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Ibuprofene

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Farmacologia - Come agisce Ibuprofene?

L’ibuprofene è un derivato dell’acido propionico ad attività analgesica, antinfiammatoria e antipiretica. E’ impiegato come tale oppure come sale di lisina o sodio, come estere di guaiacolo e piridossina, come derivato con amminoetanolo, isobutanolammonio e meglumina. È utilizzato anche l’enantiomero S (+) (dexibuprofen) in sostituzione della miscela racemica.

Dei due enantiomeri, S (+) e R (-), il più attivo farmacologicamente è il primo. Il secondo contribuisce all’attività antinfiammatoria del farmaco perché, in vivo, si verifica la conversione unidirezionale da R (-) a S (+).

Il suo meccanismo di azione si esplica attraverso l’inibizione della produzione di prostaglandine (coinvolte nella genesi del processo infiammatorio) per blocco degli isoenzimi della ciclossigenasi (COX-1 e COX-2) ed orientamento del metabolismo dell’acido arachidonico verso la via della 5-lipossigenasi con conseguente aumento della produzione e del rilascio di leucotrieni.

Come inibitore della cicloossigenasi è meno potente di suprofene, ketoprofene e naprossene (Brogden, 1986), ma è più attivo di propossifene nel trattamento del dolore odontoiatrico (Cooper, 1984) e della dismenorrea primaria.

L’efficacia nel trattamento della dismenorrea primaria è correlata alla riduzione dei livelli di prostaglandine nel fluido mestruale, della pressione intrauterina e delle contrazioni uterine.

Come antinfiammatorio è particolarmente efficace nei pazienti affetti da artrite reumatoide ed osteoartrite, nei quali riduce il gonfiore delle articolazioni e il dolore.

Ibuprofene presenta un rischio cardiovascolare basso, di poco superiore a naprossene (caratterizzato dal più basso rischio cardiovascolare fra tutti i FANS) che tende ad aumentare lievemente in caso di dosaggi elevati e trattamenti prolungati.

In associazione ad acido acetilsalicilico a basse dosi (antiaggregante piastrinico), l’ibuprofene (400 mg) antagonizza l’azione antiaggregante piastrinica dell’asa riducendone l’azione cardioprotettiva (MacDonald, Wei, 2003; Kimmel et al., 2004; Patel, Goldberg, 2004). L’interazione è stata segnalato in caso di uso abituale e regolare del FANS, ma non se quest’ultimo è assunto occasionalmente 2 ore dopo la somministrazione di ASA.

Artrite reumatoide giovanile
Il trattamento sintomatico dell’artrite reumaotoide è finalizzato alla riduzione del dolore e dell’infiammazione per mantenere la funzionalità articolare e limitare la comparsa della disabilità. Nei pazienti pediatrici, l’analgesia è ottenuta con il paracetamolo, mentre l’infiammazione è trattata con i FANS. L’ibuprofene (4-10 mg/kg ogni 6-8 ore) è risultato efficace nel mantenere sotto controllo le manifestazioni articolari della malattia. Ha mostrato efficacia analoga, ma migliore tollerabilità, rispetto ad ASA (ibuprofene, 30-40 mg/kg/die vs ASA, 60-80 mg/kg/die) (Giannini et al., 1990).
L’ibuprofene (30-40 mg/kg/die, il dosaggio dev’essere aumentato gradualmente nell’arco di 4 settimane) è stato associato a una minore incidenza di effetti collaterali gastrointestinali (42 vs 70% rispettivamente con acido acetilsalicilico e ibuprofene) ed epatici (2 vs 47%) rispetto ad acido acetilsalicilico (Autret et al., 1994).

Analgesia
Come analgesico, l’ibuprofene è efficace nel trattamento del dolore, in particolare in associazione con arginina in caso di cefalea e di dolore neoplastico. L’arginina accelera l’assorbimento dell’ibuprofene a livello gastrico, coinvolgendo un sistema di trasporto attivo attraverso la parete dello stomaco. Ne consegue un aumento della rapidità d’azione del FANS.
La cefalea compare con intensità diversa: la crisi risulta fortemente disabilitante nel 40% dei pazienti, parzialmente disabilitante nel 50% e in forma leggera in meno del 5%.
Nel trattamento della cefalea i pazienti a cui è stato somministrato ibuprofene (200 o 400 mg) hanno riportato dolore leggero o nessun dolore dopo 2 ore (41,7% o 40,8% a confronto con placebo 28,1%) (Codispoti et al., 2001).
La forma più leggera in genere accompagna la cefalea di tipo tensivo (TTH), cioè originata da contrazione prolungata dei muscoli del collo e della testa. L’ibuprofene associato ad arginina permette di raggiungere concentrazioni plasmatiche efficaci in breve tempo bloccando la crisi cefalica fin dall’inizio.
In uno studio è stato dimostrato che diclofenac (12,5 mg e 25 mg) e ibuprofene (400 mg) sono risultati efficaci come il placebo nel trattamento della cefalea tensiva, nessuna differenza è stata individuata tra i tre trattamenti (Kubitzek et al., 2002).
In caso di cefalea tensiva, la valutazione soggettiva del paziente relativa al sollievo del dolore dopo terapia farmacologica è stata più favorevole con ibuprofene (400 mg) rispetto a paracetamolo e placebo. Con ibuprofene è stato più rapido l’inizio dell’azione analgesica e maggiore la percentuale di pazienti che hanno segnalato la scomparsa del dolore rispetto a paracetamolo.
L’ibuprofene (400 mg) è stato confrontato con ASA (1 g), sumatriptan (50 mg) e placebo nel trattamento del dolore associato ad emicrania. Al termine dello studio, la percentuale di pazienti che ha evidenziato una riduzione della gravità dell’emicrania da moderata/severa a lieve/assente è stata pari al 60,2% con ibuprofene, al 55,8% con sumatriptan, al 52,5% con asa e al 30,6% con placebo. Dopo 2 ore, l’assenza di dolore è stata riscontrata nel 33,2% dei pazienti trattati con il FANS, nel 37,1% dei pazienti trattati con il triptano, nel 27,1% dei pazienti in terapia con asa ne nel 12,6% dei pazienti che avevano ricevuto il placebo (Studio EMSASI, 2004).
L’associazione di ibuprofene con caffeina nel trattamento della cefalea tensiva è risultata più efficace delle singole monoterapie nella rapidità d’azione (l’associazione è risultata 53 minuti più rapida di ibuprofene, 24 minuti più rapida della caffeina e 3 ore più rapida del placebo), nell’intensità dell’analgesia e del picco di sollievo indotto. Con l’associazione è risultata maggiore anche la percentuale di pazienti in cui il dolore cefalico è diminuito (80 vs 67 vs 61 vs 56%, rispettivamente con ibuprofene più caffeina, caffeina, ibuprofene e placebo) o scomparso (71 vs 58 vs 58 vs 48%, rispettivamente con ibuprofene più caffeina, caffeina, ibuprofene e placebo) (Diamond et al., 2000).
L’incidenza degli effetti collaterali ha interessato, rispettivamente, il 34 vs 14 vs 27 vs 5% dei pazienti nel gruppo trattato con ibuprofene o caffeina, nel gruppo trattato con ibuprofene oppure caffeina oppure placebo. Nei pazienti trattati con caffeina, da sola o in associazione, gli effetti avversi più frequenti sono stati nausea, nervosismo e capogiri (Diamond et al., 2000).

Il paracetamolo e l’ibuprofene (10 mg/kg) associati o meno ad antiemetici, sono i farmaci “non specifici” più utilizzati nell’età evolutiva per la cefalea. Oltre a ibuprofene anche diclofenac (50 mg), naprossene sodico (250 mg) e indometacina (50-100 mg per os o 10-200 mg per via rettale) sono utilizzati come farmaci sintomaticinei pazienti in età evolutiva. L’impiego non corretto di questi farmaci però può provocare cronicizzazione della cefalea.
Nei pazienti pediatrici (4-15, 8 anni), l’ibuprofene (1 0mg/kg) ha mostrato attività analgesica sovrapponibile a paracetamolo (15 mg/kg) nel trattamento di 3 attacchi emicranici per ogni bambino, dopo 2 ore dalla somministrazione. Dopo 2 ore, la percentuale di bambini che hanno manifestato sollievo è stata simile nei due gruppi di trattamento, mentre dopo un’ora il paracetamolo è risultato leggermente più efficace del FANS (Hamalainen et al.,1997).
Nel trattamento del dolore dentale dopo estrazione in pazienti pediatrici, l’ibuprofene ha mostrato efficacia superiore a paracetamolo e a paracetamolo più codeina (Moore et al., 1985). Nei bambini l’ibuprofene è utilizzato anche nel controllo del dolore derivante da leggeri traumi muscolo-scheletrici, da infiammazione dei tessuti molli e delle articolazioni, ma possono essere utili anche nel dolore post-operatorio e nell’emicrania.
Nel trattamento del dolore neoplastico, l’ibuprofene associa all’efficacia terapeutica una buona tollerabilità gastrointestinale, caratteristica non trascurabile dato che la terapia farmacologica richiede tempi lunghi.

Nel trattamento del dolore postoperatorio l’associazione di ibuprofene in dose fissa (400 mg) con codeina a dose variabile (25-60 mg), somministrati in dose singola, è risultata indurre analgesia in circa il 60% dei pazienti adulti trattati in assenza di episodi di sospensione o effetti collaterali gravi imputabili alla combinazione dei due farmaci. Queste indicazioni sono emerse da una metanalisi relativa a 6 studi clinici per un totale di 1342 pazienti. In 4 studi su 6 (443 pazienti), una riduzione pari ad almeno il 50% del dolore postoperatorio è stata segnalata dal 64% dei pazienti in terapia combinata con ibuprofene e codeina ad alto dosaggio (25,6-60 mg) contro il 18% nel gruppo placebo (numero di soggetti da trattare per avere il beneficio clinico (Number needed to treat): 2,2). In 3 studi (204 pazienti) l’associazione di ibuprofene e codeina (qualsiasi dose) è risultata superiore rispetto ad una analoga dose di ibuprofene in monoterapia (riduzione del dolore uguale o superiore al 50%: 69% vs 55% dei pazienti), mentre in due studi (159 pazienti), la combinazione dei due analgesici è risultata superiore alla somministrazione della sola codeina per dosi equivalenti di questo farmaco (riduzione del dolore uguale o superiore al 50%: 69% vs 33%). Nello studio non sono stati riportati eventi avversi diversi confrontando la combinazione analgesica con i singoli farmaci somministrati in monoterapia (Derry et al., 2013).

Antipiretico
L’ibuprofene può essere considerato l’antipiretico di seconda linea dopo il paracetamolo, preferibile all’impiego dei salicilati (correlati alla sindrome di Reye): somministrato come sospensione orale ha dimostrato efficacia analoga o superiore a paracetamolo (Walson et al., 1989; Autret et al., 1997), superiore ad ASA (Autret et al., 1997).
In pazienti pediatrici di età compresa fra 6 e 24 mesi con febbre (temperatura rettale) = 39°C, l’ibuprofene (7,5 mg/kg) ha evidenziato un’efficacia maggiore di paracetamolo (10 mg/kg) e ASA (10 mg/kg) nel ridurre la temperatura rettale da 0 a 6 ore, mentre l’efficacia di paracetamolo e ASA è risultata sovrapponibile. Dopo 1, 4 e 6 ore dalla somministrazione dell’antipiretico, la percentuale di pazienti con una temperatura rettale = 38°C era pari a 29%, 62% e 49% con ibuprofene, a 22%, 41% e 37% con paracetamolo, a 20%, 52% e 34% con asa (Autret et al., 1997).
Nel gruppo trattato con ibuprofene è stata più elevata la percentuale di pazienti che ha sperimentato almeno un effetto collaterale, anche se l’analisi dei punteggi delle scale utilizzate per valutare il benessere del paziente e del genitore, trattandosi di bambini molto piccoli, ha indicato una preferenza verso l’ibuprofene (Autret et al., 1997).
Il maggior decremento della temperatura osservata con ibuprofene rispetto a paracetamolo sembra essere correlata al dosaggio somministrato. Se infatti si aumenta la dose di paracetamolo a 12,5-15 mg/kg/dose (invece di 10 mg/kg/doe), la riduzione della temperatura risulta sovrapponibile a quella ottenuta con ibuprofene (7,5-10 mg/kg/die) (-1,6 vs –1,8°C).
L’ibuprofene (5 mg/kg) è risultato efficace quanto il paracetamolo (10 mg/kg) nel trattamento di bambini con temperatura compresa fra i 38,3 e i 39°, più efficace (10 mg/kg) del paracetamolo (10 mg/kg) e dell’ibuprofene a dose minore (5 mg/kg) in caso di temperature comprese fra i 39,1 e i 40° (Walson et al. 1989). Da uno studio di confronto (paracetamolo 10 mg/kg per 4/die vs. ibuprofene 7,5 mg/kg per 4/die) l’ibuprofene sembra produrre una maggiore riduzione della febbre dopo la prima assunzione (Ibuprofen en pediatrie, 1995). Il loro effetto antipiretico dipende con ogni probabilità dall’inibizione della sintesi delle prostaglandine (PGE2). paracetamolo e ibuprofene possono essere somministrati insieme o alternati con l’obiettivo di aumentare o mantenere l’effetto antipiretico senza superare il dosaggio raccomandato di ciascun farmaco.
Da una metanalisi che ha valutato l’efficacia e la tollerabilità di una singola dose di ibuprofene e di paracetamolo in bambini di età inferiore a 18 mesi, per il trattamento del dolore acuto o della febbre, è emersa equivalenza terapeutica tra i due farmaci, con la sola differenza dei tempi d’azione: il paracetamolo provoca una riduzione della temperatura superiore all’ibuprofene a 30 minuti dalla somministrazione (Perrott et al., 2004).

Dotto arterioso pervio
L’ibuprofene potrebbe rappresentare un’alternativa all’impiego della indometacina (farmaco di prima linea) in caso di dotto arterioso pervio nei neonati, in quanto privo di effetti emodinamici a livello cerebrale (Patel et al., 1995). L’ibuprofene è risultato efficace per via endovenosa, e per via orale (sospensione).
In bambini pretermine (età gestazionale compresa fra 23,9 e 31 settimane e peso alla nascita di 380-1500 g) con pervietà del dotto arterioso e sindrome da distress respiratoria, la somministrazione orale di ibuprofene ha indotto chiusura farmacologica del dotto arterioso nel 95,5% dei pazienti, solo un neonato (totale neonati: 22) ha presentato
shunt persistente non clinicamente significativo. La sopravvivenza ad un mese è stata pari all’86,4%; le cause dei decessi (3 neonati) hanno compreso gravi infezioni sistemiche o complicanze dovute alla prematurità (Heyman et al., 2003).

Osteoartrosi
Il trattamento farmacologico di prima scelta nella gestione del dolore artrosico è rappresentato dal paracetamolo, tuttavia anche le applicazioni topiche dei FANS sono efficaci nel ridurre la sintomatologia dolorosa soprattutto a livello della mano e del ginocchio. Uno studio controllato e randomizzato su 235 pazienti con gonartrosi lieve ha confrontato un gel a base di piroxicam a uso topico con ibuprofene per bocca alla dose di 1200 mg/die e non ha trovato differenze significative nella riduzione del dolore tra i due gruppi.

Trattamento degli effetti collaterali da citochine
Studi preliminari hanno indicato una buona efficacia dell’ibuprofene nel risolvere alcuni degli effetti collaterali indotti dalla terapia con interleuchina 2, quali febbre, brividi, mialgia, nausea e vomito (Eberlein et al., 1989).