aperto). Dopo 16 settimane, i pazienti che avevano ottenuto una risposta terapeutica ACR30 pediatrica (74% e 94% dei pazienti rispettivamente non trattati e trattati con metotrexato) sono stati arruolati per la fase randomizzata in doppio cieco dello studio della durata di 32 settimane o fino a riacutizzazione della malattia ed hanno ricevuto adalimumab (24 mg/m2 ogni due settimane fino ad una dose massima di 40 mg ogni 2 settimane) oppure placebo. Alla 48esima settimana (16 + 32 settimane) o dopo la prima riacutizzazione della malattia i pazienti erano inseriti nella fase di estensione dello studio in aperto. Dopo le 32 settimane in doppio cieco, la riacutizzazione della malattia è stata osservata, per il gruppo trattato con metotrexato, nel 36,8% vs 64,9% dei pazienti trattati con adalimumab o placebo; per il gruppo non trattato con metotrexato, nel 43,3% vs 71,4% dei pazienti trattati con adalimumab o placebo. Dopo le 48 settimane complessive, la percentuale di pazienti che aveva ottenuto risposta terapeutica ACR30, 50, 70 e 90 era significativamente più elevata nel gruppo trattato con metotrexato e adalimumab rispetto al gruppo trattato solo con metotrexato. Nel gruppo non trattato con metotrexato, le differenze, in termini di risposta terapeutica, fra pazienti in terapia con adalimumab o placebo non sono risultate significative (Lovell et al., 2008). Nei pazienti con artrite reumatoide giovanile poliarticolare l’adalimumab è indicato in associazione al metotrexato e in monoterapia solo se il metotrexato è controindicato.

Psoriasi
L’adalimumab è risultato efficace nel migliorare sintomatologia e qualità di vita nei pazienti con psoriasi a placche cronica.

Nello studio REVEAL l’adalimumab è stato somministrato a pazienti (1212) con psoriasi in tre diverse fasi. La prima parte dello studio prevedeva la somministrazione di adalimumab (80 mg la prima settimana, 40 mg la seconda settimana, quindi 40 mg a settimane alterne) oppure placebo in doppio cieco per 16 settimane. La seconda parte dello studio prevedeva la somministrazione in aperto di adalimumab (40 mg ogni 2 settimane) ai pazienti che avevano ottenuto una risposta terapeutica PASI75 (miglioramento dell’indice PASI di almeno il 75%) al termine delle prime 16 settimane. La terza parte dello studio, nuovamente in doppio cieco, prevedeva che i pazienti con risposta =/> PASI 75 alla 33esima settimana, e che erano stati randomizzati a ricevere adalimumab durante le prime 16 settimane, fossero nuovamente randomizzati a ricevere adalimumab o placebo.
L’endpoint primario dello studio era rappresentato dalla percentuale di pazienti con risposta PASI=/>75 dopo le prime 16 settimane. L’endpoint primario è stato raggiunto dal 71% dei pazienti trattati con adalimumab vs il 7% dei pazienti trattati con placebo. Durante la terza fase dello studio, la perdita di risposta terapeutica (definita come miglioramento dell’indice PASI inferiore al 50% e almeno un aumento di 6 punti del punteggio PASI alla 33esima settimana, dopo la fase in aperto dello studio) è stata osservata nel 28% dei pazienti trattati con placebo contro il 5% dei pazienti che avevano ricevuto per tutte e tre le fasi dello studio adalimumab (Menter et al., 2008).

I pazienti arruolati nello studio precedente (trial clinico REVEAL) che avevano ottenuto una risposta terapeutica PASI75 dopo 16 e 33 settimane (1° e 2° parte dello studio) e che avevano continuato a ricevere adalimumab durante la terza parte dello studio sono entrati in una fase di estensione in aperto dello studio in cui sono stati trattati con l’anticorpo (40 mg a settimane alterne) per ulteriori 108 settimane (durata complessiva del trattamento con adalimumab pari a 160 settimane). La percentuale di pazienti che ha evidenziato remissione della malattia o condizione di malattia minima dopo le 108 settimane è risultata pari, rispettivamente, al 74,7% e al 59,0%.

Nel trattamento della psoriasi a placche di grado moderato-severo, l’adalimumab è risultato superiore al metotrexato sia in termini di efficacia sia in termini di velocità di risposta. Dopo 16 settimane di terapia la percentuale di pazienti con risposta terapeutica PASI75 (endpoint primario) è stata pari al 79,6% con adalimumab (dose iniziale di 80 mg alla settimana 0, quindi 40 mg ogni 2 settimane), pari al 35,5% con metotrexato (7,5 mg per os, incrementabile fino a 25 mg a settimana) (p<0,001 vs adalimumab), pari al 18,9% con placebo (p<0,001 vs adalimumab). La percentuale di pazienti in remissione clinica (PASI100) è risultata maggiore con adalimumab (16,7%) rispetto a metotrexato (7,3%) e placebo (1,9%) (differenze statisticamente significative). La percentuale di pazienti con guarigione o marcato miglioramento secondo il Patient’s Global Assessment risultava essere 73,1% vs 30,0% vs 11,3% rispettivamente con adalimumab, metotrexato e placebo. Nel gruppo di pazienti in terapia con adalimumab, la risposta clinica è risultata più rapida rispetto agli altri gruppi: dopo 4 settimane il 57% dei pazienti presentava già un miglioramento del punteggio PASI (Saurat et al., 2008, studio CHAMPION).

L’impatto della terapia con adalimumab sulla qualità di vita dei pazienti con psoriasi è stato valutato in uno studio clinico in doppio cieco della durata di 16 settimane. I pazienti (271) con psoriasi a placche di grado moderato-severo sono stati randomizzati a ricevere adalimumab oppure metotrexato oppure placebo. Nello studio sono stati considerati il Dermatology Life Quality Index (DLQI), il Patient’s Global Assessment sul grado di severità della malattia, il grado di dolore valutato con scala analogica visiva (VAS) relativo a psoriasi a placche e artrite psoriasica e la valutazione del prurito (psoriasis-Related Pruritus Assessment). Al termine dello studio differenze statisticamente significative sono state riscontrate fra adalimumab e placebo (p<0,001) e adalimumab e metotrexato (p<0,001) in termini di DLQI, Patient’s Global Assessment per il grado di severità della malattia (p<0,001 sia vs placebo sia vs metotrexato), dolore valutato come VAS (p<0,001 vs placebo; p<0,01 vs metotrexato), prurito (psoriasis-Related Pruritus Assessment, p<0,001 sia vs placebo che vs metotrexato) (Revicki et al., 2007).

Dall’analisi di 16 trial clinici in doppio cieco vs placebo (metanalisi) relativi all’uso di farmaci biologici e non biologici nel trattamento della psoriasi a placche di grado moderato-severo, il farmaco più efficace è risultato infliximab seguito da adalimumab. L’adalimumab è risultato, nell’ordine, più efficace (percentuale di pazienti con risposta PASI75 dopo 8-16 settimane) di ciclosporina, efalizumab, etanercept 50 mg 2 volte/settimana, etanercept 25 mg 2 volte/settimana (Schmitt et al., 2008).

La somministrazione di adalimumab a pazienti con risposta terapeutica inadeguata a etanercept, metotrexato oppure a fototerapia con raggi UVB a banda stretta è stata associata ad una probabilità del 50% di ottenere una risposta clinica significativa. In uno studio clinico della durata di 16 settimane, adalimumab è stato somministrato a pazienti che avevano interrotto la terapia con etanercept (dopo 11-17 giorni) o con metotrexato o raggi UVB a banda stretta (dopo 4-10 giorni) per risposta terapeutica subottimale. L’adalimumab è stato somministrato con una dose iniziale di 80 mg alla settimana 0, seguita da una dose di 40 mg ogni 2 settimane a partire dalla settimana 1. Dopo 16 settimane la percentuale di pazienti che avevano raggiunto una valutazione globale del medico (Physician Global Assessment) di malattia “assente“ o “minima“ (endpoint principale) è risultata pari al 52% (49% per i pazienti precedentemente trattati con etanercept; 61% per i pazienti precedentemente trattati con metotrexato e 48% per quelli precedentemente trattati con UVB a banda stretta) (Strober et al., 2011).

Artrite psoriasica
L’aggiunta di adalimumab (40 mg ogni 2 settimane) in pazienti con artrite psoriasica in terapia standard ha evidenziato risposte terapeutiche ACR20, ACR50 e ACR70 rispettivamente nel 74%, 51% e 32% dei pazienti dopo 12 settimane (trial clinico in aperto, non controllato). La percentuale di pazienti in remissione o con malattia minima secondo la valutazione Physician Global Assessment è passata dal 34% al 68% dopo l’aggiunta di adalimumab e l’indice NAPSI (Nail psoriasis Severity Index) è diminuito del 44% con il farmaco biologico (Van den Bosch et al., 2010).

L’efficacia terapeutica di adalimumab osservata a breve temine è stata confermata anche dopo somministrazione prolungata. Nello studio ADEPT i pazienti che hanno terminato il primo ciclo di terapia di 24 settimane in doppio cieco con adalimumab (40 mg/2 sett) vs placebo sono stati inseriti nella fase di estensione dello studio, in aperto, della durata di ulteriori 120 settimane. Le risposte ottenute dopo 24 settimane, sia come miglioramento dei sintomi articolari sia come inibizione della progressione della malattia confermata con radiografia, si sono mantenute nella maggior parte dei pazienti entrati nella fase in aperto del trial con più del 20% dei pazienti in remissione clinica (PASI100) (Mease et al., 2009).

Nei pazienti con artrite psoriasica, la concentrazione di proteina C reattiva (PCR) è risultata essere un fattore di rischio indipendente per la progressione radiologica della malattia. Dall’analisi dei dati dello studio ADEPT, l’adalimumab è risultato ridurre il rischio di progressione radiologica dell’artrite psoriasica di circa 5 volte rispetto al placebo (riduzione della concentrazione di proteina C reattiva pari al 64% con adalimumab vs nessuna variazione con placebo) (Gladman et al., 2010a).

L’adalimumab è risultato efficace anche in caso di pazienti con artrite psoriasica già trattati con altri farmaci biologici. Nello studio clinico ACCLAIM in aperto della durata di 12 settimane, adalimumab, somministrato alla dose di 40 mg ogni 2 settimane, è stato associato ad un miglioramento della malattia di almeno il 20% (ACR20) nel 70,3% dei pazienti già trattati con inibitori del TNF-alfa e nell’81,1% dei pazienti mai trattati con inibitori del TNF-alfa. Il 55,9% dei pazienti (60% e 45,9% rispettivamente pazienti mai trattati e già trattati con inibitori del TNF-alfa) ha ottenuto una risposta terapeutica ACR50 e il 21,3% (25,6% e 10,3% rispettivamente pazienti mai trattati e già trattati con inibitori del TNF-alfa) ha ottenuto una risposta terapeutica ACR75. I pazienti arruolati nello studio presentavano 3 articolazioni dolenti e 3 articolazioni tumefatte nonostante la precedente terapia sistemica con metotrexato (64,6% dei pazienti arruolati) o con farmaci biologici (42,5% dei pazienti arruolati). I pazienti presentavano una durata media della malattia di 11,1 anni. Al termine dello studio, fra i pazienti con psoriasi estesa ad almeno il 3% del corpo, il 64,7% ha ottenuto una risposta ACR50 e il 47,3% una risposta ACR75. La qualità di vita e la funzionalità corporea sono significativamente migliorate (p<0,001). Circa il 63,8% dei pazienti trattati con adalimumab ha evidenziato almeno un effetto collaterale di grado lieve (Glodman et al., 2010).

In caso di artrite psoriasica, la somministrazione di adalimumab comporta una riduzione marcata dell’infiltrazione delle cellule T e dell’espressione della metalloproteinasi 13 (MMP13) nel tessuto sinoviale suggerendo un possibile ruolo per questi parametri come biomarcatori sensibili ai cambiamenti biochimici dopo trattamento farmacologico attivo (van Kuijk et al., 2009).

Adalimumab è risultato efficace nel ridurre la progressione della psoriasi a livello articolare. Nei pazienti trattati con il farmaco per 48 settimane che non hanno evidenziato nessuna variazione, rispetto al basale, di ulteriore danno articolare, la malattia non è risultata associata a progressione del danno radiologico nell’84% dei pazienti anche dopo 144 settimane di terapia.

Spondilite anchilosante
La spondilite anchilosante è una malattia infiammatoria cronica progressiva che interessa le articolazioni della colonna vertebrale, delle anche, delle spalle e raramente articolazioni periferiche. É una malattia fortemente debilitante che può portare dolore alle natiche e alle gambe con perdita di forza delle stesse e perdita del controllo dello sfintere anale o vescicale (sindrome della coda equina). Le articolazioni colpite per prime sono quelle sacroiliache. I pazienti con spondilite anchilosante possono presentare uveite acuta anteriore (circa 20%), malattie infiammatorie croniche intestinali, disturbi cardiaci, amiloidosi, fibrosi polmonare. La diagnosi differenziale viene effettuata rispetto all’artrite reumatoide, all’artrite psoriasica, alle malattie croniche infiammatorie intestinali.

Negli studi clinici in doppio cieco, l’adalimumab (40 mg per via sottocutanea ogni 2 settimane) è risultato più efficace del placebo nell’indurre una risposta terapeutica del 20% secondo i criteri definiti in base all’Assessment in Ankylosing Spondylitis International Working Group (ASAS20) (58,2% vs 20,6% di pazienti, p<0,001) e un miglioramento del 50% secondo il Bath Ankylosing Spondylitis Disease Activity Index (BASDAI) (45,2% vs 15,9% dei pazienti, p<0,001) dopo 12 settimane di terapia (studio clinico ATLAS). La superiorità di adalimumab rispetto al placebo è stata confermata anche dopo 24 settimane di terapia. Remissione parziale è stata osservata nel 22,1% dei pazienti del gruppo adalimumab rispetto al 5,6% del gruppo placebo (p<0,001). Circa il 75% dei pazienti in terapia con adalimumab ha evidenziato almeno un effetto avverso contro il 59,8% dei pazienti nel gruppo placebo (van der Heijde et al., 2006).

L’analisi relativa ai dati di funzionalità fisica (Short Form Health Survay, SF-36) e Qualità di vita (Ankylosing Spondylitis of Life Questionnaire, ASQoL score) dello studio precedente ha evidenziato un miglioramento statisticamente significativo dei pazienti trattati con adalimumab rispetto a quelli inseriti nel gruppo placebo sia dopo 12 settimane sia dopo 24 settimane di terapia (p<0,001). Il miglioramento della qualità di vita correlata alla salute (SF-36 e ASQoL score) è risultata associata alla risposta clinica valutata secondo i criteri ASAS (Davis et al., 2007).

Lo studio ATLAS prevedeva dopo le prime 24 settimane in doppio cieco, una fase in aperto in cui i pazienti venivano assegnati alla terapia con il farmaco attivo (adalimumab 40 mg sottocute ogni 2 settimane). Dopo 2 anni l’82% (255/311) dei pazienti iniziali risultava ancora in terapia con adalimumab. Il 64,5% dei pazienti rientrava nel gruppo dei responder ASAS20 (200/310), il 50,6% nel gruppo dei responder ASAS40 (157/310) e il 33,5% risultava in remissione parziale secondo i criteri ASAS (104/310) (van der Heijde et al., 2009).

La risonanza magnetica delle articolazione spinale e sacroiliaca, in pazienti con spondilite anchilosante attiva, ha confermato l’efficacia di adalimumab sul lungo periodo nel ridurre l’infiammazione articolare. Dopo un periodo di trattamento di 24 settimane, i pazienti trattati con adalimumab hanno evidenziato riduzione dell’infiammazione spinale e sacroiliacale (riduzione media del punteggio SPARCC spinale e dell’articolazione sacroiliaca: 53,6% e 52,9% rispetto al basale), mentre i pazienti trattati con placebo hanno evidenziato un aumento del punteggio SPARCC spinale pari al 9,4% rispetto al basale e una riduzione dell’analogo punteggio per l’articolazione sacroiliaca del 12,7% rispetto al basale. Le differenze osservate fra adalimumab e placebo sono risultate statisticamente significative (articolazione spinale, p<0,001; articolazione sacroiliaca, p=0,017). Le risposte ottenute con adalimumab alla 24esima settimana si sono mantenute fino alla 52esima settimana. Risultati simili a quelli ottenuti con adalimumab sul grado di infiammazione articolare sono stati osservati nei pazienti trattati con placebo per le prime 24 settimane e poi con adalimumab fino alla 52esima settimana (la seconda parte dello studio condotta in aperto) e nei pazienti che alla 12esima settimana erano stati considerati non responder e che avevano continuato a ricevere adalimumab in aperto (Lambert et al., 2007).

Rispetto a pazienti con spondilite anchilosante mai trattati con TNF-inibitori, la terapia con adalimumab non è risultata più efficace nel rallentare la progressione radiografica della malattia. L’analisi dei dati radiografici provenienti dai pazienti arruolati nello studio ATLAS e nello studio Canadian AS Study (M03-606), per un totale di 307 pazienti con spondilite anchilosante trattati con adalimumab (40 mg per via sottocutanea ogni 2 settimane) confrontati con i dati provenienti da coorti storiche (pazienti mai trattati con TNF-inibitori) (AS International Study, OASIS, per un totale di 169 pazienti) non ha evidenziato differenze statisticamente significative nel punteggio SASSS modificato (modified Stoke AS Spine Score) dopo 2 anni di trattamento farmacologico (variazione media del punteggio mSASSS per i pazienti trattati con adalimumab dopo 2 anni: 0,8; variazione media del punteggio mSASSS per i pazienti dello studio OASIS dopo 2 anni: 0,9; p=0,771) (van der Haijde et al., 2009a).

L’adalimumab è risultato efficace anche nel trattamento della spondiloartrite assiale, senza evidenza di sacroileite radiografica (indicazione terapeutica non approvata). La spondiloartrite assiale rientra nel gruppo delle spondiloartriti a cui appartiene anche la spondilite anchilosante. Le spondiloartriti sono distinte in assiale o periferica a seconda della parte del corpo interessata. La somministrazione di adalimumab, allo stesso dosaggio utilizzato nella spondilite anchilosante (40 mg sottocute a settimane alterne). è risultato più efficace del placebo: i pazienti che hanno ottenuto una risposta terapeutica ASAS40 sono stati 54,4% vs 12,5% rispettivamente con adalimumab e placebo (p=0,004) dopo 12 settimane di terapia (endpoint principale). I pazienti che hanno terminato le 12 settimane sono stati poi arruolati nella fase di estensione in aperto dello studio che è proseguita fino alla 52esima settimana. Dopo il passaggio ad adalimumab, i pazienti inizialmente trattati con placebo hanno raggiunto un tasso di risposta simile a quello osservato nei pazienti trattati fin dall’inizio con il farmaco biologico. L’efficacia di adalimumab si è mantenuta fino al termine dello studio (52 settimane) (Haibel et al., 2008).

Morbo di Crohn
L’adalimumab è risultato efficace nel trattamento del morbo di Crohn, malattia infiammatoria cronica intestinale con interessa soprattutto il tratto dell’ileo terminale e il colon. L’infiammazione interessa tutta la parete dell’intestino (infiammazione transmurale) e comporta la formazione di granulomi, fissurazione e ulcere.

La somministrazione di adalimumab a pazienti adulti con morbo di Crohn, mai trattati con TNF-inibitori, è risultata più efficace del placebo nell’indurre remissione della malattia (definita come punteggio CDAI (Crohn’s Disease Activity Index) < 150). I pazienti sono stati randomizzati a ricevere placebo oppure adalimumab; quest’ultimo alla dose di 40 mg e 20 mg oppure di 80 mg e 40 mg oppure di 160 mg e 80 mg alle settimane 0 e 2 (studio CLASSIC I). L’endpoint primario era rappresentato dalla percentuale di pazienti in remissione alla quarta settimana. Dopo 4 settimane, i pazienti in remissione risultavano essere il 18% (p=0,36), il 24% (p=0,06), il 36% (p=0,001) e il 12% rispettivamente nel gruppo di pazienti trattati con adalimumab 40/20 mg, 80/40 mg, 160/80 mg e placebo (Hanauer et al., 2006).

L’adalimumab ha evidenziato efficacia anche nel mantenere la remissione clinica nei pazienti con morbo di Crohn. Nello studio CHARM, i pazienti (854) hanno ricevuto il TNF-inibitore in aperto nella fase di induzione (80 mg alla settimana 0 e 40 mg alla settimana 2), quindi sono stati suddivisi a seconda della risposta terapeutica e i pazienti con risposta clinica adeguata (CDAI=/> 70) sono stati randomizzati a ricevere placebo oppure adalimumab 40 mg ogni due settimane oppure ogni settimana fio alla 56esima settimana. Gli endpoint primari dello studio erano rappresentati dalla percentuale di pazienti in remissione (CDAI<150) dopo 26 e 56 settimane di trattamento. Dopo 26 settimane i pazienti in remissione erano risultati essere il 40% vs 47% vs 17% rispettivamente con adalimumab 40 mg ogni 2 settimane oppure 40 mg ogni settimana e placebo (p<0,001); dopo 56 settimane i pazienti in remissione erano, rispettivamente, il 36% vs il 41% vs il 12% (p<0,001). Nessuna differenza in termini di efficacia era stata segnalata fra i due gruppi di pazienti trattati con adalimumab a dosaggi differenti. La percentuale di pazienti che ha interrotto lo studio per eventi avversi è risultata più elevata nel gruppo placebo (13,4% vs 6,9% vs 4,7% rispettivamente con placebo, adalimumab 40 mg ogni 2 settimane e adalimumab 40 mg ogni settimana) (Colombel et al., 2007).

L’adalimumab è risultato associato ad un rischio di ospedalizzazione inferiore rispetto al trattamento con placebo. L’analisi dei dati dello studio CHARM ha evidenziato un rischio di ospedalizzazione per qualsiasi causa a 3 e 12 mesi pari a 0,45 vs 0,36 vs 0,40 rispettivamente per adalimumab a settimane alterne, adalimumab ogni settimana e per i due gruppi combinati (p<0,01 vs placebo); un rischio di ospedalizzazione correlato al morbo di Crohn, a 3 e 12 mesi, pari rispettivamente a 0,50 vs 0,34 vs 0,42 (p<0,05 vs placebo). L’adalimumab è risultato ridurre, in 12 mesi, il rischio di ospedalizzazione per tutte le cause e per le cause correlate con morbo di Crohn, rispettivamente, del 52% e del 48% (secondo il modello di reressione di Cox) quando il farmaco è stato somministrato a settimane alterne; del 60% e del 64% quando il farmaco è stato somministrato settimanalmente (Feagan et al., 2008).

In questo studio, il 48% pazienti che ha evidenziato una risposta adeguata ad adalimumab dopo la fase di induzione (quarta settimana) era già stato trattato con TNF-inibitori. Fra i pazienti che alla quarta settimana non hanno raggiunto una risposta terapeutica adeguata (CDAI =/> 70), poco meno della metà (43%) ha ottenuto tale risposta dopo 12 settimane di terapia con adalimumab contro il 30% dei pazienti trattati con placebo. Il proseguimento del trattamento oltre le 12 settimane non ha portato ad un aumento delle percentuali di pazienti con risposta terapeutica adeguata.

Nello Studio CLASSIC II, la maggior parte dei pazienti arruolati nello studio CLASSIC I (276/299) sono stati trattati nuovamente con 2 dosi di adalimumab (40 mg) alla settimana 0 e 2. I pazienti in remissione alla settimana 0 che 4 sono stati randomizzati a ricevere placebo oppure adalimumab 40 mg ogni 2 settimane oppure ogni settimana per 56 settimane, mentre i pazienti non in remissione alla settimana 0 e 4 sono stati trattati in aperto con adalimumab 40 mg ogni 2 settimane oppure, in caso di mancata risposta, con adalimumab ogni settimana per 56 settimane. Al termine dello studio, nel gruppo dei pazienti in remissione alla quarta settimana, il 79% e l’83% risultavano in remissione anche dopo 56 settimane (rispettivamente trattati con il farmaco ogni 2 settime oppure ogni settimana). Nel gruppo di pazienti non in remissione alla quarta settimana, che quindi erano entrati nel braccio in aperto dello studio, il 46% risultava in remissione dopo 56 settimane (Sandborn et al., 2007).

Adalimumab è risultato efficace come terapia di induzione nei pazienti che non possono essere trattati con infliximab. Dopo somministrazione di due dosi di farmaco (fase di induzione), la remissione clinica (endpoint principale) è stata osservata nel 21% vs 7% dei pazienti rispettivamente con adalimumab (160/80 mg) e placebo (quarta settimana), mentre risposta terapeutica (CDAI=/>70) (endpoint secondario) è stata osservata nel 52% dei pazienti trattati con adalimumab vs il 34% dei pazienti nel gruppo placebo (Sandborn et al., 2007a).

L’associazione di adalimumab alla terapia immunosoppressiva, come già evidenziato per infliximab, permette di ridurre il rischio di fallimento terapeutico. In particolare, associare adalimumab e immunosoppressore nel primo trimestre di terapia comporta un’incidenza minore di fallimento terapeutico (34% vs 66%; OR 0,69; p=0,046) (Reenaers et al., 2012).

Colite ulcerosa
L’adalimumab è risultato efficace nell’indurre e nel mantenere la remissione clinica nei pazienti affetti da colite ulcerosa moderata-grave. Il farmaco è stato associato a cicatrizzazione della mucosa intestinale e ad un minor ricorso alla colectomia nei pazienti con malattia severa (Fiorino et al., 2011).

I primi dati relativi all’uso di adalimumab nel trattamento della colite ulcerosa erano riferiti a pazienti già trattati con infliximab (Peyrin-Biroulet et al., 2007; Oussalah et al., 2008).

In pazienti con colite ulcerosa di grado moderato-severo, il trattamento di induzione con adalimumab è stato associato ad un tasso di remissione clinica doppio rispetto al placebo. I pazienti arruolati erano in trattamento con corticosteroidi e immunosoppressori. L’adalimumab è stato somministrato secondo due protocolli terapeutici: il primo prevedeva 160 mg alla settimana 0, 80 mg alla settimana 2, 40 mg alle settimane 4 e 6; il secondo prevedeva 80 mg alla settimana 0 e 40 mg alle settimane 2, 4 e 6. L’endpoint principale era rappresentato dalla percentuale di pazienti in remissione clinica (scala Mayo </= 2) all’ottava settimana, che è risultata pari a 18,5% vs 10,0% vs 9,2% rispettivamente con adalimumab a dosaggio maggiore (p=0,031 vs placebo), adalimumab a dosaggio minore (p=0,833 vs placebo) e placebo. La scala Mayo è una classificazione che permette di valutare il grado di malattia in base a 12 parametri che prendono in considerazione la frequenza delle evacuazioni, il sanguinamento rettale, gli esiti endoscopici e lo stato globale del paziente. L’incidenza di eventi avversi gravi ha interessato il 7,6% vs 3,8% vs 4,0% dei pazienti rispettivamente con adalimumab a dosaggio maggiore, minore e placebo (Reinisch et al., 2011).

Idrosadenite suppurativa (acne inversa)
L’idrosadenite suppurativa è una malattia infiammatoria cronica della pelle (epitelio follicolare) caratterizzata dalla formazione di ascessi cutanei in particolare nelle zone di ascelle, inguine, regione perianale e intramammaria. La malattia, che ha una prevalenza di 1/100-1/1000, ha un esordio attorno ai 20-30 anni (età media: 20-23 anni). Le complicanze principali comprendono la formazione di fistole, l’artropatia, il carcinoma a cellule squamose e l’amiloidosi.

Il trattamento standard prevede la somministrazione di antibiotici (clindamicina topica 1% oppure tetraciclina orale) o il ricorso a farmaci biologici quali infliximab o adalimumab, il primo per via endovenosa (dose standard: 5 mg/kg), il secondo per via sottocutanea (40 mg una volta la settimana).

A ottobre 2015 la Commissione Europea ha approvato l’uso di adalimumab per il trattamento dell’idrosadenite suppurativa sulla base di due studi clinici che hanno interessato 633 pazienti. Nei due studi clinici la somministrazione di adalimumab è risultata più efficace rispetto al placebo nel ridurre il numero di noduli cutanei e ascessi. Gli effetti collaterali di adalimumab osservati nei trial sono risultati sovrapponibili a quelli osservati con adalimumab nelle altre indicazioni terapeutiche (European Medicines Agency – EMA, 2015a).

In particolare, nello studio clinico PIONEER (pazienti arruolati: 307), la somministrazione di adalimumab una volta alla settimana (160 mg la settimana 0; 80 mg la settimana 2; 40 mg dalla settimana 4) ha determinato dopo 12 settimane una riduzione dei noduli e degli ascessi di almeno il 50% rispetto al basale nel 41,8% dei pazienti rispetto al 26% nel gruppo placebo (p=0,003) (Jemec et al., 2014).

In un altro studio clinico di fase 2, randomizzato, placebo-controllato, i pazienti (154) con idrosadenite suppurativa di grado da moderato a severo sono stati randomizzati a ricevere adalimumab 40 mg una volta alla settimana oppure adalimumab 40 mg a settimane alterne oppure placebo. L’endpoint principale dello studio era rappresentato dalla percentuale di pazienti che aveva raggiunto un punteggio di valutazione globale del medico (HS-PGA, Hidradenitis suppurative – Physician’s Global Assessment) di assenza di malattia (“clear”) o malattia minima (“minimal”) o malattia lieve (“mild”) con almeno un miglioramento di 2 gradi rispetto al basale alla 16esima settimana. Dopo 16 settimane la risposta clinica è stata osservata nel 3,9% vs 9,6% vs 176% dei pazienti rispettivamente nel gruppo placebo, trattati con adalimumab a settimane alterne (p=0,25 vs placebo) o ogni settimana (p=0,025 vs placebo). Eventi avversi importanti sono stati osservati nel 3,9% vs 5,8% vs 7,8% dei pazienti rispettivamente con placebo, adalimumab a settimane alterne, adalimumab settimanale (Kimball et al., 2012).

Pazienti pediatrici
L’adalimumab è stato somministrato a pazienti pediatrici con morbo di Crohn (70) con colite ulcerativa (1) e con malattia infiammatoria cronica intestinale non classificata (1) di cui il 94% (66/70) aveva precedentemente usato infliximab. Il 59% dei pazienti ha ricevuto adalimumab come terapia di induzione (80 mg la settimana 0 più 40 mg la settimana 2) e il 90% adalimumab come terapia di mantenimento (40 mg ogni 15 giorni). Il tasso di remissione è risultato pari al 24%, 58% e 41% dopo 1, 6 e 12 mesi. complessivamente il 61% dei pazienti è andato incontro a remissione mentre il 35% ha fallimento (variazioni del protocollo terapeutico). Il tasso di remissione è stato maggiore nei pazienti trattati anche con immunosoppressori (74% vs 37%). Circa il 21% dei pazienti ha manifestato eventi avversi di cui il 6% gravi, la metà dei quali (2/4) ha manifestato sepsi con esito fatale. Questi pazienti ricevevano anche terapia immunosoppressiva e nutrizione parenterale (tasso di mortalità pari al 3%) (Russell et al., 2011).

L’adalimumab ha mostrato efficacia terapeutica nel trattamento dell’uveite ricorrente in pazienti con malattia di Behçet, anche non responsivi ad un precedente trattamento con infliximab (Olivieri et al., 2011).