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Acetilcisteina

Fluimucil, Solmucol e altri

Farmacologia - Come agisce Acetilcisteina?

L'acetilcisteina (sinonimo: N-acetilcisteina) è un derivato della cisteina con attività fluidificante sulle secrezioni mucose. L'attività mucolitica del farmaco è legata alla presenza di un gruppo sulfidrilico che provoca la rottura dei ponti disolfuro delle mucoproteine tramite una reazione di riduzione; l'efficacia terapeutica dell'acetilcisteina è massima ad un pH compreso tra i valori di 7 e 9.

L'acetilcisteina è impiegata nel trattamento delle affezioni respiratorie che richiedono un'azione mucolitica. Il farmaco è risultato efficace anche in caso di bronchiolite e nella profilassi e trattamento delle affezioni polmonari da iprite (gas mostarda), vescicante di estrema potenza (Ghanei et al., 2008).

L'acetilcisteina possiede elevate proprietà antiossidanti per la presenza del gruppo tiolico (-SH) libero, nucleofilo, in grado di reagire con i gruppi elettrofili dei radicali liberi.

L'acetilcisteina protegge l'antitripsina dall'inattivazione dell'acido ipocloro, potente ossidante.

Il farmaco aumenta i livelli di glutatione ridotto (GSH) e ne riduce la sintesi epatica. Rilascia infatti, per deacetilazione, la cisteina, aminoacido fondamentale per la sintesi di glutatione. Il glutatione costituisce il meccanismo principale di difesa intracellulare verso i radicali liberi e le sostanze citotossiche. L'acetilcisteina è risultata efficace nel ripristinare i livelli di glutatione in caso di deficit in diverse condizioni patologiche, incluse l'infezione da HIV e la broncopneumopatia cronica ostruttiva (bpco) (Atkuri et al., 2007).

L'acetilcisteina ha manifestato, in vitro, debole attività verso il virus HIV (Staal et al., 1992); è stata utilizzata nel trattamento della fibrosi cistica; è stata impiegata come substrato per rigenerare i recettori dei nitrati in pazienti sottoposti a terapie croniche di nitrati. L'uso prolungato di nitrati provoca una perdita di gruppi sulfidrilici che determina tolleranza; l'acetilcisteina rimpiazza tale perdita ristabilendo la risposta terapeutica verso i nitrati (Torresi et al., 1985).

In pazienti ipertesi con diabete di tipo 2, l'acetilcisteina ha migliorato la funzione endoteliale aumentando la disponibilità di NO tramite l'inibizione dello stress ossidativo - la presenza di radicali all'ossigeno sembra deprimere il ruolo fisiologico del monossido d'azoto - e l'incremento del rilascio del NO stesso (Martina et al., 2008). La capacità nel preservare o favorire la funzione endoteliale è stata osservata anche in pazienti con iperomocistinemia (considerato un fattore di rischio per la malattia coronarica precoce, probabilmente tramite una perdita della funzionalità endoteliale) (Yilmaz et al., 2007).
E' stata impiegata nel trapianto di fegato per ridurre la risposta infiammatoria (effetto di protezione verso il danno da riperfusione) (Santiago et al., 2008); la capacità di antagonizzare in qualche modo il danno da riperfusione non è stato invece riscontrato in pazienti sottoposti a bypass aorto-coronarico (CABG, coronary artery by pass graftin) (Peker et al., 2008). Diversamente, le proprietà antiossidanti dell'acetilcisteina sembrano giocare un ruolo favorevole per il tessuto muscolare scheletrico: la somministrazione della molecola durante test di esercizio fisico di tipo eccentrico è stata associata a minor dolorabilità muscolare (Silva et al., 2008). La contrazione eccentrica è un'attivazione muscolare in cui il muscolo produce forza non accorciandosi (lavoro concentrico), ma allungandosi.

Broncopneumopatia cronica ostruttiva (bpco)
Nei pazienti con broncopneumopatia cronica ostruttiva (bpco), le esacerbazioni della patologia diminuiscono nei pazienti trattati con il farmaco, anche se fumatori, ma l'azione dell'acetilcisteina viene annullata con l'uso contemporaneo di steroidi somministrati per inalazione (Sutherland et al., 2006; Decramer et al., 2005). Il farmaco non modifica il progressivo peggioramento della funzionalità polmonare sul lungo periodo (Decramer et al., 2005), anche se l'analisi di alcuni marker, come il perossido di idrogeno, che viene utilizzato come indicatore dello stress ossidativo tessutale a cui si lega lo stato infiammatorio cronico, tendono a migliorare (in pazienti trattati con acetilcisteina 600 mg due volte al giorno per 2 mesi, la concentrazione del perossido d'idrogeno nell'aria espirata diminuisce) (De Benedetto et al., 2005).

Una metanalisi che ha preso in considerazione la somministrazione di acetilcisteina in pazienti con bronchite cronica o broncopneumopatia cronica ostruttiva (bpco) ha confermato gli effetti positivi del farmaco sulla riduzione delle riacutizzazioni. La metanalisi ha valutato 13 studi clinici: 9 studi in cui il farmaco è stato somministrato a basso dosaggio (</= 600 mg/die), 3 in cui il farmaco è stato somministrato ad alto dosaggio (> 600 mg/die), 1 in cui il farmaco è stato utilizzato ad entrambi i dosaggi. I risultati della metanalisi hanno evidenziato una riduzione statisticamente significativa delle esacerbazioni nei pazienti trattati con acetilcisteina rispetto al gruppo placebo o ai controlli (rischio relativo 0,75, p<0,01). Nei pazienti con bronchite cronica senza ostruzione delle vie aree sono risultati sufficienti basse dosi di acrtilcisteina, nei pazienti con ostruzione delle vie aeree (bpco diagnosticata con spirometria), sono risultate necessarie dosi più alte di farmaco. Secondo gli autori della metanalisi, nei pazienti con bpco, la dose di acetilcisteina per prevenire le esacerbazioni della malattia dovrebbe essere =/> 1200 mg/die (Cazzola et al., 2015).

Distress respiratorio acuto
Nei pazienti con sindrome da distress respiratorio acuto, l'acetilcisteina ha migliorato l'equilibrio ossidativo tramite il ripristino delle scorte di glutatione intracellulare (Soltan-Sharif et al., 2007).

Ototossicità da antibiotici
Nei pazienti in emodialisi trattati con gentamicina per ridurre il rischio di infezione batterica, la somministrazione di acetilcisteina ha ridotto l'incidenza dell'ototossicità indotta dall'antibiotico: è probabile che nello sviluppo del danno all'orecchio siano coinvolte specie radicaliche (stress ossidativo) (Feldman et al., 2007).

Pancreatite
In caso di pancreatite acuta grave, la somministrazione di una terapia antiossidante a base di acetilcisteina, vitamina C e selenio non è risultata più efficace del placebo nel ridurre la disfunzione d'organo (endpoint principale valutato dopo 7 giorni: 32% vs 17%, differenza non statisticamente significativa), anche se durante la somministrazione del trattamento, i marker ossidativi erano diminuiti (Siriwardena et al., 2007).

Intossicazione da paracetamolo
L'acetilcisteina è usata come antidoto in caso di avvelenamento da paracetamolo; il gruppo sulfidrilico del farmaco, a livello epatico, viene utilizzato al posto del glutatione come substrato per il metabolita tossico del paracetamolo.

Ulcera corneale
A livello corneale, l'acetilcisteina sembra inibire l'attività litica della collagenasi, sia per inibizione del legame dell'enzima al substrato, sia sequestrando gli ioni calcio e zinco, cofattori dell'attività enzimatica. L'inibizione dell'attività della collagenasi permette la cicatrizzazione delle ulcere corneali. Inoltre l'acetilcisteina, agendo come mucolitico, sembra essere efficace nel ridurre l'eccessiva secrezione mucosa associata ad una ridotta lacrimazione.

Uropatia da chemioterapia
È utilizzata per ridurre l'uropatia, durante la chemioterapia con iso- o ciclofosfamide indotta dall'acroleina (metabolita tossico). Il farmaco inattiva l'acroleina; il metabolita tossico reagisce rapidamente con il gruppo sulfidrilico dell'acetilcisteina.

Nefropatia da mezzo di contrasto
I mezzi di contrasto provocano insufficienza renale acuta per ischemia midollare da vasocostrizione e citotossicità diretta sulle cellule glomerulari. Dopo riperfusione renale, infatti, si verifica il rilascio di specie radicaliche dell'ossigeno e di citochine che mediano il danno renale. L'insufficienza acuta può essere causa di insufficienza renale cronica. Poiché la nefropatia da mezzi di contrasto è un'eventualità relativamente comune, soprattutto se i pazienti presentano già una ridotta funzionalità renale, sono stati condotti numerosi studi per valutare il ruolo potenziale dell'acetilcisteina come trattamento di profilassi, ma l'impiego in questo ambito non trova ancora consenso generale (Gawenda et al., 2007; Baqshaw et al., 2006). Indicazioni contrastanti esistono anche per la scelta fra cistatina C o creatinina come marker di funzionalità renale per evidenziare la nefropatia da mezzo di contrasto (Kimmel et al., 2008; Poletti et al., 2007). L'acetilcisteina ha evidenziato un effetto nefroprotettivo sia nella tomografia computerizzata (NEJM, 2000) sia nell'angioplastica coronarica (Marenzi et al., 2006) in pazienti con insufficienza renale cronica (l'angioplastica coronarica richiede dosi maggiori di mezzo di contrasto rispetto alla tomografia). In caso di angioplastica coronarica, in studi di confronto verso altre opzioni terapeutiche l'acetilcisteina è risultata meno efficace rispetto all'idratazione con soluzioni saline, all'uso di bicarbonato o di teofillina (Ozcan et al., 2007; Huber et al., 2006).

In uno studio che ha confrontato due diversi schemi terapeutici con acetilcisteina (schema A: 600 mg in bolo prima dell'angioplastica coronarica, quindi 600 mg bid per os per 48 ore dopo l'angioplastica vs schema B: 1200 mg in bolo seguiti da 1200 mg bid per os fino a 48 dopo l'intervento) per la profilassi da nefropatia da mezzo di contrasto, gli effetti del farmaco sulla funzionalità renale sono risultati dose dipendenti (nefropatia: 8% vs 15% vs 33% rispettivamente con acetilcisteina a dosaggio elevato e standard e placebo; mortalità: 3% vs 4% vs 11%; esito clinico composito per mortalità, insufficienza renale acuta e ventilazione meccanica: 5% vs 7% vs 18%) (Marenzi et al., 2006).

In pazienti diabetici sottoposti ad angiografia coronarica, l'acetilcisteina è risultata meno efficace dell'idratazione spinta del paziente come profilassi per la nefropatia da mezzo di contrasto (incremento della creatinina >= 0,5 mg/dL: 9,2% vs 1,4% rispettivamente con acetilcisteina e idratazione) (Coyle et al., 2006). In pazienti con funzionalità renale nella norma, sottoposti ad angiografia coronarica, l'aggiunta dell'acetilcisteina all'idratazione non ha determinato un beneficio aggiuntivo rispetto alla sola idratazione (nefropatia definita come incremento della creatinina sierica >= 0,5 mg/dL o >= 25% rispetto al basale in 48 ore: 10,3% vs 10,1% rispettivamente con acetilcisteina più idratazione e idratazione; permanenza media nelle unità coronariche: 4,5 vs 4 giorni; mortalità: 2,8% vs 4,6%) (Carbonell et al. 2007).

L'acetilcisteina non è risultata efficace come trattamento di profilassi verso la nefropatia in pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca che non prevede l'impiego di mezzi di contrasto. In una metanalisi relativa a 10 studi clinici e 1193 pazienti, l'acetilcisteina non è risultata efficace nel ridurre mortalità, insufficienza renale acuta da trattare con dialisi, incrementi della creatininemia superiori al 25% del basale o nel diminuire i giorni di permanenza nelle unità di cura intensiva (Ho, Morgan, 2009). In uno studio, in pazienti con insufficienza renale cronica, sottoposti a interventi di chirurgia cardiaca, la somministrazione orale di dosi pari a 600 mg due volte al giorno durante l'intervento (iniziando la terapia il giorno precedente e terminandola il giorno successivo l'operazione chirurgica) è stata associata ad un rallentamento del declino post-operatorio della funzionalità renale (Barr et al., 2008). In un altro studio, la somministrazone del farmaco alla stessa dose (600 mg due volte al giorno) ma per un tempo più lungo, 14 giorni iniziando tre giorni prima dell'intervento, non ha evidenziato un effetto di "protezione" verso il danno renale acuto (Adobag et al., 2008). In un altro trial, sebbene non siano stati evidenziati benefici clinici per insufficienza renale acuta postoperatoria e ospedalizzazione in pazienti con insufficienza renale sottoposti a chirurgia cardiaca e trattamento perioperatorio con acetilcisteina, i pazienti trattati con il farmaco hanno fatto minor ricorso alla ventilazione assistita oltre le 48 ore (3% vs 18% rispettivamente con acetilcisteina e placebo) e sono rimasti ricoverati all'interno delle unità di cura intensiva per più di 4 giorni in percentuale minore rispetto al placebo (13% vs 33%) (Sisillo et al., 2008).
L'acetilcisteina è risultata efficace nel ridurre i livelli di dimetilarginina asimmetrica (ADMA) nei pazienti con malattia renale allo stadio terminale. La dimetilarginina asimmetrica è correlata ad un incremento del 54% della mortalità e del 34% degli eventi cardiovascolari in pazienti in dialisi (Thaha et al., 2008).

Sindrome di Raynaud
In pazienti con sindrome di Raynaud secondaria a sclerodermia, l'acetilcisteina ha migliorato la perfusione delle estremità (mani), ha ridotto in modo significativo i livelli sierici di adrenomedillina e ha diminuito gli attacchi causati dalla sindrome di Raynaud (Salsano et al., 2005). L'adrenomedillina è un peptide (54 aminoacidi) vasodilatante con proprietà antinfiammatorie, presente in diversi tessuti dell'organismo. Nei pazienti con sclerodermia, i livelli di adrenomedullina aumentano in maniera considerevole, in particolare in quei pazienti che presentano anche un aumento della pressione polmonare arteriosa.

Fibrosi polmonare idiopatica
La fibrosi polmonare idiopatica è una patologia ad esito fatale: circa il 50-70% dei pazienti muore entro i primi 5 anni dalla diagnosi. La malattia è caratterizzata dalla sostituzione progressiva di tessuto polmonare con tessuto fibroso e con perdita, conseguente, di funzionalità. È stato ipotizzato che un ruolo strategico, sia per l’origine della fibrosi polmonare idiopatica sia per la sua evoluzione, sia rappresentato dall’alterazione dell’equilibrio fra sistemi fisiologici antiossidanti e radicali liberi.

Nello studio clinico IFIGENIA, l'aggiunta dell'acetilcisteina a dosaggio elevato (600 mg tre volte al giorno) alla terapia standard con prednisone e azatioprina ha migliorato la capacità vitale (+9%) e il test di diffusione al monossido di carbonio (CO) (DLCO: +24%) dei pazienti affetti da fibrosi polmonare idiopatica (Demedts et al., 2005). Il test di diffusione DLCO è un indice di blocco nel passaggio alveolo-capillare e correla con il grado di fibrosi polmonare; è impiegato per il monitoraggio del decorso clinico e della risposta terapeutica del paziente (pazienti responsivi: aumento del 15% del valore basale pre-trattamento o almeno > 3 ml/min/mmHg). La somministrazione di acetilcisteina a dosaggio elevato non è stata associata ad un aumento degli effetti collaterali del farmaco. Quest’ultimo anzi è risultato, ridurre la tossicità midollare dell’azatioprina, confermando le proprietà citoprotettive della molecola.

I risultati incoraggianti derivati dallo studio IFIGENIA non sono stati confermati da uno studio più recente, il trial multicentrico PANTHER-IPF (prednisone, Azathioprine and N-acetylcysteine: A Stady that Evaluates Response in Idiopatic Pulmonary Fibrosis).  Lo studio prevedeva tre bracci di trattamento: prednisone più azatioprina più acetilcisteina vs acetilcisteina vs placebo. Il primo braccio è stato interrotto prima del previsto per problemi di tossicità, dovuti ad un aumento di ospedalizzazione, peggioramento, mortalità e effetti collaterali nei pazienti trattati. Lo studio è quindi proseguito con gli altri due bracci di trattamento. L’esito primario era rappresentato dalla variazione della capacitò vitale forzata (FVC, Forced Vital Capacity) dopo 60 settimane di terapia. Al termine dello studio l’acetilcisteina non si è dimostrata superiore al placebo nel migliorare la FVC (-0,18 l vs -0,19 l rispettivamente con acetilcisteina e placebo, p=0,77). L’acetilcisteina non è risultata più efficace del placebo nel ridurre il tasso di mortalità (4,9% vs 2,5%, p=0,30) e quello relativo alle esacerbazioni acute (2,3% in ciascun gruppo di trattamento, p>0,99) (NEJM, 2014).

Dipendenza da droghe
L’acetilcisteina sembra sopprimere la reattività dell’umore correlata alla cocaina. È stato osservato che la somministrazione di acetilcisteina riduce l’incidenza di craving, cioè di ricerca e desiderio incontrollabile ad assumere la droga. Utilizzando la risonanza magnetica funzionale, nei pazienti trattati con acetilcisteina risulta attenuata l’attività della corteccia prefrontale, area attivata durante il craving da cocaina (LaRowa et al., 2007). In un altro studio pilota, la somministrazione di acetilcisteina (dosi comprese fra 1200 e 3600 mg/die), per 4 settimane, a pazienti con dipendenza da cocaina, ha ridotto in maniera significativa il ricorso al consumo della droga durante il periodo di trattamento con il farmaco (Mardikian et al., 2007).

Una recente revisione sistematica degli studi clinici relativi all’uso di acetilcisteina nelle dipendenze, ha confermato il ruolo potenziale del farmaco, soprattutto per la dipendenza da cocaina e da cannabis. la revisione ha preso in considerazione 9 studi clinici per un totale di 165 pazienti con dipendenza da cocaina (tre studi), cannabis (due studi), nicotina (due studi), metamfetamina (uno studio) e dipendenza da gioco d’azzardo (uno studio) (Aseyedo et al., 2014).

Lipofuscinosi ceroide neuronale
L’acetilcisteina in associazione a cisteamina bitartrato ha dato riscontri positivi nello studio della lipofuscinosi ceroide neuronale. Si tratta di una malattia ereditaria neurodegenerativa da accumulo lisosomiale, che nella variante infantile, è causata da mutazioni del gene che codifica per la palmitoil-proteina tioesterasi 1. La mutazione comporta l’accumulo nei lisosomi di diverse cellule (principalmente neuroni, ma anche retina, cute, linfociti e altre tipologie cellulari) di due lipidi, la lipofuscina e il ceroide. I bambini affetti da questa malattia presentano problemi alla vista, disturbi della coordinazione, disturbi del comportamento con deficit cognitivo. Attualmente non sono disponibili opzioni terapeutiche valide, la diagnosi è difficile per l’eterogeneità di sintomi e di mutazioni genetiche con cui si presenta la malattia e l’aspettativa di vita non è elevata.

In vitro, in cellule prelevate da pazienti con lipofuscinosi ceroide neuronale, l’aggiunta di acetilcisteina e fosfocisteamina è risultata favorire la deplezione cellulare di ceroide. Sulla base di queste osservazioni, è stato condotto un trial clinico che ha arruolato bambini di età compresa fra 6 mesi e 3 anni affetti dalla malattia. Tutti i pazienti (10 bambini) sono stati trattati con acetilcisteina (60 mg/kg) e cisteamina bitartrato (60 mg/kg/die) per via orale e valutati ogni 6-12 mesi fino alla comparsa di encefalogramma isoelettrico (stato vegetativo) o all’impossibilità di trasportare il bambino. I bambini sono stati valutati anche con elettroretinografia, risonanza magnetica e analisi in microscopia elettronica per la ricerca di leucociti con depositi granulari osmiofili (GROD; si tratta dei depositi lisosomiali di lipofuscina e ceroide). I bambini sono stati seguiti per 8-75 mesi. Al termine dello studio è stato osservato un rallentamento dell’evoluzione verso lo stato vegetativo (52 mesi tempo medio osservato nello studio vs 36 mesi tempo osservato in precedenza), la scomparsa alla prima visita di follow up dei depositi lisosomiali nei linfociti periferici in tutti i pazienti (9) e un miglioramento del comportamento dei bambini, riferito  da genitori e medici, in termini di minor irritabilità e/o maggiore capacità di mantenere l’attenzione in 7 bambini su 9. Nessun bambino comunque ha acquisito nuove competenze e tutti hanno evidenziato progressiva riduzione della funzione retinica (Levin et al., 2014).

Parkinson
La distruzione delle cellule dopaminergiche associata alla malattia di parkinson sembra causata da una condizione eccessiva di stress ossidativo che porta a ridurre la concentrazione intracellulare di glutatione. Questa molecola è una delle principali armi di difesa della cellula contro lo stress ossidativo. L’acetilcisteina stimola la sintesi epatica di glutatione e diversi studi hanno evidenziato come la somministrazione di acetilcisteina sia in grado di ricostituire i livelli di glutatione in caso di deficit, in diverse condizioni patologiche (infezione da virus HIV, broncopneumopatia cronica ostruttiva (bpco), distress respiratorio acuto) (Atkuri et al., 2007; Soltan-Sharif et al., 2007).

L’Acetilcisteina ha evidenziato in via sperimentale benefici per i pazienti con malattia di parkinson sia a livello biochimico sia nelle manifestazioni cliniche. La supplementazione di acetilcisteina infatti è stata associata a incrementi dei livelli di dopamina, la cui perdita in specifiche aree del cervello è causa della malattia neurologica, e a miglioramenti delle capacità mentali e fisiche dei pazienti (Monti et al., 2019). I pazienti trattati con acetilcisteina (50 mg/kg una volta alla settimana per via endovenosa più 500 mg due volte al giorno per via orale nei giorni senza somministrazione per endovena) hanno evidenziato miglioramenti del punteggio UPDRS di circa il 14%. La scala UPDRS (Unifield parkinson’s Disease Rating Scale) valuta diversi sintomi di natura motoria e cognitiva della malattia. I pazienti sono stati sottoposti anche a scansione cerebrale utilizzando la tomografia a emissione di fotone singolo con radiotracciante. L’esame di imaging ha evidenziato un aumento del 4-9% della quantità di radiotracciante legato al trasportatore della dopamina nei gangli della base, la zona del cervello più colpita dalla perdita di neuroni dopaminergici nella malattia di parkinson, indicando un recupero della funzionalità neuronale dopaminergica.